Per la definizione di un’estetica in Martin Heidegger, di Marco Onofrio (Parte I) con un Commento di Giorgio Linguaglossa sul problema della lontananza della Poesia dall’Essere

Martin Heidegger

Martin Heidegger

A ben vedere, il termine “estetica” suona vagamente inappropriato all’interno dell’orizzonte filosofico heideggeriano. Heidegger stesso rifiuta il termine “estetica”: riportare l’arte al punto di vista dell’estetica significa, infatti, appiattirla in uno schema intellettualistico, di “strumentalismo soggettivistico”, riducendola a documentazione opaca e inautentica, con ciò stesso incapace della rivelazione ontologica cui l’arte è chiamata per vocazione costitutiva. Parlare di estetica implica l’appartenenza a un tempo ancora staccato da un reale e profondo contatto con l’essere. Heidegger guarda con diffidenza a diversi postulati della filosofia occidentale: in particolare,  l’interpretazione della realtà in “metafisica”, del pensiero in “logica”, dell’arte in “estetica”. Eppure il suo interesse per il fatto artistico è vivo e documentabile. Egli si affida apertamente alle suggestioni dell’arte, proprio perché ne presuppone l’importanza e la validità. Il suo giudizio negativo nei confronti dell’estetica non esclude affatto la possibilità di un’interpretazione filosofica dell’arte. Peraltro, l’interesse estetico non è fine a se stesso, bensì inquadrato in altri e più vasti ambiti di ordine teoretico. L’attenzione per l’arte, dunque, è tutta interna a uno sforzo di interpretazione generale della realtà. L’arte è ricondotta alla struttura dell’essere nella sua necessità di rivelazione.

Heidegger utilizza citazioni poetiche: non per sfoggio di cultura, o per ornamento, o per alleggerire il discorso (che anzi con la poesia si fa più ermetico). La poesia viene accolta come elemento consustanziale al discorso filosofico. Lo stile filosofico heideggeriano si configura tipicamente come “dialogo” fra pensiero e poesia. L’interesse sempre più accentuato verso la poesia risponde alle esigenze di un discorso “poetico-pensante” che Heidegger elabora nel corso degli anni come uno dei più validi tracciati per cogliere la realtà in modo autentico. La parola poetica, analizzata nell’eco labirintico delle sue suggestioni etimologiche, diventa il perno attraverso cui l’espressione s’involge in giri e rigiri tortuosi, fitti di echi e ritorni, riprese continue e ridondanze, dall’interno stesso di un ragionamento teso a rincorrersi nella conquista del suo stesso accadere, con l’apertura di un “work in progress” dagli esiti incerti.

Heidegger in his hutLa poesia ha parole che manifestano e al contempo nascondono l’essere, parole cariche di inespresso. Heidegger pensa la poesia mentre poetizza il pensiero: poetare e pensare sono indissolubili. Il suo metodo ermeneutico dialoga con le profondità creative del testo: penetra l’inespresso di ciò che la poesia dice, attraverso un pensamento che porta il pensare in colloquio col poetare. Filosofia è ascolto dell’essere attraverso il linguaggio che lo manifesta, e il linguaggio che manifesta l’essere è la poesia. Il pensare si risolve in commento alle parole fondamentali di alcuni poeti, parole-chiave che fanno sognare il lettore e riflettere il filosofo. Quali poeti? Quelli vincolati al Diktat dell’essere, centrati sull’origine, aperti al rischio del tremendo, del sacro, dell’abissale profondità. Ad esempio un poeta-filosofo come Friedrich Hölderlin. Si riporta di seguito uno specimen significativo del metodo heideggeriano, applicato ai versi (ne bastano un paio) della poesia di Hölderlin “Arrivo a casa”:

In grembo alle Alpi è ancor notte chiara e la nuvola, 

poetando cose di gioia, copre là dentro la valle che s’apre.

«Quanto la patria ha di amico e di aperto, di chiaro, di brillante, di splendente, di rilucente, viene incontro, all’arrivo alla porta del paese, in un apparire radioso ed amico che è unico. (…) Come nomineremo questo apparire radioso e quieto in cui tutto, cose e uomini, rivolge il suo saluto a colui che cerca? Noi dobbiamo nominare questo farsi incontro invitante della patria con la parola che pervade con la sua luce tutta la poesia Arrivo a casa: “il gioioso” (das Freudige)… Il gioioso è il poetato (das Gedichtete).  Il gioioso viene intonato dalla gioia alla gioia stessa. Per questo esso è ciò che riceve gioia e dunque è pieno di gioia. Ma ciò che è pieno di gioia può a sua volta dare gioia. Così il gioioso è al tempo stesso ciò che dà gioia. La nuvola “in grembo alle Alpi” si tiene sempre più in alto, andando incontro alle “argentee altitudini”. Essa si scopre all’alta chiarezza del cielo, mentre al tempo stesso “copre … la valle che s’apre”. La nuvola poeta (dichtet). Giacché essa guarda ciò da cui essa stessa è guardata, il suo poetato non è una pensata o una trovata vana. Il poetare è un trovare. A tal modo la nuvola deve ben uscire da sé andando incontro a qualcosa d’altro, che non è più essa stessa. Il poetato non sorge per mezzo di essa. Il poetato non viene dalla nuvola. Le sopravviene come ciò che le si fa incontro (entgegenweilt). La chiarezza aperta in cui la nuvola si trattiene (verweilt) rasserena questo trattenersi. La nuvola è rasserenata nel sereno. Ciò che essa poeta, il “gioioso”, è il sereno. Noi lo chiamiamo anche “lo spazio libero” (das Aufgeräumte). D’ora in avanti pensiamo quest’espressione in senso rigoroso. Lo spazio libero è liberato, diradato, illuminato e ordinato nella sua spazialità. È solo il sereno, lo spazio libero, che può aprire ad altro lo spazio che sia per esso il luogo adeguato. Il gioioso ha la sua essenza nel sereno che rasserena. Il sereno stesso, a sua volta, si mostra innanzi tutto in ciò che dà gioia.», etc. etc. [M. Heidegger, “La poesia di Hölderlin”, Milano, Adelphi, 1988, pp. 18-19] 

