A cura di Giorgio Linguaglossa, Antologia Il rumore delle parole 28 poeti del Sud  -5 Poeti del Sud: Sebastiano Adernò PoesieValentino Campo da ChroniconLuigi Celi da Ritorno in Sicilia, Rossella Cerniglia da Antenore e altre poesie, Maria Pina Ciancio Poesie

Antologia IL RUMORE DELLE PAROLEGiorgio Linguaglossa da Introduzione  alla Antologia Il rumore delle parole 28 poeti del Sud Edilet  pp. 284 € 18 (Sebastiano Adernò, Valentino Campo, Luigi Celi, Rossella Cerniglia, Maria Pina Ciancio, Carlo Cipparrone, Fabio Dainotti, Marco De Gemmis, Fortuna Della Porta, Giuseppina Di Leo, Francesca Diano, Michele Arcangelo Firinu, Maria Grazia Insinga, Abele Longo, Eugenio Lucrezi, Marco Onofrio, Aldo Onorati, Silvana Palazzo, Marisa Papa Ruggiero, Giulia Perroni, Gino Rago, Lina Salvi, Daniele Santoro, Ambra Simeone, Francesco M. Tarantino, Raffaello Utzeri, Adam Vaccaro, Pasquale Vitagliano)

È vero quanto scrive Umberto Eco in un articolo del 12 marzo 2012 apparso su «La Repubblica»: «L’avanguardia storica (come modello di Modernismo) aveva cercato di regolare i conti con il passato. Al grido di “Abbasso il chiaro di luna aveva distrutto il passato, lo aveva sfigurato: le Demoiselles d’Avignon erano state il gesto tipico dell’avanguardia. Poi l’avanguardia era andata oltre, dopo aver distrutto la figura l’aveva annullata, era arriva all’astratto, all’informale, alla tela bianca, alla tela lacerata, alla tela bruciata, in architettura alla condizione minima del curtain wall, all’edificio come stele, parallelepipedo puro, in letteratura alla distruzione del flusso del discorso, sino al collage e infine alla pagina bianca, in musica al passaggio dall’atonalità al rumore, prima, e al silenzio assoluto poi». Ma se leggiamo la poesia che si fa oggi, di cui questa antologia ne è un esempio paradigmatico, ci accorgiamo che non si può più parlare nei termini di un Moderno che si converte in modernismo, in avanguardia e in retroguardia, secondo un classico schema novecentesco di pensiero, oggi siamo tutti diventati qualcosa d’altro, è il post-contemporaneo che si profila, il post-Presente, il Presente si prolunga nel post-Presente; il passato e il futuro entrano nella nebbia e nell’ombra, tendono ad eclissarsi.

Oggi non c’è più bisogno di una avanguardia e tantomeno di una retroguardia, siamo tutti divenuti qualcosa che sta come sulla cresta di un’onda, su un orlo topologico, e la poesia sembra girare attorno a se stessa in un movimento perpetuo, un movimento rotatorio attorno al proprio asse che non porta a nessun luogo e non sta in nessun luogo. Ma forse è proprio questo il suo punto di forza. La poesia contemporanea è rimasta orfana della filosofia, che non pensa ad essa come ad una invariante ma come ad una variante del variabile. E forse questo è un bene. Nel regime post-coloniale delle democrazie occidentali la poesia è considerata per il suo aspetto gastronomico e decorativo. La democrazia del capitale finanziario spinge tutte le arti alla decorazione e alla manifattura di uno stile da esportazione. Alla poesia non viene chiesto niente, ed essa non immagina neanche di rispondere. In mancanza di una verificazione, essa semplicemente non è. La diversità dalla scienza è sorprendente. Ma anche dal romanzo, che almeno ha un regolo, imperfetto quanto si vuole, ma un regolo: il mercato. La poesia non progredisce (e non regredisce), se intendiamo per progresso l’accumulazione di risultati che si susseguono gli uni agli altri, ma ristagna. Tale visione è conforme a un modello di ragione che pensa per invarianti, che prende luogo da un modello storicistico che tende ad appianare i risultati estetici e le problematiche entro il continuum del divenire storico, ignorando le differenze e le diversità. Si impone così, inconsapevolmente, un modello storiografico e un modello di ragione sostanzialmente aproblematico e aproteico dove tutte le vacche sono bigie.

