Sandro Bondi e Nichi Vendola due poeti in fuga dalla politica – “Vado verso la vita”, urlò D’Annunzio. Oggi lo seguono Sandro Bondi e Nichi Vendola. Dalla politica, tornano alle liriche – di Stefano Di Michele

Sandro Bondi

Sandro Bondi

da “Il Foglio quotidiano” 19 aprile 2015

 Urlò D’Annunzio – il sempre vociante Vate: “Vado verso la vita!”, transitando fulmineo dai banchi della Destra a quelli della Sinistra. Più temerariamente, Sandro Bondi e Nichi Vendola verso la poesia sono già andati. E ora, quasi orbi della politica, alla stessa si apprestano a tornare – e la Musa Calliope, priva di scampo, forse rassegnata attende. Sandro – l’uomo di Berlusconi, da cui dolorosamente si separa, e Nichi – l’uomo di Eddy, di cui è felicissimo fidanzato, sono stati (pur su fronti opposti) i versificatori del ventennio che si chiude, i rimatori dei giorni andati, i verseggiatori delle loro buone cause. Uomini dal pensiero rapido, dalla metafora veloce, la terzina pronta in canna, hanno scandito il loro percorso politico tra rime e liriche, con fervore di scrittura (e non sempre adeguata critica a sostegno, piuttosto malevola, a dire il vero). E ora che la stagione si avvia a conclusione – un sottrarsi, un dileguarsi, un commiato comunque – facile prevedere che sui marosi della poetica le loro vite future troveranno ancora e sempre conforto. Il pur temibile Fatto così l’altro ieri titolava l’abbandono di Bondi, ora rifugiato nella pace di Novi Ligure come Catullo nella villa di Sirmione: “Vorrei essere dimenticato” – e annotava il quotidiano, sul senatore che fu berlusconiano di cuore e di poemi: “E chiede un favore con una terzina: ‘Io vorrei essere dimenticato / io vorrei che il mio nome non fosse più importante / io vorrei chiudere qui la mia esperienza politica’”. Dolente abbandono, anima ulcerata: avrebbe forse un giorno composto. Ben diversa l’uscita di scena di Vendola, che in tal modo il suo abbandono ha argomentato: “Il mio obiettivo più grande è quello di recuperare l’allegria, la cosa che mi è più mancata in questi anni. E poi voglio riprendere a leggere: per dieci anni non ho scritto un verso e non ho letto un libro di poesie”. Sandro, più mesto, pare prendere congedo con le parole del “collega” (diciamo) Pablo Neruda – “Amare è così breve, e dimenticare così lungo”; Nichi, di suo, si apposta più nei pressi della Vanoni e di Vinicius de Moraes – “Buonanotte all’incertezza / ai problemi all’amarezza / sento il carnevale entrare in me. / E sento crescere la voglia, la pazzia / l’innocenza e l’allegria…”.

Nichi Vendola

Nichi Vendola

 Peraltro, volendo ben poetare, l’allegria è sentimento da tenere a bada – troppo vicino costeggia la soddisfazione, essendo questa “sentimento di natura tiepida, e di qualità inferiore”, come scriveva Natalia Ginzburg recensendo le poesie (“non mi piacciono affatto”) del volume “Epitaffio” del suo amico Giorgio Bassani, “perché mi sembrano piene di soddisfazione”. Scrisse pure: “Un mio amico, Cesare Garboli, dice che sono insieme Carducci e Magritte. Io però non riesco a vederci né Carducci né Magritte. Ci vedo soltanto la soddisfazione”. Perciò l’eccesso di buonumore la felicità creativa non sostiene – e in effetti, a pensarci bene, Vendola è stato finora poeta più propenso se non al tragico al gravoso impegno, sorta di pensoso Hikmet del Salento, “la lotta è il mio canto, e la gioia, e la sorte radiosa degli amici”, così che, quasi sulle orme del “Lamento per Ignacio Sánchez Mejías” di García Lorca, compone il suo più esteso e sollecito (morte a luglio, poema a settembre: neanche un cambio di stagione, ché a volte la poesia, nell’urgenza delle cose, è come un ascesso dentale: pulsa e preme) “Lamento in morte di Carlo Giuliani”: “Lascia che io pianga muto / senza quel tuo limone / limone asfalto e sputo (…) di un celerino a uccello / ti spezzano i carati / del sogno tuo degli anni / l’ora del manganello / rintocca nei tuoi panni…”. Pure qui – né Carducci né Magritte, e latita magari García Lorca. Ma Vendola è pur sempre un generoso militante del pensiero e dell’impegno, e in una memorabile intervista tanto seppe definire la sua poesia, “credo nella poesia come parto doloroso, come partita gioiosa, come partenza verso territori semantici tutti da scoprire”, quanto alzare la voce contro il degrado del poetare attuale – avendo il karaoke e il povero Apicella “ferito quasi a morte tutte le Muse”, un eccidio. E dunque, nella vasta morìa circostante, posa lo sguardo: “Siamo assediati da pessima poesia, rime leggere e di facili costumi, senza studio né gravidanze scritturali autentiche…” – che poi chissà: ma che cazzo so’, le rime di facili costumi?