martin heidegger a passeggio

martin heidegger a passeggio

Quand’è che Heidegger conquista al suo discorso filosofico questa forma poetico-pensante? La svolta è segnata dalla conferenza romana su “Hölderlin e l’essenza della poesia” del 2 aprile 1936. Qui si certifica il cambio di rotta tra il primo e il secondo Heidegger. Nella prospettiva metafisica, che Heidegger considera ormai compiuta, il linguaggio è strumento esistenziale condizionato dal soggetto. Ma assumere il linguaggio come strumento porta ad ignorare l’originaria appartenenza della parola all’Essere. Il linguaggio si banalizza a “chiacchiera”, a “rimasticatura”. In realtà il linguaggio non è lo strumento dell’uomo, ma la casa dell’Essere in cui l’uomo si limita ad abitare. Il linguaggio è la struttura incondizionata e disutile (a fini immediati) dove l’Essere si rivela spontaneamente. La poesia è il linguaggio originario che riverbera la “grazia” dell’Essere, cioè l’irradiazione tremenda del sacro. La Dichtung esprime il Diktat dell’Essere autorivelantesi nel linguaggio. L’Essere dètta la propria rivelazione: l’uomo deve limitarsi a “lasciar essere” l’evento. È dunque la poesia che rende possibile il linguaggio, non viceversa! L’uomo non deve ergersi a “padrone dell’ente”, ma abbandonarsi al suo compito di “pastore dell’Essere”.

Nel mondo post-metafisico dell’“organizzazione totale” fondata sulla tecnica, ogni cosa ha un posto definito, coincidente con la funzione strumentale assolta all’interno del sistema. Anche il linguaggio assolve questo compito, tecnicizzandosi. L’uomo interroga gli enti come oggetti esterni da cui determinare il senso dell’essere: il loro e il proprio. Ma la metafisica, così intesa, conduce all’oblio dell’essere, che si nasconde anziché rivelarsi, e all’utilizzo strumentale degli enti nell’orizzonte del mondo tecnicizzato. Anche l’uomo, da ultimo, finisce per diventare “ente”, oggetto, cosa, strumento. Il pensiero stesso si riduce a servizio del sistema: strumento fra gli altri per la soluzione di problemi interni alla “totalità strumentale” in atto nelle società contemporanee. Occorre dunque ripristinare il contatto con le sorgenti dell’essere. L’analitica esistenziale di Essere e tempo (1927) aveva individuato l’ontologia come destino e compito dell’uomo. Noi siamo l’ente che si interroga sul problema dell’esserci dalla prospettiva opaca del Dasein, la “deiezione” dell’esser-ci, dell’essere gettati in mezzo al mondo. Un modo per superare l’impasse di una metafisica che, per consunzione di principio, tradisce il proprio andare “oltre”, è fare dell’esistenza umana una manifestazione dell’Essere, che in essa si rivela e insieme si nasconde. L’Essere (con l’iniziale maiuscola) è la totalità che emerge da ogni singola cosa del mondo. È l’origine fondante che regge gli enti all’interno, e ne apre la soglia ontologica, cioè la luce entro cui l’ente si fa visibile in quanto è. L’Essere è il bordo non aggirabile della comprensione. Non spetta all’uomo cercare l’Essere, o tentare di conoscerlo. L’uomo non può far altro che abbandonarvisi e accettare le rivelazioni di cui l’Essere stesso prende iniziativa. L’Essere si manifesta per illuminazioni che accadono e, accadendo, si consegnano all’uomo. Tali rivelazioni avvengono proprio attraverso il linguaggio poetico.

L’estetica di Heidegger ravviva in chiave moderna alcuni capisaldi del pensiero estetico occidentale, ad esempio il concetto plotiniano di arte come disvelamento ultranaturalistico della verità, o il potere irradiante della claritas tomistica (uno dei tre requisiti della bellezza, secondo San Tommaso). Grandi scrittori come Joyce e Proust hanno basato la propria poetica sulla ricerca delle “epifanie” (si leggano le illuminanti note di Giacomo Debenedetti, raccolte ne Il romanzo del ‘900), per cui – grazie a una «nuova, ulteriore comunicativa che gli oggetti improvvisamente acquistano» ‒ le cose «come per un misterioso, invisibile e tuttavia sensibile animarsi» dei loro connotati «ci confidano il loro segreto essenziale, il loro senso», sicché «l’arte nasce e si giustifica in quanto riesce a ottenere che gli oggetti, gli attimi si aprano, sprigionino la rivelazione che essi annunciavano, tenendola chiusa, invisibile, e come carcerata». Compito dell’artista è assecondare questo evento di rivelazione, predisponendosi a farsi cercare dall’essenza.

