Annamaria De Pietro è nata a Napoli, dove ha vissuto fino all’adolescenza, da padre napoletano e madre lombarda. Vive da tempo a Milano. Ha cominciato a scrivere non occasionalmente, ma sempre, in età matura. La sua prima pubblicazione in versi risale al 1997: Il nodo nell’inventario (Dominioni Editore, Como 1997). Sono seguiti Dubbi a Flora (Edizioni La Copia, Siena 2000), La madrevite (Manni, Lecce 2000), Venti fusioni a cera persa (Manni, Lecce 2002). Nel 2005 pubblica un libro in napoletano, Si vuo’ ‘o ciardino (Book Editore, 2005), col quale paga il suo tributo alla città d’origine, poco amata, mai più visitata. Nell’ottobre del 2012 esce Magdeburgo in Ratisbona (Milanocosa Edizioni, Milano, 2012).
Appunto di Giorgio Linguaglossa
Dal punto di vista matematico, la quartina equivale a una divisione di un’unità di tempo in quattro quarti: 1/4 + 1/4 + 1/4 + 1/4 = 1; dal punto di vista metrico-tonale la quartina è composta da quattro parole-note principe che coincidono con le parole in rima (parallele o alternate). La quartina è per eccellenza una unità chiusa, può essere caudata con l’aggiunta di due versi dopo la fine, oppure può essere ciò che resta dallo smembramento dell’ottava. Scrive l’autrice:
«Un’ottava acefala, perduti i versi primo e secondo, può diventare una quartina che acquista due versi in coda. Un movimento di compensazione a saracinesca garantisce un’invincibile, e incerta, tenuta della misura […] Quartine, che nella loro brevità lapidaria chiudono il cerchio di una sentenza, quasi un aforisma, confidando alla compiuta concisione del loro stare secco, stretto e per poco, come a un piccolo ventaglio che gira attorno all’asse duro delle sue guardie, il ruolo, il compito di un’evidente, e occulta, epitome del cosmo.
E sia il laboratorio a tal punto malcerto di buone intenzioni da ammettere, qua e là, per generosa distrazione, quartine caudate scodinzolanti alla speranza, forse di attingere approssimando l’astro cordiale di un cerchio.. erranza erratica indulgente. Ma sia anche, il laboratorio, a tal punto confidente di buone intenzioni da farsi parlatorio confidenziale ove qualcuno parli a qualcuno – non contano i nomi, soltanto contano i pronomi, ganci aguzzi alla voce, all’imprecisa geometria del mondo, al ventaglio allo specchio nella mano tesa di un pi greco».
Sia come sia, «laboratorio» o «parlatorio», è indubbio che la quartina abita nella zona aristocratica della nostra letteratura, polisindeto dal «valore organolettico» e «retroattivo» come scrive l’autrice con finissima ironia, che richiede una maestria tecnica che sconfina nell’incantesimo, che ci riporta all’idea del poeta come incantatore non di serpenti ma di innocue sillabe e vocali, magistero nel quale Annamaria De Pietro forse non ha pari in Italia, un tempo patria galante della quartina e dell’ottava.
(da Annamaria De Pietro da Rettangoli in cerca di un pi greco Marco Saya edizioni 2015, pp. 160, € 15)
I portagioie
Fervido verde che al giallo confina
intorno d’oro cinto sponda a smalto
che scambia arco alla curva. Una mattina
sbatte i tappeti all’aria, verso l’alto.
Nella bella città di Nantes ti sorprende il ristorante La cigale, trionfo opulento e fresco dell’art nouveau nella sua massima declinazione animale e vegetale. Di sala in sala, e sono molte, in mania monografica le maioliche smaglianti arrampicano di superficie in superficie, senza tregua, teorie abnormi di rane, libellule, cicale, e quei fiori sinuosi, insieme turgidi e sfatti, che solo quell’arte che ultima sfuriò un rigoglioso horror vacui prima delle linee dritte e delle piazze vuote della modernità osò inventare.
Ma una sala soltanto è disponibile al tuo pasto frugale, quella che ti destinò il cameriere pittoresco; non potrai, come vorresti, di verde in verde, di giallo in giallo, di cobalto in cobalto, moltiplicare portate e tempo sala dopo sala, per tutte le sale, tutte, avidamente.
Poi col tovagliolo bianco il cameriere sventola via tutti i colori, e tu hai lasciato per sempre La cigale.
₪ ₪ ₪
Dissimmetria
Un libro senza fine solo il bordo
sinistro quale asta di bandiera
conficcherà – per la destra l’intera
tela sarà pastura a un cielo ingordo.
In che cosa consiste il rapporto fra il libro e il mondo – qui il cielo come sua parte privilegiatamente involgente? Forse nel mangiarsi reciprocamente e all’infinito lungo il frattale sega a denti del margine destro del libro, sinistro del mondo (sinistro s’intenda losco, torvo, bieco). E la costa ferma al margine sinistro del libro, destro del mondo (destro s’intenda abile agile imprenditoriale) sarà la colonna maestra della biblioteca, norma a camminamenti di scaffali.
₪ ₪ ₪
La fisica della caduta dei gravi,
ovvero
La creazione progressiva di dio
Ti prende come cadi telo teso
fra i pali che drizzarono maestranze
al soldo del gran re delle distanze,
delle altezze, dei termini, e del peso.