Ugo Foscolo

Ugo Foscolo

 Di suo, nella mestizia dell’addio – quasi addio al se stesso dell’ultimo ventennio – Bondi figura in una disposizione d’animo più adatta a mutarsi definitivamente in poeta, idealmente trasfigurato a metà tra il Foscolo dei “Sepolcri” e il sempre caro Neruda, “posso scrivere i versi più tristi, questa notte”. Non a caso “delicato Sandrone” lo chiama il Messaggero – quasi fosse un fragilissimo John Keats, “il cui nome fu scritto nell’acqua”, ché a tale delicata dissipazione pare ora aspirare pure Bondi. Che poi, quasi dantesco contrapasso (“così s’osserva in me lo contrapasso”) sembra il suo: che generosamente su molti il generoso fiorire della sua poetica riversò – davvero “rosa aulente, / splendiente” dei giorni dorati del berlusconismo ora per sempre persi: a cascata, a settimanale impegno su Vanity Fair, in arabescate trasfigurazioni che solo le anime più vili e grevi potevano percepire quale eccesso di piaggeria e non piuttosto come amorosa/amorevole estensione del suo universo. A riprova, non solo le poesie dedicate a Silvio (adesso, nell’abbandono e nell’invocata dimenticanza, certo un sussulto leopardiano deve percorrerlo – Silvio, rimembri ancora?), alla consorte sua, alla mamma (“Madre di Dio”, pensa tu), persino alla segretaria Marinella, “muto segreto / inconfessata attesa”, e chissà come Dudù sfuggì; ma anche alla più stretta colleganza di partito, così da cantare il “fiore reclinato” della Brambilla o il “presente d’amore” di Letta (Gianni), o le nozze di Elio Vito, “tra le tue braccia magico silenzio”, del resto sempre ottima cosa. E persino Cicchitto in dono ebbe da Bondi uno tra i suoi componimenti elaborati, con periglioso, si potrebbe dire oculistico, abbandono: “La mia fede / è la tenerezza dei tuoi sguardi”, e mai prima di allora (e per la verità mai dopo di allora) gli sguardi di Cicchitto furono oggetto di pubblica attenzione poetica. Ma è proprio qui ciò che solo la poesia può: come Mario Tessuto con “Lisa dagli occhi blu” o, meglio ancora, Montale con “La casa dei doganieri” – chi, prima di lui, l’aveva mai avvistata? Ma pure ai suoi avversari, generosamente Bondi non negò il piacere di appositi lirismi: così a Veltroni, “Tenero padre, / madre dei miei sogni”, così alla fascinosa Anna Finocchiaro, “Nero sublime / Lento abbandono / Violento rosso”, quasi quasi evocando certi sussulti amorosi di Kavafis: “I versi suoi! Infuocati sguardi / Dove ripalpitano i suoi miraggi”. Eugenio Scalfari, uno mica di facili gusti, “per l’alto mare aperto” abituato a navigare, figurarsi a Novi Ligure dove nemmeno c’è il porto, durante un dibattito si lasciò andare: “Per come parla Sandro Bondi, lo incarterei e porterei a casa”. Son soddisfazioni massime, queste. E ora, questo suo sospiroso e laterale sortire dalla scena pubblica, quasi lo avvicina a un poeta che più distante da lui non potrebbe essere, il Charles Bukowski di sbronze e mignotte e ippodromi: “Scrivere una poesia non è difficile, difficile è viverla”.