(Marco Onofrio)

 Heidegger nella casa di campagna

Caro Marco,

indubbiamente, nel pensiero di Heidegger il linguaggio è prossimo all’Essere ma di un tipo di prossimità che si rivela lontanissima. Comunque stiano le cose, è la sola prossimità di cui l’uomo dispone. È questo il fulcro del pensiero di Heidegger sul linguaggio poetico e sulla poesia. La poesia non può che parlare da una immensa lontananza per poter giungere ad una vicinanza con l’Essere.

 «L’uomo parla. Noi parliamo nella veglia e nel sonno. Parliamo sempre, anche quando non proferiamo parole, ma ascoltiamo o leggiamo soltanto, perfino quando neppure ascoltiamo o leggiamo, ma ci dedichiamo a un lavoro o ci perdiamo nell’ozio. In un modo o nell’altro parliamo ininterrottamente. Parliamo, perché il parlare ci è connaturato. Il parlare non nasce da un particolare atto di volontà. Si dice che l’uomo è per natura parlante, e vale per acquisito che l’uomo, a differenza della pianta e dell’animale, è l’essere vivente capace di parola […] L’uomo è in quanto parla […]

Il linguaggio fa parte in ogni caso di ciò che l’uomo ritrova nella sua più immediata vicinanza. Dappertutto ci si fa incontro il linguaggio. Per questo non è meraviglia se l’uomo, non appena prende, riflettendo, visione di ciò che è, subito s’imbatte anche nel linguaggio…»*

 «Il Linguaggio parla – L’uomo parla in quanto corrisponde al linguaggio. Il corrispondere è ascoltare. L’ascoltare è possibile solo in quanto legato alla Chiamata della quiete da un vincolo di appartenenza».

Il problema del linguaggio si pone in corrispondenza con il senso dell’esistere dell’esserci. Dopo Was ist Metaphysik? (1929) la filosofia di Heidegger accentua sempre più il suo carattere kerygmatico e teologico, si annuncia come portatrice di un messaggio di redenzione. All’annuncio subentra una riflessione sul modo con cui si dà l’annuncio e sul modo con cui l’Essere parla e sul modo con cui l’uomo ascolta e «cor-risponde»; così il Linguaggio (das Worte, die Sprache, die Sage) si annuncia mediante l’evento (das Ereignis) in corrispondenza con il poetare del poeta (il Dichten, il Denken, il Danken). Tutti i grandi pensatori, chiosa Heidegger, hanno pensato e detto das Selbe (l’identico), e «ogni pensatore pensa un unico pensiero» e «ogni poeta poeta un unico pensiero».

«Ma l’Essere, che è dunque  l’Essere? È se stesso… L’essere è il più lontano di ogni essente ed è tuttavia, più vicino all’uomo di ogni essente, sia questo una roccia, un animale, un’opera d’arte, una macchina, sia un angelo o Dio. L’Essere è ciò che è più vicino. e tuttavia la vicinanza rimane per l’uomo lontanissima».

heidegger nello studio

heidegger nello studio

Le numerose asserzioni kyerigmatiche di Heidegger gettano luce sulla matrice religiosa del suo pensiero estetico: «noi giungiamo troppo tardi per gli Dei e troppo presto per l’Essere» e altre come «Hölderlin, rifondando l’essenza della poesia, determina e inizia una nuova età. Questa è l’età della indigenza, perché essa sta sia in una duplice mancanza e in un duplice non: nel non più degli Dei fuggiti e nel non ancora del Dio che ha da venire». E in alcuni passi posti all’inizio dello Humanismusbrief: «Il pensiero compie il rapporto dell’Essere con l’essenza dell’uomo. Esso non crea tale rapporto. Il pensiero altro non fa se non offrirlo all’Essere come ciò che a lui è dato dall’Essere. Questo offrire consiste nel fatto che l’Essere giunge al linguaggio nel pensare. Il linguaggio è la dimora dell’Essere. In questa abitazione abita l’uomo. I pensatori e i poeti sono i custodi di questa abitazione. Vegliando, essi portano a compimento il rivelarsi dell’Essere, in quanto, mediante il loro dire, portano al linguaggio e nel linguaggio custodiscono questa rivelazione».

Il Denken è Andenken (ricordo, memoria), ma anche la poesia è figlia di Mnemosyne, «la memoria, il raccolto ricordare ciò che deve essere pensato, è il fondamento e la fonte del poetare». «Il pensatore dice l’Essere. Il poeta nomina il Sacro […] Si conosce più di una cosa sul rapporto fra filosofia e poesia. Niente sappiamo del dialogo che intercorre tra poeti e pensatori che abitano vicino su monti quanto mai separati».*

«Il linguaggio è il linguaggio. Tale affermazione non ci porta a un fondamento del linguaggio estrinseco al linguaggio, e nulla ci dice riguardo al problema se il linguaggio sia per caso il fondamento di altro da sé. L’affermazione “il linguaggio è il linguaggio” ci lascia sospesi sopra un abisso… »*

«Il linguaggio parla. Ma come parla? Dove ci è dato cogliere tale suo parlare? Innanzitutto in una parola già detta. In questa infatti il parlare si è già realizzato… In ciò che è stato detto il parlare resta custodito.

