A cura di Giorgio Linguaglossa – Antologia Il rumore delle parole 28 poeti del Sud Edilet, Roma, pp. 284 € 18 (Carlo Cipparrone, Fabio Dainotti, Marco De Gemmis, Fortuna Della Porta, Giuseppina Di Leo, Francesca Diano), Commento di Laura Canciani

Antologia Il rumore delle parole (2)Antologia Il rumore delle parole 28 poeti del Sud Edilet pp. 284 € 18 (Sebastiano Adernò, Valentino Campo, Luigi Celi, Rossella Cerniglia, Maria Pina Ciancio, Carlo Cipparrone, Fabio Dainotti, Marco De Gemmis, Fortuna Della Porta, Giuseppina Di Leo, Francesca Diano, Michele Arcangelo Firinu, Maria Grazia Insinga, Abele Longo, Eugenio Lucrezi, Marco Onofrio, Aldo Onorati, Silvana Palazzo, Marisa Papa Ruggiero, Giulia Perroni, Gino Rago, Lina Salvi, Daniele Santoro, Ambra Simeone, Francesco M. Tarantino, Raffaello Utzeri, Adam Vaccaro, Pasquale Vitagliano) a cura di Giorgio Linguaglossa

Commento di Laura Canciani

Com’è noto, Tynianov si opponeva a una concezione evolutiva della letteratura, che secondo lui procede per salti e per spostamenti piuttosto che secondo uno sviluppo uniforme. Ad avviso del noto critico in ogni genere, osservato a un dato momento, si distinguono tratti fondamentali e tratti secondari: sono proprio i tratti secondari, i risultati e le deviazioni «casuali», gli errori, che producono nella storia dei generi mutamenti più cospicui da annullarne in certa misura la continuità. Si può parlare di continuità per la nozione di «estensione», che oppone le «grandi forme» (romanzo, poema, racconto lungo) alle piccole (racconto breve, poesia), e di continuità per i «fattori costruttivi» (per esempio, il ritmo nella poesia e la coerenza semantica – trama – nella prosa) o per i materiali; ciò che cambia è ben più importante per la individualità del genere: è il principio costruttivo che fa utilizzare in modi sempre nuovi i fattori costitutivi e i materiali.

Gli spostamenti all’interno di uno stesso genere, mettiamo la poesia, sono molto importanti per comprendere come a volte delle piccole novità conseguite in periferia possano avere ripercussioni, per vie sotterranee, sulle linee maggioritarie che si esprimono attorno alle due più grandi città italiane (Roma e Milano). Ecco allora la spinta al rinnovamento o la diversa funzione che la periferia viene a svolgere nel rinnovamento di un genere. Questa campionatura di autori del Sud viene incontro alla esigenza di indagare per quali vie sotterranee la poesia del Sud possa contribuire al rinnovamento del genere poesia ma non tanto per la forza specifica delle singole realtà regionali quanto per la capacità di fare, tutte insieme, massa e peso specifico.
Il Sud non è indagato solo come contenitore di diverse sensibilità linguistiche ma come momento propulsivo della ricerca di nuove vie di sviluppo della poesia italiana contemporanea. È un fatto che il Sud, dall’unità d’Italia in poi, se si fa eccezione per l’ermetismo di matrice quasimodiana, non è mai stato capace di produrre una letteratura egemone, grandi personalità sì, ma isolate, e questo vale anche per il genere poetico.

Eidetica

Eidetica

Altra importante problematica è la divaricazione che si è aperta tra Patrimonio e Modernità. Che rapporto c’è fra questi due poli? Patrimonio è ciò che appartiene al padre, Modernità è ciò che appartiene ai figli, ma la Modernità è stata caratterizzata dalla insubordinazione dei figli ai padri, che non vogliono più ereditare alcunché dai padri e abitare la casa paterna, per essi la Tradizione deve essere abbandonata e demolita. La Modernità nasce come critica della Tradizione, rifiuto e disobbedienza verso tutto ciò che il passato invece invita ad essere custodi. La Modernità viene ad essere recepita anche da questi autori antologizzati come la casa che deve essere disabitata, abbandonata, rigettata per poter costruire una casa propria, una casa comune in cui l’eredità dei padri sia stata rimossa. Con l’atto della rimozione, della abitudine all’uso e al riuso degli stilemi della Modernità e all’impossessamento del patrimonio ereditato, esso diventa trafugamento, appropriazione indebita. Con quest’atto la Modernità diventa Postmodernità. È questo, credo, il racconto che tra le righe ci fa l’Antologia Poeti del Sud.
Il nichilismo antitradizionale e anti patrimoniale delle avanguardie storiche è stato progressivo e unilineare, i surrealisti volevano abolire il passato per poter instaurare il regno del Futuro, dell’uomo nuovo della rivoluzione incombente; gli autori di questa Antologia aboliscono contemporaneamente Passato e Futuro, sono nichilisti loro malgrado, adottano il nichilismo come il loro usuale vestito dello Spirito, si muovono nel Presente, il patrimonio poetico europeo viene percepito come inabitabile e inarrivabile, vivono nell’età dell’incertezza e dell’ansia.