italia che taceFine del Moderno, dunque. Fine delle filosofie forti. Fine della poesia forte. Ma, per fortuna, ciò non significa che la poesia non pensi a se stessa se non in diminuendo, anzi, mi sembra che gli autori più  avveduti di questa Antologia siano ben consapevoli di come ricomporre il piano estetico della nuova dis-locazione multifunzionale del discorso poetico, che coniuga il «parlato», le immagini e la riflessione, che coniuga il presente con il passato, il quotidiano con la metafisica,  alla ricerca di una nuova identità stilistica. La poesia sembra finalmente essersi rimessa in cammino. Parafrasando Gianfranco La Grassa, il quale scrive: «uscire da Marx dalla porta di Marx», potrei dire: «uscire dalla Poesia dalla porta della Poesia». Si tratta di una metafora, di un gioco linguistico. Ma continuiamo il gioco: accettiamo la metafora: che cosa vuol dire «uscire dalla Poesia dalla porta della Poesia»?, tutto e nulla: noi possiamo uscire dalla finestra del «Palazzo chiamato Poesia», dalla finestra del primo piano e scappare, darcela a gambe per la strada, oppure salire all’ottavo piano del Palazzo e saltare giù nel vuoto, e così finiremmo per romperci l’osso del collo. Ma saremmo morti e quindi la partita finirebbe. E poi possiamo uscire dalla porta d’ingresso e dire a tutti gli inquilini del Palazzo: «c’è del marcio in Danimarca», ovvero, «qui i giochi sono già stati fatti, le carte sono state truccate, non c’è motivo per sedermi al tavolo di gioco»; oppure, possiamo decidere di stare al gioco (le cui regole sono state scritte da altri) e fare finta che le carte non siano truccate.

E qui la partita si apre. O meglio si chiude. Oppure, come qualcuno fa, «dobbiamo far saltare tutto: il Palazzo e il sistema-poesia», «bisogna mettere della dinamite alle fondamenta del Palazzo»; simpaticissime boutades, che io trovo divertenti, irriverenti. Non ha fatto così Sanguineti con Laborintus (1956)?, operazione indubbiamente geniale, che andava in consonanza con i tempi di un paese che doveva cambiare la classe dirigente intellettuale in un momento di grande ripresa economica, di grande ottimismo e di grande rigoglio artistico e intellettuale. Ma oggi, chiedo, ci sono queste condizioni? – Quello che vedo è che siamo immersi in una Grande recessione (economica, politica, etica, estetica e spirituale), non vedo all’orizzonte un altro ceto intellettuale di scrittori e di poeti che voglia prendere il timone della vita artistica del Paese: ciascuno va per conto proprio, alla spicciolata, alla ricerca del consenso e del successo.

italia tripartitaLe varie proposte che ci sono oggi in circolazione: «poesia corporale», «poesia esodante», «poesia periferica», «poesia allo stato zero», «anti-poesia», «pseudo-poesia», «post-poesia» sembrano indicare un qualcosa che si muove in una direzione tangenziale, verso l’esterno, cioè verso la periferia del «sistema-poesia». Nella mia veste di critico non posso non prendere atto di questo fenomeno ma mi chiedo: verso la periferia di che cosa va la «poesia dello stato presente»?, si allontana del Centro?, e perché si allontana dal Centro?, e che cosa cerca verso la Periferia?, e quando raggiungerà la Periferia che cosa succederà?. E mi chiedo: ci sono oggi le condizioni affinché la direzione della poesia italiana si incontri o si incroci con le istanze dell’istituzione poesia?, con il Politico?, con la Comunità?, che sappia dialogare con la nuova civiltà mediatica?.

Ho l’impressione che la direzione presa dalla poesia italiana di questi ultimi tre, quattro decenni sia quella della deriva di «accompagnamento», prosastica, sempre più disossata, debole, gracile, facile, democratica, piccolo borghese (nel senso di comprensibile a tutti), mediatica, demotica; precisamente da quando il più grande poeta italiano del Novecento, Eugenio Montale, si è anch’egli reso responsabile della scelta di una poesia «in minore», umorale, diaristica, appesa alle «occasioni», ironica, desultoria, sussultoria, da Satura (1971) in poi, così che oggi, a quaranta anni di distanza, giunti alla foce di quel fiume, si scrive una «poesia» dell’«indifferenziato» molto simile alla «prosa», che della «prosa» ha il vestito linguistico e concettuale: vale a dire che si pensa in poesia come pensa chi vuole fare della prosa. E invece è sbagliato, qui c’è un nodo che va sciolto subito, ancor prima di iniziare la riflessione e dire una cosa molto chiara: che la poesia è una cosa che si scrive e si pensa in modo affatto diverso da quello con cui si pensa e si scrive in prosa, quand’anche ritmata. È l’ideologia dell’in-differenziato che qui ha luogo.