Se pertanto dobbiamo cercare il parlare del linguaggio in una parola detta, sarà bene, anziché prendere a caso una parola qualsiasi, scegliere una parola pura. Parola pura è quella in cui la pienezza del dire… si configura come una pienezza iniziante. Parola pura è la poesia […] Ascoltiamo la parola già detta:

 

Una sera d’inverno (Georg Trakl)

 Quando la neve cade alla finestra,
A lungo risuona la campana della sera,
Per molti la tavola è pronta
E la casa è tutta in ordine.

 

Alcuni nel loro errare
Giungono alla porta per oscuri sentieri
Aureo fiorisce l’albero delle grazie
Dalla fresca linfa della terra.
 

Silenzioso entra il viandante;
Il dolore ha pietrificato la soglia.
Là risplende in pura luce
Sopra la tavola pane e vino.*
 

(Giorgio Linguaglossa)

* Untervegs zur Sprache 1959, trad, it. 1973 Mursia Editore

31 commenti

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31 risposte a “Per la definizione di un’estetica in Martin Heidegger, di Marco Onofrio (Parte I) con un Commento di Giorgio Linguaglossa sul problema della lontananza della Poesia dall’Essere

  1. Gabriele di Giovanni Fratini detto il Sassetta

    Qui vedo una differenza tra Heidegger e i filosofi “normali” del ‘900. Il secondo Heidegger tende alla supercazzola. Frasi criptiche come
    “Il linguaggio è il linguaggio. L’affermazione il linguaggio è il linguaggio ci lascia sospesi sopra un abisso…”
    e
    “Il linguaggio parla. Ma come parla? Dove ci è dato cogliere tale suo parlare? Innanzitutto in una parola già detta. In questa infatti il parlare si è già realizzato… In ciò che è stato detto il parlare resta custodito”
    sembrano una parodia di Heidegger stesso. Quest’ultimo è al tempo stesso un grande filosofo e la parodia di un grande filosofo. I grandi autori come Heidegger (e anche ad es. il secondo Montale) riescono a far discutere di sé anche quando non hanno più niente da dire. Geniale.
    Un saluto.

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  2. Articolo interessantissimo: grazie al blog! Presto comprerò ” La poesia di Hölderlin” di Heidegger.

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  3. Saggio molto interessante per l’accurata disamina del pensiero di Heidegger sul tema che è precipuo di questo blog. Complimenti a entrambi, Autore e Commentatore.
    Tuttavia desidero evidenziare che condivido quest’affermazione di Marco Onofrio e, ovviamente, quella di Giacomo Debenedetti in essa racchiusa: “grazie a una «nuova, ulteriore comunicativa che gli oggetti improvvisamente acquistano» ‒ le cose «come per un misterioso, invisibile e tuttavia sensibile animarsi» dei loro connotati «ci confidano il loro segreto essenziale, il loro senso», sicché «l’arte nasce e si giustifica in quanto riesce a ottenere che gli oggetti, gli attimi si aprano, sprigionino la rivelazione che essi annunciavano, tenendola chiusa, invisibile, e come carcerata». Compito dell’artista è assecondare questo evento di rivelazione, predisponendosi a farsi cercare dall’essenza.” (Marco Onofrio)
    Credo fermamente nell’evento di rivelazione (disvelamento, epifania, illuminazione) che fa di un uomo un artista, un poeta, se si abbandona tutto proteso all’animarsi delle cose, le ascolta e tenta di carpirne il segreto. Oltre ai già citati Proust e Joyce per il romanzo, alcuni poeti della stessa epoca forgiarono il loro poetare su questo concetto.

    Giorgina Busca Gernetti

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  4. Heidegger ha scritto che «La poesia è il fondamento che regge la storia», secondo me la poesia è un atto di fede senza dei

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  5. antonio sagredo

    e… bravo… Almerighi! – A Marianojoemenna consiglio l’Hordelin del Pellegrino (e poi si sappia scegliere il miglior traduttore italiano del poeta svervo) Che sia un godimento è certo, ma non è soltanto azzurro! – E personalmente me ne fotto dell’ontologia di Heidegger ( sottolineo che non dico di estetica).

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  6. Nella bibliografia relativa a Georg Trakl, tra le varie opere:

    *Francesco Gagliardi, L’azzurro dell’anima, Perugia, Morlacchi, 2007;
    interessante anche
    Elisabetta Mengaldo, “L’ultimo oro di stelle cadute”. Strutture e genesi testuale delle lirica di Trakl, Pisa, Pacini, 2009;
    Altre numerose opere che non sto a elencare.
    Il godimento, azzurro, d’oro, rosa, verde, giallo, indaco o violetto, nella lettura delle poesie di Georg Trakl è assicurato.