carlo cipparrone copertina

Carlo Cipparrone

Nei labirinti del sangue

Spesso mi prende un’ansia
segreta, una libidine.
Sorge dalle mie viscere
domina la mia mente
circola nei labirinti del sangue.

Tutto m’emoziona, tutto mi turba.
Non riesco a trattenere
la mano che masturba le parole
e scrivendo provo insieme piacere
e angoscia, estasi e sofferenza
fino al parossismo dell’orgasmo.

Vivo da sempre in questo
mio paradiso e inferno
di cielo e fango, di fiori e spine,
di verità e menzogne.
Ubriaco di nettare e veleno,
approvo e rifiuto
amo e odio ciò che scrivo.

*

Con povere parole
(ostinata passione
che in me sempre risorge)
do segni d’esistenza.

Vengo da un altro gelo,
dal mistero dell’indifferenza
che ogni tanto si scioglie
e cerca vie d’uscita,
lascia segni di tentati percorsi
orme incerte sulla neve.

.
Linee di fumo

All’incrocio d’umani destini
lungo i margini della via
labili tracce d’un bivacco
segnalano il mio passaggio:
resti d’una segreta fiamma
arsa in petto, d’un fuoco
che non crepita più ma tace,
esile linea di fumo,
sparsa nebbia, residuo calore
di spenta brace sotto la cenere.

*

Ciò che ora dico
serve e non serve, conta poco;
ma si deve parlare,
correre il rischio.
Perché so tutto e niente
imprecise notizie
di cui chiedo conferma.

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Fabio Dainotti

Otto poesie per Gina
Quando nacqui mia madre ne piangeva
(Umberto Saba)

*

Quando nacqui i parentes
mi affidarono a te, studentes-
sa a Pavia.
(nell’università che poi fu mia).
Così quando gli amici ti chiamavano:
“Usciamo, andiamo al cinema, a ballare”,
mi esibivi trionfante alla finestra:
“Ho il bambino. Non posso
Gli devo dare il latte”.

*

Poi alle elementari, a Frascarolo:
c’erano i pensierini sulla rosa
da fare, che tormento
invece di giocare!
“La rosa è…” dicevi, suggerivi.
Ma a me non veniva mai niente
in mente;
non riuscivo a integrare, completare.
“La rosa è la rosa, scusate”, pensavo.
Queste cose ho saputo da voi dopo.

*

Di quel giardino ricordo le ortensie
blu come il millecento che comprò
lo zio e ci portò tutti ad ammirarlo
nella rimessa di lamiera
dopo cena, una sera.
E tu eri contenta, ma non troppo,
della sorpresa.
– Ah, gli uomini!, pensavi
all’imprevista spesa.

*

Le gite, la domenica mattina:
aspettando che il pranzo fosse pronto,
mio zio mi portava in giro un po’,
nella sua auto nuova; sullo stradone grigio,
poi a un tratto sbucava in un sentiero
e si fermava, per stupirmi; c’era, che scorreva,
un fiume, il Po.

