Raymond Queneau (Le Havre 1903 – Parigi 1976) fu uno scrittore attratto da molteplici discipline (filosofia, matematica, linguistica, psicoanalisi), ognuna delle quali trasfuse nelle sue opere letterarie. Il suo giovanile avvicinamento al movimento surrealista (dal 1924 al 1929) è testimoniato da Odile. Mentre implicazioni gnoseologiche, colorate da humour e invenzioni verbali contraddistinguono i successivi romanzi ambientati nella provincia e nei sobborghi urbani francesi. Sono stati pubblicati presso Einaudi Pierrot amico mio («ET Scrittori»), Zazie nel metró («ET Scrittori»), I fiori blu («ET Scrittori»), La domenica della vita, Figli del limo («Einaudi Tascabili»), Piccola cosmogonia portatile («Collezione di poesia»), Esercizi di stile («ET Scrittori», «Super ET» e «Supercoralli»), Suburbio e fuga («ET Scrittori»), Icaro involato («ET Scrittori»), Troppo buoni con le donne («ET Scrittori»), Un rude inverno («Letture Einaudi», 2009) e Hazard e Fissile («L’Arcipelago Einaudi», 2011). È stato direttore dell’Encyclopédie della Pléiade Gallimard e nel 1960 fu tra i fondatori dell’Oulipo. I suoi Romanzi sono raccolti in un volume della Biblioteca della Pléiade Einaudi-Gallimard.
«Divenni famoso in Francia con la pubblicazione nel 1959 del mio romanzo Zazie dans le métro, e con il successivo adattamento cinematografico di Louis Malle del 1960 ai tempi della cosiddetta nouvelle vague della cinematografia francese». (R.Q.)
L’instant fatal
Quand nous pénétrerons la gueule ed’ de travers
Dans l’empire des morts
Avecque nos verrues nos ux et nos cancres
Comme en ont tous le morts
Lorsque narine clos on ira dans la terre
Rejoinder tous le morts
Après degustation de pompe funéraire
Qui asperge les morts
Quand la canine molle on mordra la poussière
Que font leso s des morts
Des bouchons dans l’oreille et le bec dans la bière
Abreuvoir pour le morts
Lorsque le corps bien la fatigue médullaire
Qui esquinte les morts
Et le cerveau mité un peu genre gruyère
Apanage des morts
Quand la chose flétri les machines précaires
Guère baisent les morts
Et le dos tout voûté la charpente angulaire
Peu souples sont les morts
Nous irons retrouver le cafard mortuaire
Qui grignote les morts
Charriant notre cercueil vers notre cimetière
Où bougonnent les morts
Lorsque le monde aura marmonné ses priers
Qui rassurent les morts
Et remis notre cause ès dissiers des notaires
Ce qui forclôtles morts
Distribuant nos argent comme nos inventaires
Nos défroques de morts
Aux vifs qui comme nous enrhumés éternuèrent
Se mouchent plus les morts
Quand nous pénétrerons la guele ed’ de travers
Dans l’empire des morts
Alors il nous faudra lugubres lampadaires
S’éteindre comme morts
Et brusquement boucler le cercle élémentaire
Qui nous agrège aux morts
Il nous faudra brûler nos volontés dernièeres
À la flammedes morts
Et récapituler d’une façon scolaire
Nos souvenirs de morts
Tu te revois enfant tu souris à la terre
Qui rcouvre les morts
Et tu souris au ciel toit bleu du luminaire
L’oublient vite les morts
Tu souris à l’espace irrité de la mer
Qui engloutit les morts
Et tu souris au fe le bon incendiaire
Qui combure les morts
On te sourit à toi c’est ton papa ta mère
Maintenant simples morts
De meme que tontons cousins chats et grands-pères
Ne sais-tu qu’ils sont morts
Et le bon chien Arthur le caniche Prosper
Ouah ouah qu’ils font les morts
Et non moins décédés les glavieux magisters
De ton temps déjà morts
Et non mins macchabés le boucher l’épicière
Une cite de morts
Puis te viola jeune home et tu vas à la guerre
Où foisonnent les morts
Après tu te maries ensuite tu es père
Procréant futurs morts
Tu as bon métier tu vis et tu prospères
En profitant des morts
Te viola bedonnant tu grisonnes gros pèere
Tu exècres les morts
Puis c’est la maladie et puis c’est la misèere
Tu t’inquiètes des morts
Tiussant et tremblotant tout doux tu dégénères
Tu ressembles aux morts
Désireux d’oublier la vocable arvbitraire
Qui désigne les morts
Tu veux revivre enfin la mémoire plénière
Qui t’éloigne des morts
Louable effort! Juste tâche! Con science exemplaire
Dont sourient les morts car
Toujours l’instant fatal viendra pour nous distraire
L’ora fatale
Quando noi riluttanti penetreremo a forza