    GBG

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  7. Un giorno ci limiteremo a pensare e la scrittura verrà affidata a una macchina, un computer che registrerà le nostre onde neurali http://www.corriere.it/salute/12_febbraio_01/cervello-suono-parole_fe077556-4c18-11e1-8f5b-8c8dfe2e8330.shtml
    Da lì a comporre sinfonie il passo sarà breve. E ovviamente cambierà anche la telefonia perché a quel punto potremo considerare con realismo la possibilità di ricorrere alla telepatia. Interessante, vero? Saremo costretti a controllare la qualità dei nostri pensieri se non vorremo fare brutte figure durante i contatti, e questo ci porterà a riconsiderare il rapporto tra Essere e pensiero: la locuzione cogito ergo sum verrà definitivamente dimenticata. Il pensiero resterà nella macchina del linguaggio e questo ci renderà più sereni perché diverremo molto più silenziosi e dediti all’Essere.

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    • Peggio che in un romanzo o film di fantascienza! Non solo: “Attento a quel che dici!”, ma anche: “Attento a quel che pensi!”. Addio, pensieri reconditi e privatezza della meditazione!. Addio, “Secretum”!
      Questa scoperta scientifica sarà utile nelle sue applicazioni tecniche per certi malati che non possono parlare, come ho letto nell’interessante articolo indicato nel “link”. Sarà utile anche per scrivere lo spartito di una composizione musicale semplicemente pensandola, invece di scriverla a mano sui fogli pentagrammati o suonarla con un pianoforte collegato a un computer che riempie di note i righi musicali (esiste già questo computer).
      “Cogito ergo omnes sciunt quid censeam”.
      Non so se saremo più sereni. Io non credo proprio perché non sopporto l’idea che si entri nella mia privatezza, per esempio con il controllo telefonico cui pare siamo sottoposti, benché non nella condizione di indagati.

      GBG

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      • Non me ne preoccuperei: le macchine ci consentono di volare da un continente all’altro ma non per questo facciamo un’autentica esperienza del volo.

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        • C’è molta differenza. L’aereo è utile perché in poche ore, talvolta in poco più di un’ora mi consente di raggiungere la meta del viaggio. E’ per me affascinante perché mi dà l’illusione del volo, sottolineo “illusione”.
          Io amo il momento in cui l’aereo si stacca dal suolo e s’innalza… come un gabbiano; poi si vede il paesaggio rimpicciolirsi sempre più, si segue dall’alto la costa dell’Italia e le isole toscane, oppure la Penisola Calcidica e tutte le isolette dell’Egeo fino all’adorata Atene!
          Si vede che mi piace volare anche se è solo un’illusione d’essere un uccello?

          Giorgina

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  8. Gino Rago

    Bravi,sì, Marco e Giorgio per la proposta odierna de L’ombra..Ma sul piano
    del pensiero poetante rimane ancora lui il massimo poeta pensante della poesia moderna, dopo Leopardi: Eugenio Montale. E poi occorre considerare un fatto nuovo: la svolta realistica nella filosofia globale che sta imponendo forme nuove di ontologia,di metafisica, di epistemologia, nel superamento sia del pensiero analitico, sia di quello ermeneutico/ fenomenologico…
    Non sono filosofo, ma so delle nuove tendenze della Scuola di Bonn…
    E Sagredo fa bene a…dell’ontologia di Heidegger.

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  9. antonio sagredo

    Grazie Rago, Ti son grato… Ti son grato… per le ultime parole.
    Quanto a Montale dovresti un po’ ri-vedere le Tue posizioni. Intanto Giacomo de-pensava, altrimenti non avrebbe mai scritto cose così geniali. Se pensava come Tu intendi sarebbe stato un cretino come tanti alla sua epoca e come tantissimi oggi!
    De-cogito ergo sum!
    Quanto a Tosi M. … pare mettere le mani avanti al/nel futuro per non essere prigioniero del passato!
    Ha ragione la Giorgina G. B. !
    A me non piacciono le corbellerie come queste : “Il pensiero resterà nella macchina del linguaggio e questo ci renderà più sereni perché diverremo molto più silenziosi e dediti all’Essere”.
    Più “sereni”?
    Lei mi fa pensare a certi scrittori russi-sovietici della fine degli anni ’20 e ’30, quando pronosticavano un migliore futuro, anzi un “sereno futuro” diceva p.e. Zamjatin, un “futuro luminoso” che valeva soltanto per i creduloni “dei paradisi in terra!
    Ma Lei in che mondo vive?!
    E poi aggiunge: “….le macchine ci consentono di volare da un continente all’altro ma non per questo facciamo un’autentica esperienza del volo”…. glielo vada a dire a Leonardo! Ha mai letto di questi i suoi taccuini, ecc.?
    Il volo è dentro di noi per cominciare, e nessun volo può paragonarsi al volo che subiamo dalle macchine, da cui in effetti l’ “autentica esperienza” che ne scaturisce è più che una esperienza… se non in passivo, in un negativo… è una esperienza ( e cosa vuol dire autentica? Vera certo di no! E nemmeno fittizia! E nemmeno reale!) del non volare, e il non voler volare è uno stimolo a voler volare di più, ma in un altro senso: se lo faccia spiegare da Giuseppe Desa! Fa bene a non preoccuparsi, il che vuol dire pensare moltissimo il problema; mentre il de-pensare è di per se stesso quel volo che fu possibile al Leopardi e ai Poeti degni di lui (pochi in verità, purtroppo!).
    Telepatia?! : noi Poeti non ne abbiamo necessità: la conosciamo prima degli dei e dei loro miserabili profeti!
    Quanto all’estetica del filosofo tedesco H.… anche qui bisogna ribadire la vecchiezza che lo caratterizza già fin dall’età giovanile: egli parla a vanvera… e dopo Nietzsche non è più possibile! Però questi che dice dell’ Eterno Ritorno già dice tantissimo di estetica e di ontologia (da non aver bisogno più noi di leggere il suo sciagurato collega novecentesco!)… lui stesso. N., cioè, ne aveva pieni i c…..ni! — Invece è da dire che è più vero il Ritorno dell’Eterno, se si deve dire di ri-n ascita… l’estetica di Nietzsche è tale – cioè colma di Ritorni – perché non lo è affatto! E così facendo risolve il problema estetico e ontologico: li butta via, come ciarpane dei secoli trascorsi!
    Montale? No! Trakl invece, e se volete, Sagredo!
    ——-
    Cari miei intelocutori… perdonatemi gli scantonamenti:
    —-
    Il colto idiota dal pulpito raccontava bellamente
    che la carità è lo stato naturale dell’uomo,
    torcendosi sulla philautía, come morso da una serpe!
    Giuseppe lo guardava schifato e con occhio asinesco.