*

Compravo il latte, ero un bravo bambino,
mi dicevo. Guardavo in alto, in cielo:
mi apparivano i volti
dei genitori, lieti,
grandi come gli dei che distruggevano
con una mano le mura di Troia.
Era quella la loro approvazione.
Il premio: la televisione.

marco de gemmis

marco de gemmis

 

 

 

 

 

 

 

Marco De Gemmis

«Dove sia»

.
«Dove sia» inizia Porta la poesia
che ti lascio sul tavolo in cucina
e «Tu che fai stasera?» da un biglietto
ti chiedo, ma se sfogli il libro indietro
a pagina ventisei il poeta dice
«per essere felici bisogna andare lontano»

e spero questa pagina ti sfugga, esco
ma prima monto le chiare a neve,
due, aggiungo crema, mescolo
– ti faccio una cosa dolce –,
mescolo senza sbattere troppo
la testa contro il muro

 

I documenti della nostra vita

i documenti della nostra vita
stanno in briciole sul tavolo in cucina
come nel dopopranzo, quando
in mostra si sono messi i piatti
vuoti, dove le cose sono ridotte
all’osso: noi siamo intanto stesi
saturi in altre stanze e sui divani
ci sta dentro dalla testa ai piedi
un’auto spenta, senza un conduttore
che la possa riavviare e spostare
Leggendo Zanzotto
nell’auto che va
mentre parlate di cibo…

.
[“… le crode del Pedrè. Ebbene, se sono tornato a parlare di questo posto, dove si andava in gita scolastica quando ero bambino, è perché in quel luogo fisico c´è una volontà di resistere, anche se contraddetta da pulsazioni opposte e oscure, che è omologa alla terra e all´uomo…”]

.
voglio dirvi una cosa
ma non c’entra:
le crode del Pedrè
esplorate a ottobre
per capire lui
dove passeggia
e dove prende la poesia:
devo dirvi una cosa
che mi apparve:

acquattata pure lì
c’era la peste:
dentro le colline
stillava gocce
che salivano spedite
quasi si fosse invertito
il senso delle cose
che non c’è alcun perché
per come stanno andando

come anche lui saprà
non conviene più fermarsi
in nessun luogo

 

Libere poesiole

l’inverno che invochi
e giochi a far la pioggia
con la bocca, il ticchìo
sullo zinco al ritmo
delle gocce; o l’estate
che pensi in cagnesco
e giochi sbuffando
a sventagliarti preziosa
bestiola da salotto;
o senza stagione alcuna
(ché il tempo ormai
è cessato) come ora
che stai dormentata
e giochi la giornata
così: posso lasciarti
sola, posso lasciarmi
da solo scrivere
libere poesiole?

Fortuna Della Porta

Fortuna Della Porta

Fortuna Della Porta

Non ho incontrato la rivelazione

da: Inferno

L’orgia della notte rivela ossessione di morte.
Lacci e tridenti artigliano caviglie convulse.
L’inferno ha chiamato avvelenando i pozzi
il respiro accoglie arsenico tra i denti gialli.
Le gomene si sono tarlate.
Fino alla soglia del cielo
schioccano fiamme sulfuree:
l’ubriaco che sciacqua il vomito
al mascherone di pietra
la puttana che appiglia il reggiseno
alla catena di piombo…
Le creature delle tenebre fragili e oscene
col ventre che espelle la vita goccia a goccia
le cosce che spasimano un amante qualsiasi
l’innocenza fulminata per caso ai margini della ragione
per caso ogni miseria sembra uno sparo.

*

Se tu venissi temerario per selve forestiche
per sentieri spinosi, per zanne affilate di lonze lupi e leoni
ti accorgeresti che le strade di oggi
non portano eroi.
Mutile statue, Virgilio agonizza sul colle
braccia spolpate e nudità.
L’erba è marcia per gli amplessi rubati o saldati
per il sangue dei deportati
dalle cornee fosforescenti e i palmi di latte.
Nello Stige melmoso l’anima di pietra si torce
la città dannata rinuncia.
Marmoreo, solo il re che bara la sorte
«Scacco matto!», tripudia.
Tutt’intorno la zizzania avvilisce le onde
gli strazi delle periferie palpitano.
Non mi riconosceresti.

*

I miei genitori vissero da muratori.
Con piglio gentile costruirono scale
saggezza di ponti e scuole verdeggianti
perché all’impazienza delle idee
fosse destinato un sentiero.
Così nel mio tenerissimo tempo
a braccia spalancate e fuoco di profezia
gazzelle di chimere a testimonio
«posso», dissi fiera, ma quando il Muro crollò
prosperarono altri divisori.
Ci siamo persi. Abbiamo consentito.
La nostra saliva ha cristallizzato sale
e oggi la luna galleggia.
Così, mentre il chiarore abbandona la riva
a ridosso di rupi e preda di lupi
la lealtà dell’acqua è macchiata da rigurgiti
che infestano l’Arcadia perduta.
Nel buio le finestre pudiche vorrebbero tacitare la tv.
Nemmeno i colori abbiamo scampato
per lasciarli al futuro
e non si sa come pentirsi o rimediare.