Quando a decine si precipitarono giù a capofitto dalle Twin Towers legione di dèi minori di tutti i miti e di tutti i riti si precipitò, con una certa calma, a squadernare per ciascun cadente, tirando ai quattro angoli, teli ben tesi di tutte le stoffe e di tutti i colori. Ma prevaleva il pizzo ad ago color del tempo (ricordi Pelle d’asino?), e così per le belle scalee dell’aria planavano a capofitto i paramenti sacri, le pianete, le gualdrappe, i tappeti volanti, fini e leggeri, ciascuno treccia e frangia dell’aria, giù agli accampamenti nomadi degli stracciai.
₪ ₪ ₪
La precessione
Audacia e niente, audacia e niente un groppo
inestricabile fanno e disfanno
come delle stagioni lungo l’anno
la precessione che previene il troppo.
Un ritardo si ammatassa nella contraddizione, un attrito che è cagione di un non poter stare al passo – ma al passo di che cosa, a quale passo, non è dato sapere; sarebbe contraddittorio pretendere di saperlo, perché proprio quello è il problema. Ma forse è un ritardo che salva, sull’orlo di uno strapiombo – strapiombo verso che cosa, quale strapiombo, non è dato sapere; sarebbe contraddittorio pretendere di saperlo, perché proprio quello è il problema. Forse là si acquatta vorace, negando ogni nuova possibile via, la consumazione logica di sasso, la sintesi, per dirla col professor Hegel. Sintesi di che cosa, quale sintesi, non è dato sapere; sarebbe contraddittorio pretendere di saperlo, perché proprio quello è il problema.
₪ ₪ ₪
Orlando
Una lebbra veniale ammala la luna.
Orlando i pozzi infetti, attorno, ai fianchi,
vanno al passo coi carri i saltimbanchi
pieni di freddo in cerca di fortuna.
Il paladino celeberrimo che smarrì sé stesso nella luna metamorfosato in un gerundio. Voglio sperare che non si senta in diritto di dileggiare gerundivi – come da vignetta umoristica vista in una rivista moltissimi anni fa.
Tornando seri, questi peregrini benandanti tristi e grigi mi fanno pensare alla lenta cavalcata dei diavoli che tornano a casa per via arida cenere dalle follie circensi dell’altro mondo in Il maestro e Margherita.
₪ ₪ ₪
Veduta
Bande di buoi senza guida né basto
vanno sparse a una stesa verde e vuota
– perché non so – vedo solo la ruota
che se li porta – non uno ne è rimasto.
Questi buoi per bande senza governo mi assomigliano ai “saltimbanchi” di Orlando (torna indietro di cinque caselle). E forse è proprio lui il mandriano senza fortuna che se li porta sulla luna dove si perdono le cose perse.
₪ ₪ ₪
Il mondo cambia
Una città piena di vento, e i viali
di foglie strane in furia di fontane,
e contro un muro si ripara un cane,
e contro i muri branchi di animali.
Ho letto libri, ho visto film nei quali accadeva questo. Ora non ricordo titoli o scene, e non ritengo necessario uno sforzo di memoria. Perché nello stesso tempo e in tutti i tempi questo accade nel mondo, dentro una guerra dei trent’anni e cento che in Bosnia, in Cecenia, in Armenia, nell’ombra oro e verde di Cuzco non ha mai cambio né fine.
₪ ₪ ₪
Da donna a donna
Vergine delle passamanerie,
conforta di alamari i miei bottoni –
per renderti la grazia ginocchioni
visiterò le sette mercerie.
La merceria è una categoria in via di estinzione. Ormai dà nel metafisico.
A Vienna, scucitisi i pantaloni, per trovarne una dovetti sì visitare le sette chiese, e infatti e non a caso la trovai ai piedi della scalinata che sale alla chiesa di Maria am Gestade. Ma ne valse la pena: era merceria affascinante (tutte le mercerie lo sono, ma quella lo era di più, lignea, e felpata, e oscura, e calma).
Ne conservo una sostanziosa cartina di aghi di tutti i tipi, anche a punta arrotondata per cucire la maglia, e una spagnoletta di cotone verde loden formato famiglia. Tutto in grande: felix Austria.
₪ ₪ ₪
La spaccatura
Io vidi la bellezza in fondo al cavo
rivolto dello specchio – non pareva
me, in altro volto tutta si frangeva,
e io dalle schegge in quel volto mi stavo.
Volto spaccato di dolore e scavo,
volto che non mi aveva.
È possibile che qui parli la matrigna di Biancaneve, Ute, la margravia di Ekkehart, scampata in Hollywood allo sguardo nientificante del nazional-socialismo. Non ci sono certezze tuttavia, e tu non credermi se vuoi.
₪ ₪ ₪
Effetto stroboscopico
Omeopatia per norma contrapponi
a passo in fuga che in fuga la rètina
segua scalando uguale. Anna Karenina
guarda guardata a tempo fra i vagoni.
Una sequenza precipitosa e aritmetica di eclissi ricorsive a rientro consegna la bellezza inconfrontabile di Greta Garbo a un ricordo a tempo, ripetibile e ripetuto all’infinito, lungo segmenti approssimati a un limite mai raggiunto, sempre e ancora raggiungibile, di luce e ombra, l’una che è divorata dall’altra e la divora, in costante retroversione del vettore esploso da un’idea-modello, o destino. Un suicidio senza fine e senza principio, declinato non come evento ma come irrisolvibile scansione armonica d’intervalli.