    Lui, succube di voli inconsueti, non voluti e non richiesti,
    con preghiere, rosari e ceri accesi sugli altari, attendeva
    a un’assenza di teofania, come se la sua ignoranza nota
    al mondo fosse sparsa ovunque, come un peccato da imitare.

    Per eccesso di carità lui volava così in alto che gli uccelli
    chiesero aiuto a quell’idiota, perché una colta istanza al Principe
    dei Martiri almeno un terrore generasse in quel cuore semplice
    e mai turbato… ma era caro a tutti gli umili perché le sue mani

    erano sporche di sterco di maiale: una fatica devastante
    diffondere il verbo alle bestie di cortile! Il teologo è spaventato:
    conosce la propria colpa, non la carnalità che combatte bellamente.
    Fu un’estasi unica l’ultimo volo di Desa: ne fu gelosa – Santa Teresa!

    Antonio Sagredo
    Bardonecchia, 27 dicembre 2007
    (crepuscolo)
    ————————————————-
    Come fu semplice
    il nostro incontro
    ingenuo,
    e incerto al primo volo.

    Ti regalai un quasar
    e le stelle furono gelose
    per questo…

    e ti sorrisi
    con le mie rughe immense.

    (1986)
    ———————————————–

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    • Caro Sagredo, io non temo il non-pensiero perché ne ho fatto l’esperienza senza morirne, né temo per la poesia che in quanto arte del pensiero potrebbe risentirne. Un vecchio esercizio per principianti suggeriva di guardare la lancetta dell’orologio per 60 secondi senza pensare a nulla (ovviamente è più facile guardando la tv, ma non vale). Non è facile ma senza pensiero si aprono le porte dell’Essere. Che poi serva a qualcosa sta a ciascuno… ma ha ragione, non voglio essere prigioniero del passato. E poi, mi scusi, non si può dire di un poeta Ma in che mondo vive! nemmeno se è un apprendista. Questo lei lo sa bene.

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    • Grazie infinite, gentile Antonio Sagredo, per l’apprezzamento delle mie ragioni contro certe macchine moderne.
      Congratulazioni per le due pregevoli poesie qui sopra postate.
      Lo scrivo in piena sincerità. Buona serata,

      Giorgina Busca Gernettui

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  10. letizia leone

    Anch’ io non sono una filosofa ma mi sembra che molti filosofi contemporanei abbiano sempre come piedistallo la “vecchia” ontologia di Heidegger…con tutte le crisi a venire dopo la pubblicazione dei “Quaderni neri” e l’impalcatura dell”autenticità” che vacilla, anzi quasi crolla nella “filosofia del nazismo” e le perdite di poltrone del caso, ma qui sforiamo nell’attualità della cronaca!
    D’altra parte sono innegabili le inquietudini e i ripensamenti ontologici a cui ci costringono le antropotecniche, la fine dell’umanesimo, e la velocità dei nuovi scenari…
    Ma per tornare alla proposta (ben approfondita ) di Marco e Giorgio, Vattimo ( forse vecchio pure lui, ormai?) arricchisce il dibattito guardando le cose da un’altra angolazione (dribblando sulla lettura dei testi dei poeti condotta da Heidegger ) e soffermandosi su una questione generalmente trascurata dalla critica, e cioè il perchè della scelta di certi poeti (come Hölderlin o Rilke). Poeti che cantano “l’essenza stessa della poesia” calati in un orizzonte storico di privazione ( Perchè i poeti? è il titolo della conferenza del ’26 che prende avvio proprio dal verso hölderliniano “perchè i poeti nel tempo della povertà?” ). In ciò è possibile ravvisare il senso di una messa a fuoco sul destino ontologico dell’opera d’arte nell’orizzonte della fine della metafisica, della desacralizzazione, “epoca degli dei fuggiti e del dio a venire”. Questioni quanto mai attuali che vedono nell’epoca moderna l’isolamento dell’arte di fronte al consumismo del kitsch e alle quali (ci dice Vattimo) le estetiche militanti come quella di Adorno sanno opporre soltanto l’affermazione avanguardistica di una purezza dell’arte…
    Per l’ invito implicito in Heidegger di una messa a fuoco sullo statuto sociale della poesia nella modernità riporto i chiarimenti di Vattimo:
    “Ciò che importa di più è proprio la constatazione che i poeti a cui la filosofia può rivolgersi, oggi nell’epoca della fine della metafisica sono i poeti che parlano dell’essenza (del Wesen:del destino storico-ontologico, non certo della natura eterna) della poesia”.
    Continua Vattimo: …”intendo dire che ciò che egli legge nei poeti è anzitutto e fondamentalmente un insieme di idee sulla poesia, sul destino dei poeti, sulla condizione – non eterna, ma situata “in tempo di povertà” dell’artista”. Osservazioni che riportano un pò alla “terrestrità” e al contingente tanta purezza e sacralità e originarietà (pur feconde) di parola poetica…