Kavafis

Kavafis

 Nichi e Sandro – i due poeti che la plebea scena politica nostra hanno attraversato, e che ora abbandonano uno evocando dimenticanza l’altro bramoso di allegria – hanno vissuto in maniera diversa questa loro duplice veste di eletti e di versificatori. Sempre in Nichi, pure nel dibattere e comiziare, il poetare premeva sulla favella – frusciare e ammonticchiare festoso, tipo: “Le primarie sono una vera spinta di vita, immettono un alito profumato nel centrosinistra…”, magari: “La poesia libera l’anima. Appena posso mi rifugio nella poesia…”, oppure: “Io sono reo di porto abusivo di sogno…” (codesta ammissione risultava nel distico per la presentazione dei due dvd “Le parole del futuro”, nientemeno, “La ballata di Nichi Vendola”), così quasi uno si aspetta di sentirlo andare avanti attacando alle parole sue quelle di Lee Masters, “voi che vivete, siete davvero degli sciocchi / voi che non conoscete le vie del vento”. In Sandro, lo sdoppiamento era assoluto – mai il politico concedeva, nel pubblico confronto, il volo sognante che il poeta serbava per momenti di maggiore estro. Dualismo che lo stesso tenero vate di Fivizzano riconosceva (intervista con Sabelli Fioretti): “Ci sono due Bondi. Il primo è quello che sono, quello che credo di essere, che sento di essere. Il secondo è un altro Bondi. Quando mi rivedo in televisione mi meraviglio di me stesso. Molta gente me lo dice”. In Sandro, sempre verso l’assoluto la poesia tende – “Perdonare Dio” il titolo di una sua raccolta, “Vita vitale / Vita ritrovata / Vita splendente” certi versi dedicati a Berlusconi: senza, peraltro, voler minimamente affiancare i due soggetti. Nichi, che a sette anni debuttò con una poesia intitolata “Mamma” (un pizzico di Ungaretti e un sospetto di Gino Latilla, “son tutte belle le mamme del mondo / quando un bambino si stringono al cuor!”), fu persino capace di una bellissima filastrocca – che da Sandro Penna piuttosto felicemente dalle parti di Rodari lo spostava: “C’era una volta una piccola bocca che ripeteva la filastrocca di una gattina color albicocca che miagolava in una bicocca dove viveva una fata un po’ tocca che raccontava la storia bislacca di una bambina che sta sulla rocca e che ripete la mia filastrocca nata un po’ allocca e cresciuta barocca…”. Poi, purtroppo, con ricadute piuttosto dolorose nel quotidiano, come quando per sponsorizzare la lista Tsipras (gli sta bene!) fece il verso alla famosa poesia “If” di Kipling: “Se pensi che le persono sono più importanti delle merci. / Se pensi che la comunità sia più importante del denaro…”. Con giustificato spavento, sia i lettori sia gli elettori si defilarono.