francesca diano

francesca diano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Francesca Diano

Congedi. Viatico in undici stazioni

I

L’esclusa

Andavo per strade coperte di polvere
L’orlo della mia gonna sfilacciato
Non si curava di fango o sterco
I piedi scalzi – segnati dal rifiuto persino della terra.
Signori o plebei – non facevo alcuna differenza
Nessuna presenza era presenza
Ed ogni assenza – assenza.
Mi dolevano le ossa – ero una casa diroccata
Disabitata persino da me stessa
Preda di predatori e depredata di me.
Ero povera – di quella povertà che non conosce
Nemmeno il nome di miseria
Perché al mondo non c’era creatura
Che mi guardasse se non come sgualdrina.

Sospesa in una terra di nessuno
Dove il giorno non vira nella luce e le notti
Sono il delirio di un lebbroso.
Il loro sguardo mi sfiorava col disgusto
Di chi è avvezzo soltanto alla bellezza
Delicata che si rispetta perché consacrata
Dalla legge di Dio e degli uomini.
Io ero buona solo per sfogare la rabbia
L’istinto che si tace nel letto coniugale.
Con la rabbia impotente di uomini malati
D’onnipotenza – sapienti o rozzi contadini
Signori o poveracci – io ero buona per voi
Ma non per me. Non abbastanza
Da avere casa nel vostro cuore.
Avevate forse cuore per me?
Cagna reietta nell’istante stesso
In cui mi possedeva la vostra carne.
Ogni volta eravate assassini
Ogni volta morivo un po’ di più
Finché il mio corpo si disfece
– me viva ancora –
Non vi perdono la disperazione
Vostra sola elemosina per me
Il solo soldo con cui mi pagavate.
Poi venne lui. Mentre stavo morendo.
Lo sguardo dei suoi occhi
non lo dimentico nemmeno ora.
Quel corpo martoriato dalla vita
Lui me lo fece amare
Donandomi il perdono per me stessa.
Sul pagliericcio fetido – che accoglieva la morte
Scintillò la bellezza luminosa
Che lessi nei suoi occhi
Capaci di vedere oltre le piaghe.
E mi diede la pace.

II

Steppa

Non ero che un bambino e tu un adulto.
Ti temevo. Temevo il tuo sorriso
Come una lama sfoderata a colpire
Senza guardarti in faccia.
La tua jurta era grande e molto solida
Però a te non bastava. Eri feroce
Nella tua sete di potere.
Quell’anno fu gelido l’inverno
Più dei passati e il fuoco non bastava.
La nostra gente – gente guerriera
Soffriva il freddo.
Predatori eravamo e predavamo.
Tu più di tutti.
Io non potei evitare che mio padre
Mi abbandonasse nella steppa
Lasciandomi bambino a sostenere
Il peso di un potere non voluto.
Mi piegava le spalle e mi schiantava.
Lo subivo il potere e con che gioia
A te lo avrei ceduto.
Dunque – quando quel giorno con un’ascia
Mi aggredisti alle spalle e mi spezzasti
Le vertebre e la vita – senza guardarmi in faccia
– non eri coraggioso – io non potei capire.
Ma avresti visto – per sempre congelata
Nei miei occhi la sorpresa e l’orrore.
Cadendo altro non vidi che terra congelata
E i licheni – come ricami di trine verdegrigie
A riempire lo spazio breve del mio viso.
I tuoi occhi una steppa – morta – immota.
Non ero che un bambino e tu un adulto.

 

giuseppina di leo

giuseppina di leo

 

 

 

 

 

 

 

 

Giuseppina Di Leo

A nonno Leonardo

Su materassi di paglia dormivo da bambina
accanto la voce amata. Su due piedi possibili
il tempo sosta in attesa fino all’ultimo,
un piolo per volta, fino alla lunga stanza;
il pavimento in cemento lo scorgevi infine,
proscenio della camera dalle due finestre.
E sulla scena, l’odore delle pesche sotto il letto.

*

[Le quattro pietre]

Le quattro pietre ancorate al mare sembrano sorelle,
quattro dita in tutto afferrano il mare. Così, se tu temi
la luce vorrebbe dire dover lasciare l’uscio chiuso per
troppo ancora. Rimanda la paura. A dopo. E intanto
siediti. Resta. Con un gesto del piede allontana dunque
il pensiero dalla fronte, troppi angoli mostra il prisma,
troppi colori conta l’arcobaleno, nel sole i raggi,
tanti quanti i visi. Lontano dagli sguardi serba il seme
per piantarlo all’uso del lunario, e di quel che resta
a me basterà l’odore delle cotogne e della paglia.