Italia stemma della repubblicaBrodskij una volta scrisse che la longitudine e la latitudine cambiano la lingua. Di più, la longitudine e la latitudine cambiano anche il linguaggio poetico; in esso si verificano delle interferenze, dei disturbi, delle influenze; i sostrati storici delle varie civiltà che si sono depositate in un territorio sedimentano, fermentano, e affiorano, prima o poi, nella lingua di relazione e nel linguaggio poetico. Ciò che si credeva «periferia» diventa «centro», e viceversa. La storia si diverte spesso a riposizionare le tessere del puzzle secondo un ordine imprevedibile e inimmaginabile agli inizi. E ciò è avvertibile anche in questa antologia intergenerazionale nella quale c’è una vasta gamma di ricerche stilistiche nella sostanza molto diverse da quelle che si perseguono a nord del Rubicone o al centro del Lazio. Un elemento questo da non sotto valutare che ha una sola spiegazione: la definitiva emancipazione della poesia del Sud da quella che si fabbrica nelle fucine di Roma e di Milano. La poesia del Sud non va a prendere il tè in alcuna contrada esotica, e questo è un buon risultato, non va più a rimorchio della poesia del Nord, anzi, possiamo affermare che la poesia del Sud si è completamente emancipata, ha un passo sicuro, procede in varie direzioni contemporaneamente, ricerca una propria identità. È questa la ragione fondante che può giustificare una antologia della poesia del Sud: la sua centripeta vitalità, il suo andare dentro il linguaggio poetico a far luogo dalla periferia. La diacronia del linguaggio poetico è racchiusa nel moto del pendolo, ad un periodo di espansione e di egemonia del Nord e del Centro subentra un periodo di riflusso e di rilancio della poesia del Sud.

Gran parte anche della migliore produzione poetica delle ultime generazioni sembra scrivere poesia come se fosse  dentro una «vacanza» della ragione, della Lingua, ma la lingua ha una sua ferrea legislazione fatta di regole sintattiche e semantiche che nessuno può infrangere. Spesso trovo  incomprensibili certi libri di poesia (sicuramente per miei limiti) ma anche perché ormai oggi ciascuno scrive per se stesso, ciascuno si fabbrica in privato un proprio idioletto senza curarsi di quel dialetto della comunità nazionale qual è diventato l’italiano letterario (per non parlare del fenomeno dei dialettismi poetici che sorgono un po’ come funghi in ogni parte della penisola quale epifenomeno del novecentismo tardo novecentesco). La grandissima parte dei più giovani pensa alla poesia come a un affare privato che più privato non si può, che anzi debba essere un privato privatissimo, la privatizzazione del privato, talché la lingua in cui quel privato si esprime ne è il corrispondente linguistico: di qui la «privatizzazione» della lingua in idioletto. È chiaro che in queste situazioni viene meno la necessità di un ermeneuta, il quale non ha più alcuna ragion d’essere. Per fortuna, in questa Antologia mi sembra di notare una inversione di tendenza, ci sono chiari esempi di una poesia che va verso la pubblicizzazione del privato, in cui il privato si allontana dal quotidiano e il quotidiano dal quotidiano presuntivamente posto. E questo è un segnale molto positivo.

Italia tricolorePer via del fatto che la poesia si è prosasticizzata è invalso un equivoco: che il limen divisorio tra la poesia e la prosa sia effimero, equivoco; ma gli autori di questa Antologia dimostrano quantomeno di volerlo sciogliere. C’è un nodo, se non si scioglie questo nodo non sarà possibile scrivere una poesia adulta, emancipata. Così, la poesia contemporanea rischia di stare in mezzo al guado, di nuotare in una forma ibrida, nuotare con i salvagente. Basterebbe eliminare gli a-capo e riscrivere tutto in prosa per accorgersi che spesso il testo ne guadagnerebbe in linearità sintattica e alla lettura. E allora, chiedo: perché scrivere in forma-poesia cose che potrebbero suonare meglio nella forma della prosa?; è questo il nodo che la poesia italiana contemporanea si trova a dover sciogliere. Il verso è una «entità» che bisogna provare e riprovare; innanzitutto, come prescriveva Fortini, occorre provare «la resistenza dei materiali», intendendo dire che il verso poetico è un qualcosa che offre una «resistenza» alla lettura (e alla scrittura), come la resistenza che comporta un materiale qualsiasi quando viene attraversato dalla corrente elettrica: in mancanza di questa resistenza il verso non è più un verso ma semplicemente (e rispettabilmente) prosa.