Silvio Berlusconi

Silvio Berlusconi

 Sono stati gli ultimi due esponenti del politico/poeta, Bondi e Vendola – razza in estinzione che forse mai più si ripresenterà. Oddio, vero che il poetare è cosa somma e insieme cosa facile e incontrollabile (chi mai ci tutela da ogni matita e ogni pezzo di carta?), così che pure il genio che vergò le parole: “A XY andai / a te pensai / e questo ricordo ti portai”, così da porterle imprimere volendo sulla cotognata di Bari o sotto la gondola di plastica di Venezia o nei pressi di Padre Pio, potrebbe aspirare alla categoria. Ma se a un politico/poeta si deve pensare, inevitabilmente il pensiero corre al comunista Pietro Ingrao, appena fresco centenario, che ha pubblicato diversi libri, come “Il dubbio dei vincitori” e “L’alta febbre del fare” – senza similitudini tra questo e quelli. “Chi nel campo arde / fascine / mai saprà / di che sete nel consumarsi / è l’acre fumo / che fugge” – così certi suoi versi. E così: “Senza giurare, / quando il chiaro dorme, spalancate le fonti. / Ponete i nomi”. Spiegò Ingrao, nella sua autobiografia: “Valse allora per me la risonanza della parola e la successione dei suoi significati, il loro dilatarsi a formare una trama”. Scrisse il Manifesto (Massimo Raffaelli), esteticamente e politicamente rapito: “Per Ingrao, la poesia è infatti non una riposta anticipata o differita ai problemi del fare e dell’agire ma, al contrario, è la domanda perpetua sul senso del fare dell’agire, individuale e collettivo…”. Ci fu anche un democristiano poeta, ormai dimenticato, Bernardo d’Arezzo (ministro e pure commercialista), che diede dalla stampe due raccolte, una con prefazione di Domenico Rea e l’altra del comunista Antonello Tormbadori – e il volume presentato da Eduardo De Filippo (però). E tra i poeti un altro comunista, Maurizio Ferrara, coi suoi sonetti romaneschi da Anonimo Romano (ché “ultimo, anonimo e minuscolo fedele del Belli” Ferrara si definiva) – “Er male è com’un fumo che ciài drento, / che ’gniquarvorta er corpo fa ’na mossa / la fa lui puro, ar movese s’ingrossa / come fa la fumata sotto er vento”.

Aldo Palazzeschi

Aldo Palazzeschi

 Per il resto, piuttosto che comporre di loro, per fortuna i politici preferiscono citare. Nei momenti più solenni, più solenne s’alza la citazione. Così Occhetto, che dismette il Pci, all’ultimo congresso lacrima e chiama in soccorso Tennyson: “Venite, amici, che non è mai troppo tardi per scoprire un nuovo mondo. / Io vi propongo di andare più in là dell’orizzonte…”. E Forlani, nel cupo di Tangentopoli, reagì con Dante e il suo Inferno: “Oscura e profonda era e nebulosa / tanto che, per ficcar lo viso a fondo. / io non vi discernea alcuna cosa…”. Più prosaicamente, nel 1994, alla radio con Livio Zanetti, Berlusconi preferì farsi trasportare dai meno impegnativi versi di “Rio Bo” di Aldo Palazzeschi: “Tre casettine / dai tetti aguzzi, / un verde praticello, / un esiguo ruscello: Rio Bo, / un vigile cipresso…”. L’aveva ripassata sabato sera coi suoi figli, spiegò: “C’era la gara tra tutti i bambini per vedere chi l’imparava prima, alla fine l’ho imparata anche io”. Però. (Comunque, anni fa Berlusconi si lanciò a sorpresa in un omaggio nostalgico alla Prima Repubblica, “quando si era capaci di recitare i versi di Guido Cavalcanti per rafforzare un argomento e si era abili nel giocare di fioretto un attimo dopo aver tirato sciabolate”, e il riferimento era alla famosa disputa tra il segretario del Pci Palmiro Togliatti e il giornalista Vittorio Gorresio sull’argomento). Bertinotti, nei momenti di maggiore pathos sempre alla splendida “Itaca” di Kavafis ha fatto ricorso (un po’ metafora dell’andare a zonzo piuttosto che arrivare: perfetta per la sinistra): “Itaca ti ha dato il bel viaggio / senza di lei mai ti saresti messo / sulla strada: che cos’altro ti aspetti?”. D’Alema, quando tra i filare della sua vigna ha presentato a un perplesso e vigile Alan Friedman il suo cagnone di settanta chili, a nome Aiace, lo ha fatto citando Vincenzo Cardarelli: “Sempre obliasti, Ajace Telamonio, / ogni prudenza in guerra, ogni preghiera…”. E Veltroni, per anni e anni, si è tirato dietro certi bellissimi versi di Borges, “I giusti” – per spiegare la sua idea di sinistra, come distico al suo libro “Senza Patricio”, per conquistare la platea argentina durante un viaggio ministeriale da quelle parti: “Chi accarezza un animale addormentato. / Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto…”.