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    • ** il perchè della scelta di certi poeti (come Hölderlin o Rilke). Poeti che cantano “l’essenza stessa della poesia”**
      Vedo con soddisfazione il nome di Rainer Maria Rilke accanto a quello di Friedrich Hölderlin in questo approfondimento del saggio proposto oggi.

      Giorgina Busca Gernetti

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      • letizia leone

        Gentile Giorgina Busca Gernetti,
        in effetti la lirica di Rilke è un’altra straordinaria testimonianza di quel pensiero poetante di cui si parlava. E non solo le Elegie ma anche i Sonetti a Orfeo (scritti in pieno “furor” nello spazio di una ventina di giorni!) i quali nel loro procedere, tra enigma e sgomento, ci sollecitano a continue soste meditative…
        “Sii – e a un tempo sappi la condizione del non essere, / il fondo infinito della tua intima oscillazione, / che tu lo compia pienamente quest’unica volta”… (dai Sonetti a Orfeo)

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        • Gentile Letizia Leone,
          grazie per le sue parole sul mio amato Rilke, di cui posseggo e ho letto tutta l’opera e tengo sul comodino, come “livre de chevet”, il volumetto delle “Poesie alla notte” (Passigli), preludio alle “Elegie Duinesi” ed evidente rimando alla poesia di Novalis. Dei “Sonetti a Orfeo” ora non parlo quasi per scaramanzia perché, già presenti con qualche verso (solo due) nel mio libro “Parola d’ombraluce” (intarsio citazionale), ora hanno una funzione particolare nel nuovo libro in corso di stampa.
          Un cordiale saluto

          Giorgina

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  11. Il problema di fondo resta il rapporto tra l’essere e il linguaggio. Heidegger ha indicato un punto: l’estrema vicinanza e l’estrema lontananza, ad un tempo, tra l’essere e il linguaggio. Detto questo, il problema è rimasto insoluto. O meglio, si ripropone tale e quale a prima.

    Direi che il linguaggio umano deve essere messo in rapporto con il Tempo e secondariamente con l’Essere. In particolare (sto schematizzando) si deve partire dalla interrogazione leibniziana “Perché qualcosa esiste invece che il nulla?”, ripreso da Heidegger nel modo seguente: “Perché esiste l’ente piuttosto che il nulla?”.
    Il linguaggio umano è correlato con la struttura asimmetrica del tempo e, secondariamente, con la struttura simmetrica dello spazio così come essi si presentano alla presenza umana. È qui il punto, credo. L’instabilità e la asimmetricità del tempo (la cosiddetta freccia del tempo) deriva da un precedente stato di simmetria e di stabilità: la situazione che precede il Big Bang e il sorgere del tempo come lo conosciamo…
    Direi che il linguaggio poetico ha e non ha una via privilegiata con l’Essere in quanto ha una via privilegiata che precede quella con l’Essere, che è il Tempo asimmetrico che la moderna cosmologia e le scienze quantistiche ci confermano. in modo indubitabile.

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  12. antonio Sagredo

    carissimo Lucio,
    “E poi, mi scusi, non si può dire di un poeta Ma in che mondo vive! nemmeno se è un apprendista. Questo lei lo sa bene”.
    Risponde Pasternàk: “Miei cari , qual millennio è adesso nel nostro cortile?”

    Invano danzeremo nel cortile arrossato,
    parleremo sottovoce tra fiocchi di neve
    – uva epica un antico poeta cantò –
    udrai cristalli franare per il peso dei sogni:
    perle… pietre e ancora pietre… perle!
    ma è lieve
    lieve…
    a. s.
    Praga, 28 febbraio 1977
    ——-
    Pretendere un rinascimento è come spegnere di nuovo
    una lampada che il poeta sa non essere immortale.
    Se il pensiero non ha crediti insolvibili con la parola
    la promessa d’un balbettio è una rovina per la ragione.

    E oggi proclamo pietoso questo secolo già finito in una pozza
    con tutti i suoi misteri e chiassi di cortile: è una losca ripetizione,
    come un corteo di morti ad una festa, una goccia sulla tinozza
    che assorda di voci ancestrali una tranquilla riflessione.