entro il regno dei morti
e ci avremo le verruche e i pidocchi e i nostri cancri
proprio come ce l’hanno i morti
quando noi scenderemo sotterra con il naso turato
a raggiungerli i morti
gustate che avremo le funebri onoranze
delizie rinfrescanti per i morti
quando coi denti molli morderemo la polvere
sbriciolata dalle ossa dei morti
e ci avremo le orecchie tappate e il muso intinto nella birra
nel “Bar delle bare”- ritrovo dei morti
quando il corpo sarà sfiancato dagli sforzi midollari
che slombano i morti
col cervello poverello bucherellato come ’na groviera
specialità della casa dei morti
quando il coso sarà moscio e tutti i pezzi fuori uso
non si scopa tra i morti
e la schiena sarà gibbosa e la carcassa deforme
mica gli piace lo sport ai morti
andremo a trovare i vermoni e gli insetti
che si mangiano i morti
trascinandoci la bara fino alla nostra ultima stazione
là dove bofonchiano i morti
quando le bizzoche avranno recitato le dieci avemaria
che rassicurano i morti
e quando avremo rimesso le nostre cause alle carte notarili
che li escludono i morti
legando i nostri beni come i nostri inventari
eccoli qua i bagagli dei morti
ai sopravvissuti che infreddoliti come noi già fanno eccì
ma il naso gli cola molto di più, ai morti
Quando noi riluttanti penetreremo a forza
entro il regno dei morti
insomma ci toccherà come lugubri lumiere
spegnerci proprio come fanno i morti
d’improvviso chiuderemo di scatto il circuito della vita
e allora così ci aggregheremo ai morti
e le nostre famose ultime volontà noi le faremo
abbrustolire sopra il fuoco dei morti
e tu ti rivedi bimbetto e sorridi alla terra
che fa da coperchio ai morti
e sorridi al cielo tutto azzurro tutto luci
dimenticato dai morti
e sorridi agli spazi increspati del mare
che inghiotte in un boccone i morti
e sorridi alla fiamma la dolcissima incendiaria
si sbriciolano in cenere i morti
ti sorride la mamma ti sorride papà
eccoli qua già morti
e i cuginetti e i micetti e i nonni e le nonne
non dirmi che non lo sai che sono tutti morti
e il buon cagnetto Empy e il cagnolino Dudù
i morti fanno Bubù e Bubù
e non sono meno morti i suonati professori
della tua giovinezza sono da tempo belli che morti
e amen per il beccaio amen per la tabaccaia
è una città di morti
e poi eccoti là ragazzo e allora vai alla guerra
dove trovi un esercito di morti
e poi ti sposi e metti al mondo
chissà quanti futuri morti
con lo stipendio mica male tu vivi e già prosperi adesso
sulla pelle dei morti
ed eccoti canuto e allargato e panciuto
tu che detesti i morti
e ti prendono i malanni e gli acciacchi miserabili
ti preoccupano i morti
tossendo e tremolando a poco a poco tu degeneri
già ti avvicini ai morti
fino al dì che poi sarai fottuto e senza scampo e allora
con riluttanza giù ti ficcheranno poi tra i morti
intento a percepire la prima sensazione
che non è per i morti
alla fine ti piacerebbe recuperare la memoria di tutto
perché ti possa separare dai morti
lodevole proposito! giusto lavorìo! coscienza esemplare
di cui sorridono i morti però
perché sempre l’ora fatale ci distrarrà verrà
Mario Fresa è nato nel 1973. Ha compiuto gli studi classici e musicali e si è laureato in Letteratura italiana. Oltre a indagini sulla cultura della traduzione letteraria, si è dedicato alla poesia italiana e francese dell’Otto-Novecento. Come poeta esordisce nel 1999, presentato su «Specchio della Stampa» da Maurizio Cucchi. Altri suoi testi appaiono nell’antologia Nuovissima poesia italiana(Mondadori 2004) e su varie riviste, tra le quali «Caffè Michelangiolo» (n. 3, 2003), «Paragone» (n. 60-61-62, 2005), «Nuovi Argomenti» (vol. 45, Mondadori 2009). È del 2002 la raccolta prefata da Maurizio Cucchi Liaison, cui fanno seguito Costellazione urbana («Almanacco dello Specchio» di Mondadori, n. 4, 2008), il poemetto Alluminio, con la prefazione di Mario Santagostini (2008) e Uno stupore quieto, introduzione di Maurizio Cucchi (La collana, Stampa, 2012). Un’anticipazione della sua nuova raccolta poetica è apparsa sul n. 16 di «Smerilliana» (2014), con un saggio di Valeria Di Felice. Collabora a riviste e a quotidiani e cura la rubrica Sguardi sul periodico «Gradiva. International Journal of Italian Poetry», di cui è redattore.