12 commenti

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12 risposte a “Sandro Bondi e Nichi Vendola due poeti in fuga dalla politica – “Vado verso la vita”, urlò D’Annunzio. Oggi lo seguono Sandro Bondi e Nichi Vendola. Dalla politica, tornano alle liriche – di Stefano Di Michele

  1. … io vorrei provare a spostare il discorso, e mi chiedo: perché la stampa si occupa di poesia quasi esclusivamente quando dei politici scrivono e pubblicano libri di poesia? – E provo a rispondere: perché fanno notizia soltanto coloro che sono già nella notizia DEL CIRCO MEDIATICO!, e MI CHIEDO: Perché la stampa non si occupa di poesia quando a pubblicare libri di poesia sono i poeti?, forse perché i poeti non fanno parte del Circo Mediatico? (anche se tutti ci vorrebbero entrare).
    La questione, quindi, è tipicamente italiana, una questione di Circo Mediatico così come si è venuto a consolidare nel nostro paese. Sia chiaro, io non intendo vietare a nessuno di pubblicare libri di poesia, in democrazia nessuno può vietare a nessuno qualcosa che non rivesta fattispecie di reato o non costituisca manifesta inopportunità, io dico soltanto che è assurdo che un Pietro Ingrao pubblichi i suoi versi nello Specchio Mondadori come se si trattasse di un vero poeta… e mi chiedo: come mai giornalisti di palazzo come Sergio Zavoli pubblicano tutti i propri libri nello Specchio Mondadori?, forse per meriti propri della scrittura letteraria? O non anche, e soprattutto, per i meriti intrinseci del loro essere giornalisti e dirigenti della RAI? –
    Tutto ciò, è evidente, contribuisce a produrre confusione e a devalorizzare la “poesia”.

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  2. Il Foglio Quotidiano? Travaglio si è fuso con Ferrara? Giorgio oggi sarà facilissimo sparare sulla croce rossa 🙂
    … L’onorevole Nicky Vendola, per esempio. Fresco autore di una raccolta di poesie intitolata “Ultimo Mare”, egli è un classico caso di bravo figliolo ridotto alla poesia da remoti e mai risolti addebiti di sensibilità. Gli capita di pensare cose intense e perfino toccanti (“Occhi tupamaros che piangono | gocce di chemio | e di rimmel. | Questa donna che spacca il muso | pure agli angeli”), ma sono schegge di sostanza avvilite da una forma tanto approssimativa da esporle a costante rischio di astrusità (“Solo la salvia conosce i segreti | fradici di grammatica | degli astri femminei che muti vagano | nelle tue cosmogonie”). Anzi: più in alto il sensibile Vendola mira col senso, più la povertà della sua prosodia ne fa strage.
    La stolida cantabilità del settenario giambico, per dirne una: può anche funzionare per catalizzare l’ecumenismo sempliciotto della denuncia sociale (“Lamento in morte di Carlo Giuliani”), ma se poi continui a ritrovartela fra i piedi, a sproposito e per giunta con accentazioni il cui pleonasmo ha tutta l’aria di un Braille ritmico (“Non credere che i giorni | dei laghi e dei pantàni | s’intrighino ai ritorni | e mutino in volàni | in cavallucci storni | in astri assai lontani”), capisci che non si tratta di una scelta espressiva bensì dell’unico modello formale disponibile nel carnet dell’autore. Cui poi si aggiunge, a completare il ritratto dell’auto-poeta rimasto alle letture coatte del liceo, l’immancabile culto necrofilo di formule putrefatte e parole auliche (“colmar”; “disseccar”, “audisco”, “miro”, “sembiante”, “abbruna”,perfino un dannunziano “sidereo”).
    Non sono difetti da poco, ma può darsiche Vendola, da qui a quando diventerà senatore, riesca a liberarsene. Frattanto gli conviene comunque provare coi buchi nella sabbia.
    ————————–
    Di giorno legifera,
    poi ahimè versifica
    Vendola by night
    Articolo di Sergio Claudio Perroni da Il Foglio del 29 novembre 2003