Direi che per la poesia degli autori antologizzati sia prioritario l’atto della narratività. La poesia si costruisce come una riflessione su un oggetto dove il momento dell’analisi precede appena d’un soffio il momento della sintesi. Riflessione e meta riflessione, retrospezione e prospezione, osservazione del dettaglio e visione dell’insieme. Una procedura che predilige lo scorrimento (a secondo della necessità della composizione) della narratività è una procedura che rimanda ai rapporti di inferenza e inerenza tra gli oggetti, tra le loro qualità e le loro alterità, ovvero, tra le parole. Una strada duale, sostantivale e relazionale, tra le parole e, quindi, tra i significati delle parole e gli oggetti referenziati dalle parole. Questo tipo di procedura non si differenzia da quella perseguita dalle scritture iperrealiste in auge in Occidente, ricade pur sempre nel demanio della narratività.

eugenio montale e il picchio

eugenio montale e il picchio

Narratività ed iperrealismo sembrano andare a braccetto: molti autori di questa antologia prediligono l’ingrandimento progressivo delle unità verbali prese ciascuna per sé collegate insieme mediante nessi sintattici, congiunzioni e/o particelle avversative, ricostituendo un periodare intuitivo (nel senso dell’immediatezza del linguaggio del quotidiano) al fine di rafforzare gli elementi significanti del linguaggio; oppure operano attraverso l’isolamento e l’ingrandimento di singole parole-immagini. Procedura già anticipata da un quarantennio da un film come Blow up di Antonioni, dove un fotografo, che ha scattato numerose fotografie in un parco, rientra nel proprio studio, e qui viviseziona le immagini attraverso ingrandimenti successivi e arriva ad identificare, stesa dietro un albero, una forma supina: un uomo ucciso da una mano armata di rivoltella che, in altra parte dell’ingrandimento, appare tra il fogliame di una siepe. Ci sono autori che tentano di ripristinare il giro frastico su un’orma endecasillabica, altri fingono un endecasillabo che non c’è, altri ancora derubricano la questione. È chiaro che qualcosa è cambiato, c’è un cambio di passo: il passato sembra essersi allontanato, molto di ciò che, nel bene e nel male, doveva cadere è caduto. È crollato non solo il paradigma ma l’idea stessa del paradigma: il canone si è dissolto in mini-canoni, è stato falsificato e clonato e moltiplicato in un brodo di coltura che, paradossalmente, non è escluso che possa dare i suoi frutti nell’imminente presente che si chiama futuro. È anche questa una delle ragioni di una antologia della poesia del Sud.

 

sebastiano-aderno

sebastiano-aderno

 

 

 

 

 

 

 

 

Sebastiano Adernò

– I –

Punto primo.
Carta mangia sasso
ché nato antico
e morto muto mai negò
il desiderio
di segni ed inchiostro.

– II –

Hai mai sparato per gioco?
Segna otto punti.
Se tra di voi c’è un Santo
riportalo indietro.

– III –

Eravamo in cento.
Dalla notte verso il centro.
La rete. La rete tre volte.
Poi meglio.

– IV –

A Masada comprammo fiori recisi.

Perché la stirpe stramazzata dei primi
tra base e desiderio
non avesse altro unico
di che esser felici.

– V –

Posa del sasso
in ginocchio sul greto.

La polvere è un boato.

Chiamarla storia
non rende l’uomo meno vacuo.