Raymond Queneau è stato uno dei rappresentanti più originali della nouvelle vague francese. in questa composizione si può leggere tutta la revulsione dello scrittore francese per ciò che comunemente s’intende per “poesia”, tutta la sua ostilità. In un certo senso questa filastrocca percussiva è una anti-poesia travestita da poesia, un “falso” copiaincollato sulla poesia, vi si ritrova una scrittura certo non amicale o di sponda, una scrittura non giornalistica ma nera, funerea come funerea era la sua ostilità al nichilismo della poesia convenzionale.
Cito di nuovo l’inizio del mio libro di critica Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea Società editrice Fiorentina, 2013:
«“Andiamo verso la catastrofe senza parole. Già le rivoluzioni di domani si faranno in marsina e con tutte le comodità. I Re avranno da temere soprattutto dai loro segretari”. Era l’aprile del 1919 quando Vincenzo Cardarelli scriveva queste parole. Era iniziata la rivoluzione della società di massa, la rivoluzione industriale era ancora di là da venire, e l’epoca delle avanguardie era già alle spalle, il ritorno all’ordine era una strada in discesa, segnato da un annunzio che sembrava indiscutibile.
Oggi, a distanza di quasi un secolo dalle parole di Cardarelli, è avvenuto esattamente il contrario di quanto preconizzato dal poeta de “La Ronda”: oggi andiamo verso la catastrofe con un eccesso di parole. Le rivoluzioni di domani non si faranno né in marsina né in canottiera, né con tutte le comodità né con tutti gli incomodi: non si faranno affatto. Una poesia come questa del Dopo il Novecento non può che nascere in un’epoca in cui parlare di “rivoluzione” è come parlare di ircocervi in scatola. Non c’è opera della rappresentazione letteraria del secondo Novecento che non tenda, in qualche modo, al verosimile e, al contempo, non additi la propria maschera. La poesia e il romanzo dello sperimentalismo, rispetto alla poesia del post-ermetismo e dell’ermetismo, ha una sofisticata coscienza del carattere di “finzione” dell’opera letteraria, ha coscienza della propria maschera, anzi, c’è in essa una vera e propria ossessione della “maschera”».
[…] Ho tentato una mappa del Contemporaneo. Senza bussola, senza periscopio: e mi si è fatto chiaro il pensiero del Nichilismo, di questo «rotolare via dal centro verso un punto “X” della periferia» (Nietzsche).
Un viaggio verso un territorio che non conosciamo.
Après degustation de pompe funéraire
Qui asperge les morts
Semplicemente le rivoluzioni di domani non si faranno. Punto. A meno che non siano state preventivamente messe in agenda e il conto economico dei già ricchi non penda pesantemente dalla parte giusta. Il mondo non si divide più in est/ovest, nord/sud, ma nell’1% di chi ha troppissimo e nel restante 99 massa inutile da assottigliare con guerre, catastrofi, epidemie. Cardarelli dsse bene quando dichiarò che i veri nemici dei potenti, unici a poterli estromettere, potevano essere soltanto i loro segretari. Complotti e ribaltoni non sono rivoluzioni.
La poesia di Queneau, ‘na groviera a parte, è ben resa nella traduzione di Mario Fresa, ne aggancia comunque lo spirito macabro e farsesco proprio di tante espressioni artistiche successive. Partiamo dal concetto che l’umanità sia destinata alla gioia, ma è destinata TUTTA alla morte.