*

L’uomo onda

All’inizio fu il silenzio e la terra era feconda
foreste lussureggianti racchiudevano suoni di vento
e nel mare era nascosta la voce profonda di un amore
sarebbe arrivato sulla riva nelle vesti di uomo scolpito
dal flusso delle onde, sarebbe salito sulla parte alta
e avrebbe poi urlato al silenzio il suo segreto.

«Dalle tasche del mare altri suoni arriveranno», disse al giovane fiore
e così parlando pensò lo avrebbe colto nel sonno di un’estasi.
«Si giunge lontano stando fermi», gli rispose allora il fiore
«nessuno tra noi due sa chi per primo cederà il suo stelo
al vento». Non si sa se fu lo stato di paura, irrazionale quanto basta
foriero e preannuncio di ogni altro eco terrifico a portarlo via
ma a quel dire colpì dapprima la terra sollevandola
con le mani aperte rivoltò più volte la zolla, afferrò poi
il bastone potente del comando e percosse con quello
stelo a stelo ogni singolo filo d’erba; ogni singolo gambo
si abbassò diventando tutt’uno con la terra
afferrò nuovamente con due mani la spada
l’elsa della forza lo istigò a tracciare scavi profondi nelle viscere
la terra rimasticava le sue radici d’oro e la farfalla si tramontò
in bruco e il bruco in terra, mentre l’uomo continuava a far
marcire nel sonno il silenzio prezioso di un tempo. La parola attesa
si trasformò in bestemmia, la bestemmia in rancore
fino a quando il fiore del silenzio si aperse in rosa di sangue
con due ali sui fianchi scese nell’imbuto del tempo
fino a che insieme al tempo non si squarciò il dolore.

35 commenti

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35 risposte a “A cura di Giorgio Linguaglossa – Antologia Il rumore delle parole 28 poeti del Sud Edilet, Roma, pp. 284 € 18 (Carlo Cipparrone, Fabio Dainotti, Marco De Gemmis, Fortuna Della Porta, Giuseppina Di Leo, Francesca Diano), Commento di Laura Canciani

  1. Dagli estratti che ho letto posso constatare che l’antologia ha una sua omogeneità a livello qualitativo livellata per bene verso l’alto. Sono autori ovviamente che cantano ognuno con la propria voce, bravi tutti.

    • gino rago

      Condivido pienamente il commento – breve e illuminato – di Almerighi.
      Sono voci di poesia sostenute dalla verità del vivere e si registra in esse
      un armamentario lessicale che a tratti ricorda l’ermetismo mediterraneo
      dei Gatto, dei Bodini, dei Sinisgalli.. Un “bravo” a chi le ha proposte.
      Gino Rago

  2. gabriele fratini

    I poeti presentati oggi mi sembrano molto interessanti. Un saluto.

  3. Grazie Giorgio per questo averci affratellati tutti in questa scia di parole che seguono un percorso comune, forse senza che nemmeno ne fossimo consapevoli. C’è in effetti, in tutte queste voci, una forza che ha delle caratteristiche analoghe. Non so se si possa parlare di poeti del nord, del centro e del sud, dato che la poesia non riconosce confini o limiti, però è vero che qui la ricerca parrebbe suggerire una ricerca del senso del tempo.

    Ho apprezzato la profondità e l’ampiezza della nota di Laura Canciani, però devo dire che, per quanto mi riguarda – ovviamente mi riferisco solo a me – non mi riconosco quando scrive:
    “La Modernità nasce come critica della Tradizione, rifiuto e disobbedienza verso tutto ciò che il passato invece invita ad essere custodi. La Modernità viene ad essere recepita anche da questi autori antologizzati come la casa che deve essere disabitata, abbandonata, rigettata per poter costruire una casa propria, una casa comune in cui l’eredità dei padri sia stata rimossa. Con l’atto della rimozione, della abitudine all’uso e al riuso degli stilemi della Modernità e all’impossessamento del patrimonio ereditato, esso diventa trafugamento, appropriazione indebita. Con quest’atto la Modernità diventa Postmodernità”
    L’ho detto più volte – e tutto quello che negli ultimi tre decenni ho fatto, ho scritto e di cui mi sono occupata e che seguito a studiare lo conferma – per me il passato, il lontano passato, è un immenso serbatoio di ispirazione e una fonte inesauribile a cui attingere. Dunque per me il passato non è per nulla una casa abbandonata o rigettata, né tanto meno rimuovo l’eredità dei padri, ma all’opposto -e questo insieme alla Tradizione – un luogo a cui tornare costantemente e da cui mi sento nutrita. Un passato che per me è un eterno presente con cui dialogare.
    Ripeto, questo per quanto riguarda la mia personale ricerca che traspare anche dalla poesia che scrivo.