Valentino Campo

Valentino Campo

da CHRONICON

Libro I

Io Valentino, monaco unto nel letame
lingua di serpe
perché ho già tradito e abiurato, maledetto
il nome di questa terra che mi ha nutrito,
mi appoggio all’ombra della città che dilaga
come macchia scura che la luce non contiene.
Io sciancato, sordo perché non so sentire,
io diafano perché non so vedere
io muto perché non conosco il canto dei filistei
e mi muoiono in gola tutti i nomi di Cristo.
Nell’anno duemilatredici di nostro Signore
pesto le parole come radici
mentre la città scioglie i focolai
e il vento raschia via la pelle bruciata.
San Giorgio ha domato il drago
ma io so che la bestia non è quieta
chiederà nuova carne
sputerà altro fuoco,
si è solo confusa tra la moltitudine,
nel cavo delle narici, nell’increspatura.
Io monatto, medico ed untore
io che mi cibo col pasto dei condannati,
io messo al bando perché ho chiesto a Giorgio
di scendere da cavallo e gettare l’armatura.
Qualcuno sputa sangue nella tazza del vino
prima di consacrarlo a questa città assetata
lo allunga con acqua e brodo,
dice che così dà la biada
alle voci che ogni sera gli entrano come chiodi,
qualcuno racconta di sua madre,
viene da lontano, la peste l’ha risparmiato
come si risparmia un vitello per un’altra mattanza,
ha un campanello al piede che soffoca con l’erba
ogni volta che si caccia nel fitto del bosco.

Si sta in cerchio attorno alla fiamma,
una donna si alza per prendere le fascine,
gli uomini la guardano,
hanno smesso di tossire,
la donna canta mentre rimesta il fuoco
e il bagliore le slabbra il solco delle piaghe,
postremus inimicus evacuabitur mors
la donna intona come se fosse felice
e tutti cantano come se fossero vivi.

La peste non fa sconti, giù in città
è un luccichio di ossa, calce ovunque,
ovunque puzzo di uova marce
e quell’odore di pesce che rode il bianco,
che pare scrosti il bianco dai crinali.
I morti stanno con i vivi
ogni volta che c’è da spurgare le ombre dalla luce,
dal filamento sgrassare l’orlatura.
Nel fossato l’acqua si raggruma
e gli uomini la tengono tra i denti,
omnis qui bibit ex aqua hac sitiet ìterum,
l’arsura si sazia con l’urina
e con le foglie di menta.
Ho già spellato tutti i cardi
quando un tremolio di luce
balena tra il fuoco e la latrina davanti al bosco,
l’alba ha l’odore acre di bestia
che ha appena mutato scorza.
Oggi scenderò in città prima del suo fiato,
lavoro di routine contare le croci sui portoni,
un’addizione di segni, scorporo del dolore.
La città si lascia attraversare
come fanghiglia che tiene la preda,
seguo l’istinto del battitore che cerchia l’ombra,
fiuto la condensa calda del corteo.

luigi celi

luigi celi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Luigi Celi

Ritorno in Sicilia

È solo un sogno ritornare all’isola-culla
consegnata alla luna, al giallo diluviato
dei monti, agli impervi tornanti
ruscellanti pace e violenza.
Terra di calura e di tristezze
per le orecchie d’un Odisseo smagato,
delirio il suo omologarsi alla cultura del sovrappiù …
per chi non vuole udire le partiture del vero
sventaglia spartiti di sirene lungo-codate
tra Scilla e la madreperlacea Cariddi,
nel vento la cetra di Calipso
la voce di Nausica.
Inquietante è il dorso dell’isolapesce
ha spina dorsale di monti e lupare,
nuotano isole piccole su un’unica onda
di lava e antiche memorie.

*

Sabbie al vento nei cirri-vitigni d’uva-risa
menadi tra piedi strombolati di lava e oleandri,
dal Vesuvio fino all’Etna orizzonti di mafia
e foschi presentimenti …
Grembi partoriscono grembi e lacrime
nella stagione di paglia ardente
e tonfi sulla chiglia, nella rete dei miei lidi
l’alata scogliera ha radici d’olivo
sgorganti oro crudo.
Sul mare l’aria s-marina di biancospino
baluginano vele nell’angiporto …
Protesa alle Eolie Milazzo si inazzurra
tra delfini che incappucciano flutti
sospinti dalla brezza.
Su mutevoli nubi ali di gabbiani tagliano
nebbioline, sogni stagliati tra ombrose alghe
sguardi sperduti in specchi di negrizia …
non lontano migranti affondano in pozze
d’inaridite speranze …
palpebre galleggiano fuori di testa
sulle piccole labbra delle onde.