    Nella mia casa dove c’è una calda eternità come un divano
    mi riposo – e in un angolo sono straniero e ospite interdetto
    – forse è la mancanza di un saluto o di un padrone noto
    – forse è una perduta identità che m’inchioda ai cardini.

    Dimenticare non è una condanna per i carnefici.
    Ascoltavo me stesso immemore come unico attore,
    non conoscevo che l’amore per la mia voce di magenta.
    La cripta si gonfiava al vento come una reliquia turca.

    Come il Demone in un’alcova primordiale
    nasconde il potere in un acrostico ferroso,
    il dominio della fede è nella piombata confessione
    di chi, fidando nel Divino, riceve dalla terra una condanna!

    a. s.

    Vermicino, 10 marzo 2004

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  13. Il venire ad esistenza del nostro universo, in quanto differenza originaria tra ‘universo materiale’ e ‘universo vuoto’, in quanto instabilità tale da dar luogo a una freccia temporale irreversibile, può essere compreso soltanto a partire dall’assunto di una creazione simultanea della materia e dell’entropia. Occorre tenere a mente questa impostazione per afferrare il volto del ‘divenire’ di cui ci parla Prigogine. Il tratto originario e differenziante non è dato dall’energia ma dall’entropia. “L’universo puramente geometrico, spazio-temporale vuoto, corrisponde a uno ‘stato coerente che viene distrutto dalla creazione, entropica, della materia“.
    Per Prigogine la morte termica di colloca all’origine, non al termine, del cammino indicato dalla freccia temporale.

    Ad un certo punto della corsa della freccia temporale si colloca la nascita del linguaggio umano, di cui il linguaggio poetico costituisce non l’esempio più puro (come asseriva Heidegger), bensì l’esempio ibrido per eccellenza in quanto protesi proteggente il viaggio dell’uomo a bordo della freccia del tempo, protesi o semiosfera che poggia sulla asimmetricità del tempo e sulla simmetricità dello spazio e sulla dissimmetria della Storia.

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    • Entropia: troppa generosità dell’esistenza. A noi spetta, se non altro per ragioni di sopravvivenza, il compito di trovare e costruire equilibrio; che non è certo l’inutile controllo – nazista – su tutto e tutti a cui stiamo assistendo.

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  14. «Quando Baudelaire sostiene che la più “alta e filosofica delle nostre facoltà è l’immaginazione”, afferma una verità che, altrimenti, si può esprimere così: per mezzo dell’immaginazione – e cioè, tramite la nostra capacità, inerente alla nostra temporalità essenziale, di convertire in immagini la continua aspirazione che questa stessa temporalità ha di incarnarsi possiamo uscire da noi, andare oltre noi stessi all’incontro con noi… questo uscire da noi è un essere noi in maniera più totale […] è un’aspirazione, un andare, un movimento in avanti: verso ciò che noi stessi siamo. Così, la creazione poetica è esercizio della nostra libertà, della nostra decisione di essere» (Octavio Paz “L’arco e la lira” trad. it.1991 p. 191).
    Ho riportato questa affermazione di Paz perché mi serve per introdurre quel “movimento in avanti” che contraddistingue il nostro essere umani, movimento che segue (e non potrebbe fare altro) la direzione della freccia del tempo. Ora, qualsiasi movimento che noi facciamo non può avvenire che lungo la freccia del tempo; e così avviene anche per quanto riguarda il linguaggio dell’uomo (la sua “semiosfera” secondo Bachtin), il quale è conformato sulla matrice dello scorrimento unidirezionale e irreversibile del tempo.
    «Ciò significa sostituire alla singolarità iniziale – all’ “atto unico” – del big bang, imposta dal “modello standard“, le nozioni di instabilità e di evento.
    Si tratterebbe, sembra di capire, di nozioni ancora più “originarie” di quella di essere» (Giacomo Marramao “Minima temporalia. Tempo spazio ed esperienza” Luca Sossella editore, 2005 p. 23).

    Dunque, quando pensiamo al linguaggio umano non possiamo non pensarlo come un evento che accade (che accade nel mondo dell’immaginazione oltre che in quello del reale), e non potrebbe non accadere perché consustanziale alla conformazione fantastica e immaginativa dell’ente umano.

    Nella visione comune il tempo è visto come un asse orientato nel senso avanti-indietro: Ego rappresenta l’adesso (così come rappresenta il qui nel modello spaziale), davanti gli giace il futuro, alle sue spalle sta il passato. È questo il cosiddetto fenomeno dell’assialità del tempo.
    Anche il “parlare” umano può essere ragguagliato al fenomeno dell’assialità del tempo: Ego parla, la parola che sta per dire si trova nel futuro, ma, appena pronunciata, si trova già nel passato… voglio dire che è connaturata al discorso, al logos, una matrice lineare che replica l’assialità del tempo…

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  15. Non riesco a capire la filosofia di Heidegger: quella di Husserl sì ed è a mio avviso fondamentale. Trakl è quel che si dice “poeta nato”.

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  16. andrzej nowicki

    “poeta nato ” NO!, non è esatto; è poeta “innato”; mentre H. non è nemmeno filosofo nato, figuriamoci se Innato!

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