    … Paradossalmente, l’animo davvero poetico di Bondi si rivela solo al di fuori del suo rachitico impianto versicolare. Per esempio in certi accostamenti così belli da riuscire ad attutirne l’eco pellerossa (“Cielo capovolto”, “Vita riversa”); o nello strano tic che lo porta spesso a confondere generi genitoriali, come in “Tenero padre | Madre dei miei sogni” (suggestione apprezzabile solo sforzandosi di ignorare che il dedicatario è Veltroni) o nel “Dolcissimo Padre” riferito a “Mia moglie Gabriella”.
    Degna di menzione la trovata del prefatore Davide Rondoni, il quale, dopo aver divagato per tre pagine su quattro, si dedica finalmente ai versi di Perdonare Dio sostenendo di cogliervi “l’ultrasuono dell’estrema invocazione”. Una preghiera, grande capo Bondi: nelle sue prossime produzioni in versi, riduca le frequenze; o almeno accluda al volume il radar di cui ha dotato Rondoni. Così potremo apprezzarla anche noi, senza darle del poeta per cani e pipistrelli.
    —————————
    Versi poetastri,
    animo di poeta.
    Perdonare Bondi
    Articolo di Sergio Claudio Perroni del 16 giugno 2008 per Poetastri.com

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  3. In fatto di personaggi pubblici, l’unico vero poeta che ricordo è il grande ex calciatore Claudio Sala detto “il Poeta del Goal”

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  4. caro Flavio Almerighi

    mi dissocio dalle stroncature di Sergio Claudio Perroni e degli altri membri della redazione letteraria del Il Foglio in quanto è fin troppo facile isolare due o tre o quattro brutti versi di un autore e colpirlo… inoltre, mi risulta che essi fanno parte del medesimo Circo Mediatico Culturale in quanto si occupano di stroncare soltanto libri di autori che hanno già una loro visibilità e non di altri che non hanno la medesima visibilità. Io anni fa ci ho provato, ho inviato alla redazione de Il Foglio dei libri (di buon livello estetico) di autori ignoti e infatti non si sono occupati di libri di autori che non destavano curiosità o che non godevano di visibilità posticce e letterarie. Si tratta di un unico e medesimo Circo Mediatico tipicamente italiano.

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    • Caro Linguaglossa

      io non mi dissocio affatto e ne rido divertito, ti cito “è fin troppo facile isolare due o tre o quattro brutti versi di un autore e colpirlo”, nello specifico è più facile isolare due o tre o quattro BEI versi. D’altra parte De Montaigne aforismeggiò “Più in alto la scimmia sale, più mostra il sedere”. Giusto?

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  5. antonio sagredo

    gemellaggio fra questi due e quel coglione di Fanfani che credeva d’esser pittore sommo, e tutti i cretini intorno a dire che era sommo!

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  6. Ivan Pozzoni

    Ragazzi, se mai inizierò a scrivere scemenze simili, sparatemi. Già i signori in questione sono parte della classe dirigente che dovrebbe essere eliminata da ogni media italiano: arroganti e collusi. Poi, oltre che dire e fare cazzate, si mettono anche a scriverle. Dov’è finita la dignità? Secondo me, costoro, vivono in un mondo tutto loro, fatto di arroganza, di leccaculismi, di approvazioni incondizionate. Scendessero in strada a declamare i loro versi: senza le scorte.

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    • Ivan Pozzoni

      C’è un’Italia intera che soffre, non arriva alla fine del mese, piange lacrime di sangue, e costoro, che sono causa della situazione, come tutti i loro colleghi, costoro, che sono collusi con ogni forma di vergogna, insieme ai loro colleghi, costoro, che vivono sulle spalle degli Italiani, parassiti, come i loro colleghi, sono osannati come scrittoruncoli devastanti da circoli mediatici creati ad hoc? Costoro, e tutti i loro colleghi, senza eccezione, a me fanno un immenso schifo. Provo ripugnanza verso ciò che fanno, verso ciò che dicono, verso ciò che i loro ghostwriters scrivono. Perdonate l’intransigenza: io sono un uomo serio.

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  7. Ivan Pozzoni

    I “morti” si nascondono nel freezer, caro Gabriele.

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    • Valerio Gaio Pedini

      chiaramente trattasi di scoreggioni. Lo erano in politica e lo sono anche in versi.

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      • Sfruttare la notorietà non è cosa da poco, anzitutto bisogna essere convinti di meritarla, poi bisogna usarla con parsimonia, lasciando da parte possibilmente quei settori dove la sincerità, la modestia e la sofferenza sono elementi essenziali per essere chiamati poeti…

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