Rossella Cerniglia

Rossella Cerniglia

 

 

 

 

 

 

 

Rossella Cerniglia

Dalla silloge inedita Antenore e altre poesie

Ad amico immaginario

Oggi ti scrivo, amico mio dell’anima, solo navigante dei miei sogni.
La tua essenza eterea è il fluire in me delle cose che non hanno corpo.
Essere arduo, iperuranio sei, il lontano e vicino orizzonte
dove abita la notte del mio cuore, il contiguo esiziale mio dolore,
mio fratello prescelto dalla sorte di chi nulla possiede,
avventuriero del mio immaginario, ragno di me innamorato
che tesse la mia tela. Se ti cerco è perché il mondo è spoglio,
non ha che pietra e lugubre grigiore. Se ti cerco è perché la strada è sola
e niente dà ristoro: neanche una lusinga da questo cadavere immenso
qui disteso, nessun compagno di viaggio a deplorare
il tuo triste fardello, a compatire il tuo bisogno d’assetato.
Se questa è vita, è qui che giunge il mio sogno disperato:
a te che sei il prescelto, vero compagno della più oscura solitudine,
generato da essa come ombra, ma così pregna del bisogno di non essere sola!
A te, ultimo casto amore, consorte del mio viaggio
entro rive profonde e sconosciute, a te cedo le chiavi del mio cuore,
su te riverso il sogno inquietante e vuoto di una ricerca smisurata e vana
che è stata mia condanna e mia rovina: nella sua essenza invitta
s’inscrive il naufragio dell’umano, la sua inesorabile sconfitta.

.
Sera autunnale

Viene la sera autunnale
e sul sentiero tra gli ulivi
ferma l’alato piede.

Tinge la nera veste fluttuante
l’aria intorno e annera
ogni lucore, abbuia
I contorni delle cose.

L’angelo muto passa
innanzi alla finestra illuminata
e l’attimo trattiene
in un tempo senza tempo.

In un brivido lieve
trascorre
l’esile mistica sera.

 

Maria Pina Ciancio

Maria Pina Ciancio

 

 

 

 

 

Maria Pina Ciancio

*

Tutto ciò che non dico è oltre il Sud
anche questi fiori d’argento alla finestra
e questa gioia (…) così isolata nella sera
– sconsacrata da gesti che ritornano lenti
a un rituale d’avanzi

Anelli che si staccano a scuoterli troppo
e si disperdono per troppa stanchezza
troppa trasparenza d’intenti

2010-12

*

Avremmo dovuto partire
prima che l’Alba
ferisse insensata i nostri vent’anni
prima che le mani
smarrissero i fianchi
(senza sapere né dove, né come)
prima che gli occhi ferissero
altri occhi

Quando l’ingiusto
si impossessa del bene
è così che si esiste
senza parole
senza più grazia
abbozzando alla vita
soltanto uno sguardo fugace
e impoetico

2010-12

*

È dentro i vicoli d’inverno
che arrivano i fantasmi
con loro ombre lunghe
dentro corridoi lunghi

Io sempre avanti
loro indietro

di qualche passo indietro

2010-12

 

36 commenti

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36 risposte a “A cura di Giorgio Linguaglossa, Antologia Il rumore delle parole 28 poeti del Sud  -5 Poeti del Sud: Sebastiano Adernò PoesieValentino Campo da ChroniconLuigi Celi da Ritorno in Sicilia, Rossella Cerniglia da Antenore e altre poesie, Maria Pina Ciancio Poesie

  1. gabriele fratini

    I testi presentati sono anche gradevoli ma sempre un po’ di maniera, nessuno si inventa nulla, nessuno si impadronisce di uno stile personale, quasi tutti scrivono discretamente nello stile di altri, a seconda della moda del momento, e i critici per primi hanno paura delle novità. Perciò è giusto che la poesia attuale non interessi nessuno a parte i maniacali come me, e i poeti continueranno a dare la colpa alla TV e al mercato del loro essere ignorati, mai a se stessi.
    C’è una specie di legge di attrazione-repulsione in psicologia, se tu ami qualcuno egli in qualche modo lo percepisce e ricambia o comunque sarà benevolo verso di te, e viceversa se odi qualcuno questo ti sarà avverso. Se i poeti odiano il pubblico, le masse, il mercato …, tutte queste cose li respingeranno e saranno sempre più isolati. L’odio dei poeti verso le masse produce un uguale odio delle masse verso i poeti. Così è. Una poesia senza lettori è infeconda, è destinata a morire.
    Un saluto.

    • Ambra Simeone

      assolutamente d’accordo con te Gabriele!