  4. attanasio cavalli

    un giudizio balordo e inutile “I poeti presentati oggi mi sembrano molto interessanti. Un saluto.”

  5. marco de gemmis

    “Leggendo Zanzotto / nell’auto che va / mentre parlate di cibo…” e “I documenti della nostra vita”, nella parte dedicata a Marco De Gemmis, in effetti sono 2 titoli (il primo disposto su 3 versi). Se non si tiene conto di questo i testi divengono incomprensibili. Prego di modificare, dando il colore blu ai titoli, come negli altri casi… Grazie, Marco De Gemmis

  6. Giuseppina Di Leo

    Noto con particolare piacere una sorta di linea di continuità che accomuna i poeti qui presentati, e ringrazio Giorgio per questa scelta e per avermi inserita nell’antologia.
    Per quanto riguarda l’antinomia Modernità/Post-Modernità rispetto al passato e alla tradizione, mi trovo d’accordo con quanto dice Francesca Diano. Difatti anche per me il passato è costantemente presente e vivo nella mia ricerca poetica, come emerge da queste poesie. Piuttosto, almeno per quanto mi riguarda, la “disobbedienza” (Canciani) è rivolta verso quanti hanno distrutto ogni traccia di quella memoria. Ma che pure resta in me come traccia indelebile.

    • Sì, cara Giuseppina, quello che dici è molto evidente nei tuoi testi, fra i quali mi ha colpito moltissimo “L’uomo onda”. Potrebbe essere la narrazione poetica di un mito della creazione. Ha la stessa potenza visionaria e mitopoietica di un racconto delle origini.

      • Valerio Gaio Pedini

        Evidenzio che le voci più singolari sono quelle femminili (e questo è importante sottolinearlo, poiché pare che i maschietti abbiano perso violenza estetica). Francesca,Giuseppina e Fortunata risultano più fresche o più violente, o più pensate. Le altre le dovrei rileggere. Il primo mi piacicchia, i secondi mi sabicchiano (mi portano allo sbadiglio).

  7. Giuseppina Di Leo

    Cara Francesca, ti ringrazio. Dici bene, e, in effetti, L’uomo onda nasce come reazione e come atto di accusa alla violenza.

  8. Una notizia di cronaca:

    L’imam saudita contro Galileo Galilei: “La Terra è ferma”

    La Terra è ferma e non ruota attorno al Sole. È la teoria di un imam saudita, Sheikh Bandar al-Khaibari, che ai suoi studenti ha spiegato che, al contrario di quello che scoprì Galileo Galilei, non è vero che la Terra e altri pianeti ruotano attorno al Sole. In un video postato su YouTube, l’imam risponde infatti a un suo studente spiegandogli che la Terra “è ferma e non si muove”.

    Cari interlocutori del blog, forse siamo arrivati al punto centrale, ad un punto di svolta: la cultura che esprime una parte, la più fanatica, dell’Islam ha toccato uno dei fondamenti della civiltà occidentale: la libertà del pensiero e della ricerca scientifica. Per la verità, anche la Chiesa nel 600 aveva tentato di fermare la conoscenza dell’uomo condannando Galileo Galilei e costringerlo alla famosa abiura, ma, in seguito, lentamente, la ricerca scientifica e filosofica ha ripreso il suo corso e il suo sviluppo che poi portò all’Illuminismo e alla civiltà laica. Oggi è evidente che l’Occidente è chiamato in causa da una forma di belligerante oscurantismo. Come deve reagire l’Occidente? Ecco, chiedo questo ai lettori del blog. E la poesia può dire qualcosa in proposito? O deve continuare ad occuparsi delle gambe della Minetti e delle targhe delle macchine?

    http://video.huffingtonpost.it/culture/l-imam-saudita-contro-galileo-galilei-la-terra-e-ferma/3499/3497

    • Valerio Gaio Pedini

      io credo,Giorgio, sia inevitabile (come ogni oscurantismo precedente). La poesia può sempre. Solo che il suo universale non è tangibile da illuministi, come non lo è da dogmatismi idioti! sono due forme di religiosità dogmatica. Due cazzate. Dio è morto!