Sono un’adoratrice di Queneau, ho letto molti suoi romanzi e trovo adorabile la dissacrante poesia sui morti. Purtroppo le cose vanno così e tanto vale riderci su.
Lidia Are Caverni
Carattere invidiabile!
“Non-poesia” mascherata da poesia troppo macabra per l’ossessiva ricerca di immagini ripugnanti.
Tutti dobbiamo morire, però immaginare da vivi lo scempio dei nostri corpi fino a questo punto mi sembra masochistico, certamente provocatorio.
La traduzione rende bene l’idea del “post mortem” di vivi riluttanti di fronte a quell’orrore.
(guele > gueule)
*
Congratulazioni a Giorgio per il suo pregevole libro.
Giorgina Busca Gernetti
Complimenti a Mario Fresa per il modo in cui è riuscito a tradurre in italiano Queneau; non conoscevo questa poesia ed è stata una bella scoperta: riflessione cadenzata d’ironia (con frecciatine varie) e malinconia, una “post-realtà” ipotizzata per delineare (e denigrare) la realtà “effettiva” e le sue brutte diramazioni. Mi ha fatto tornare alla mente- senza alcun collegamento pertinente- la canzone “Il testamento” di De André.
Chapeau!
Mariano il collegamento è pertinente nel senso che sia Il testamento di De Andrè che questa bella cavalcata zombiesca di Queneau sono palesemente ispirate alle ballete di Villon, quindi hanno una radice comune.
Un saluto.
Ecco cosa mi ricordava! Villon, un altro celebre “testamento”…Grazie per la rinfrescata 🙂
Complimenti all’amico Mario Fresa, che non delude mai.
Io la trovo fantastica e molto in linea con una tradizione antichissima, che va dallo Jacopone delle Laude a Villon alle danse macabre ai Trionfi della Morte, alle macabre sculture in cera barocche dello Zummo, che rappresentano morti di peste con estremo realismo e con tanto di verminaio.
E’ un memento mori divertente ed efficace che, lungi dall’essere spaventoso, serve invece ad apprezzare la vita proprio per la sua transitorietà. E tanto più invece rivoluzionario, perché nella nostra epoca e nell’evoluto Occidente, ubriaco di violenza, morte e guerre fomentate in casa d’altri, parlare di morte è l’ultimo e più grande tabù.
Il grande, delizioso, irriverente Queneau.
Complimenti Mario, hai saputo rendere il peso, il colore, la misura e il volume della poesia di Queneau. Non un rifacimento piatto e di poco rilievo, ma un ricreare, un rifondativo atto di verità e passione, un autentico germoglio dai pleromi del senso.
Davvero molto bella la poesia e la traduzione di Mario! Complimenti!
riferendomi soltanto a questi “versi”, il Queneau risulta un Lee Masters di 4 categoria, mancando l’epica e il lirismo: nulla di più! – il distacco dei/dai morti da aprte dei viventi – viventi ? – presenta uno stile che vorrebbe essere all’altezza del tema trattato, è invece spicciolo e di una efficacia transistoria e al lettore non resta nulla – restano nelle orecchie invece le poesie di Edgard L. M. – ma tutto ciò ovviamente non inficia il lavoro di traduzione che mi pare esemplare.
Mi scusi, ma dove vede la possibilità di un paragone con lo Spoon River di Masters? Lì sono i morti a parlare e lo fanno in tono colloquiale o solenne a seconda di chi erano in vita. E’ un testo corale e accorato. Ma soprattutto i morti parlano di VITA.
Qui si tratta di tutt’altra cosa. E’ un vivo a parlare e parla di morte. Ne parla con uno stile irridente e sbeffeggiante – e con la lingua stralunata propria del Queneau degli Esercizi di Stile – che ricorda più i Carmina Burana che altro. Volutamente “spicciolo”, come lei dice, in un registro basso, satirico, che vuole essere lontanissimo dal lirismo o dalla solennità. Una roboante risata epica a esorcizzare la morte ma anche a ricordare che in fondo si muore come si è vissuto.
E molto ben tradotto.
Un semplice apprezzamento per la proposta e per la resa in italiano di Mario Fresa, dal momento che lavorare su Queneau non è mai facile. E un abbraccio a Mario, che merita sicuramente i complimenti che ha ricevuto.
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