      • gabriele fratini

        C’è una differenza sostanziale, che nel ‘600 non c’erano prove scientifiche della teoria copernicana le quali sarebbero arrivate solo nel secolo successivo. Da Feyerabend in poi questo è appurato. Semmai la questione verte sulla tolleranza e la libertà di espressione. Ma nel ‘600 non solo la chiesa era intollerante, anche il Re Sole, il monarca inglese, praticamente ogni espressione istituzionale dell’epoca. E anche i famosi trattati sulla tolleranza dei filosofi inglesi del ‘600 e poi degli illuministi francesi del secolo successivo non erano tolleranti con tutti come sappiamo. Qui entriamo in un terreno spinoso che necessiterebbe di approfondimenti. Un saluto.

        • Valerio Gaio Pedini

          difatti io non provo antipatia per ‘sti poverini, come per i poverini occidentali. Entrambe le schiere sono schiere di imbecilli che danno degli imbecilli ad altri imbecilli.

    • Sì ho visto il filmato. Esilarante più che preoccupante. Il signore in questione usa un cubo di plexiglas (un cubo, si noti, non una sfera) per simulare la terra e il fatto che se la terra girasse un aereo non arriverebbe mai a destinazione! ahahah come se la velocità a cui gira la terra non fosse immensamente maggiore di quella di un aereo. La sua dimostrazione scientifica sta tutta qua. Fosse questo l’oscurantismo…
      Negli USA esiste la Bible Belt,una fascia consistente di stati centromeridionali, la cui maggior parte di abitanti è costituita da fondamentalisti cristiani, soprattutto evangelici. Convinti che l’unica verità in tutti i campi, compreso quello scientifico sia la Bibbia e che – secondo questi calcoli, l’universo abbia poco più di 6.000 anni. Hanno imposto anche nelle scuole e nei libri scolastici l’abolizione della teoria evoluzionistica di Darwin e cose del genere. Gli idioti ci sono a tutte le latitudini e in ogni tempo. Non è una novità.
      Però, quando l’intera Europa è stata per secoli fatta piombare nell’ignoranza e nell’oscurantismo, forse è bene ricordare che sono stati proprio gli Arabi a riportare e coltivare le scienze, la filosofia degli antichi e il libero filosofare, la medicina, mediando anche molte nozioni matematiche e scientifiche dall’India. Insomma, correnti alternate. Io eviterei di vedere l’occidente come faro di civiltà e libertà, perché non lo è affatto. Sembra, ma non lo è. E lo vediamo quotidianamente.
      Io credo che molte di quelli che consideriamo grandi obiettivi raggiunti dall’occidente siano solo riscoperte di conoscenze già esistite e dimenticate.
      Al massimo il progresso esiste nella tecnologia. Ma se poi viene usata come viene usata…

  9. E gli antichi Greci? Cronologicamente gli studi filosofico-scientifici degli Elleni fiorirono molto prima di quelli degli Arabi, i quali ne furono eredi attraverso la scuola filosofico-scientifica persiana unita ad antiche influenze indiane.
    GBG

    • gabriele fratini

      “Però, quando l’intera Europa è stata per secoli fatta piombare nell’ignoranza e nell’oscurantismo, forse è bene ricordare che sono stati proprio gli Arabi a riportare e coltivare le scienze, la filosofia degli antichi e il libero filosofare, la medicina, mediando anche molte nozioni matematiche e scientifiche dall’India”

      Attenzione a non estremizzare i luoghi comuni. Anche questa storia dell’oscurantismo medievale è una favola creata ai tempi dell’illuminismo e che gli storici oggi tendono a ridimensionare. In realtà nel medioevo occidentale-europeo si sono sviluppate svariate discipline, prevalentemente umanistiche. Nella scienza poco evoluta dell’apoca gli arabi e i cinesi erano un po’ più avanti in quei secoli, ma la tolleranza direi che non c’era da nessuna parte. Il “metodo scientifico” è nato comunque in Europa nel ‘600, ed è stata la svolta dell’evoluzione e dell’arricchimento. Ha prodotto un relativo benessere, che piaccia o no.
      La medicina è sostanzialmente un prodotto del ‘900, prima del XX secolo era quasi inesistente o inefficace. La medicina prenovecentesca di arabi e indiani era una barzelletta quanto quella degli europei.

    • Gentile Professoressa Giorgina Busca Gernetti, sempre per il buon principio di leggere attentamente prima di commentare, come Lei giustamente altrove sottolineava e su cui concordo pienamente:
      .
      “quando l’intera Europa è stata per secoli fatta piombare nell’ignoranza e nell’oscurantismo, forse è bene ricordare che sono stati proprio gli Arabi a riportare e coltivare le scienze, la filosofia degli antichi e il libero filosofare”.

      Mi pare ovvio per qualunque lettore che le mie parole si riferissero a una fase POSTERIORE alla grande tradizione greca e magnogreca che si è conservata in parte solo grazie al lavoro di copisti e amanuensi, ma che almeno fino all’Umanesimo è stata volutamente sepolta. Non così per la diffusione nel mondo arabo, che avviene attraverso la grande eredità culturale bizantina e attraverso la Siria. Non la Persia. Attraverso la Persia arrivano le prodigiose conoscenze matematiche degli indiani. Il concetto di 0 ad esempio è indiano. Anzi, i traduttori materiali dei testi greci furono i Nestoriani di Siria, cioè cristiani che conoscevano l’arabo, il greco e il siriaco e lo fecero su commissione. E’ vero anche che gli Arabi furono più interessati ai testi scientifici, medici e scientifico-filosofici dei greci che non a quelli letterari. Per cui non ci fu una traduzione araba dei poemi omerici ad esempio.

      • Gentile Professoressa Francesca Diano,
        qui in calce riporto per intero il mio breve scritto che puntualizza il merito degli antichi Greci (non nomino uno per uno i filosofi e gli studiosi di scienze matematico-astronomiche) evidenziandoli con il loro nome, non semplicemente come “antichi”, che potrebbero essere altri popoli più, meno o ugualmente meritevoli di menzione in questo campo. Se dico Greci è ovvio che comprendo i Magnogreci e gli abitanti delle isole, piccole o grandi, in cui si erano diffuse la lingua e la civiltà greche, promuovendo una grande fioritura culturale. Ricordo inoltre che, con l’Ellenismo, la cultura greca si diffuse ampiamente nei luoghi che certamente conosce, luoghi successivamente divenuti in parte Bizantini per ragioni storiche a lei certamente note.
        Ricordo inoltre il merito, da lei stessa citato, degli amanuensi benedettini che, se non furono scienziati essi stessi, perlomeno tramandarono i testi greci e latini nei vari monasteri, fioriti a poco a poco in gran parte dell’Europa per opera e ispirazione di S. Benedetto (Norcia 480 circa – Montecassino 547 circa). Non ho parlato di TRADUZIONE. Non ho citato singole scoperte o singoli concetti, per esempio lo zero (o) che lei menziona.
        Non credo, dunque, di aver scritto qualche “castroneria”.
        Leggere sempre bene prima di controbattere e possibilmente evitare sfoggio di conoscenze non attinenti le affermazioni che si vogliono controbattere.
        *
        “E gli antichi Greci? Cronologicamente gli studi filosofico-scientifici degli Elleni fiorirono molto prima di quelli degli Arabi, i quali ne furono eredi attraverso la scuola filosofico-scientifica persiana unita ad antiche influenze indiane.”

        Giorgina Busca Gernetti

  10. SIgnori, io non mi riferivo affatto agli Arabi ma agli islamici dell’Isis. Cosa ben diversa, credo. E in tema di diritti umani mi sembra che il nostro concetto dei diritti civili e di diritti umani sia su un piano leggermente più evoluto rispetto a quello che l’Isis coltiva e professa e mette in atto.

    • Valerio Gaio Pedini

      Giorgio, stai ponendo castronerie. Spiegami perché l’ebola negl stati uniti viene curata e in africa no? Spiegami perché la prima classe vive e la terza no? Spiegami perché se io dico che papa Francesco è un coglione sono fascista, ma se Francesco dice che io sono un reietto io sono un reietto? Spiegami perché tu non vieni pubblicato per Einaudi? Preferisco essere ammazzato fisicamente che moralmente, almeno so di crepare.

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