      • Ambra Simeone

        mi riferisco a questo:

        Se i poeti odiano il pubblico, le masse, il mercato …, tutte queste cose li respingeranno e saranno sempre più isolati. L’odio dei poeti verso le masse produce un uguale odio delle masse verso i poeti. Così è. Una poesia senza lettori è infeconda, è destinata a morire.

        • Valerio Gaio Pedini

          il pubblico si sceglie. Ed è sempre stato così. Non credo che tutta la russia leggesse mandel’stam e Achmatova. come in italia nessuno leggeva villa ,ma leggevano montale. eppure è ovvio che villa fosse più avanti di montale. o meglio montale era avanti, ma fece una poesia semplice, da ignoranti, così che tutti poi facendo una poesia ignorante venissero letti. io non odio il pubblico. ma il pubblico deve scegliere. non devo donarmi, devo riferire. ma è meglio che siano isolati! certo non in questo modo, che è finto. l’isolato non copia, agisce. Van Gogh era isolato!

  2. Pingback: A cura di Giorgio Linguaglossa, Antologia Il rumore delle parole 28 poeti del Sud  -5 Poeti del Sud: Sebastiano Adernò Poesie, Valentino Campo da Chronicon, Luigi Celi da Ritorno in Sicilia, Rossella Cerniglia da Antenore e altre poesie, Maria P

  3. caro Fratini, sono d’accordo e non sono d’accordo su quel che hai scritto. Sono d’accordissimo su quanto afferni a proposito dello stato dell’arte in poesia, a livello generale l’analisi è giusta e spietata. Ti invito però a rileggere questi cinque, Campo e la Ciancio soprattutto, secondo me escono dallo schema che hai così bene disegnato e se l’antologia ha come livello medio questa qualità, vale l’intero prezzo del biglietto.

    • gabriele fratini

      Sì Almerighi in realtà Linguaglossa è un po’ un’eccezione come critico militante perché non è uno snob, riesce a trovare qualcosa di originale, ma la maggior parte sono snob

  4. francesca

    dal SuD : la voce muta che segue il venti.

    VENTO LEVANTE

    .. e sale il vento
    Che porta parole confuse di sale
    Amiche di terra ed acqua,
    voci sparite dal tempo
    imbrigliate di nuvole
    e corde spaziali..
    le voci sono corde vibranti
    e sentono dirsi…
    il vento parla volando
    con frusciate d’ali
    polifonie di paradiso,
    spazza polvere alla luna
    impazza e seduce,
    perdutamente, quiete;
    appartiene a creature in volo
    spiccato all’alba e mai interrotto.
    …il vento sale
    Nelle orme divine
    Alterate da storie di umani
    Gioviali gocce che macchiano
    Discese luminose di luna,
    casa di angeliche virtù
    precipitate come pioggia,
    abbatte il vento.

  5. Nella mia introduzione al volume sono restato sul terreno delle poetiche contemporanee, delle varie direzioni di ricerca, e mi sono soffermato sui concetti di “longitudine” e di “latitudine”, essenziali, io credo, per meditare sulle variazioni della Lingua e degli “stili” (una parola da prendere con le pinze). Dal monitoraggio sono assenti poeti che avei volentieri inserito a pieno titolo nel novero dei Poeti del Sud, ma, ahimé non ne avevo piena contezza all’epoca della stesura di questo lavoro antologico. Il mio parere è che all’interno del volume ci siano autori di sicura maturità espressiva, non è giusto fare di tutta un’erba un fascio e gettare tutto alle ortiche. Quello che a me sembra più di una opinione è che oggi la Poesia del Sud sia una realtà, non va a rimorchio delle officine del Centro e del Nord, cerca una sua strada alternativa, fermo restando che una delle caratteristiche della Post-modernità è che è caduta in disuso la critica della Modernità; oggi si assiste al superamento all’indietro della Modernità. All’idea di innovazione ininterrotta della Tradizione si è sostituita l’idea del ri-uso, del ri-ciclo. Questo fenomeno è chiaro in molto autori definiti post-moderni. Anche il romanzo del primo Novecento era nato dal rifiuto della tradizione ottocentesca (Musil, Svevo, Kafka, Proust, Joyce); il romanzo e la poesia del secondo Novecento scavalcano all’indietro le rivoluzioni formali e antirealistiche (Pasternak, Mandel’stam, Tomasi di Lampedusa, Elsa Morante, Montale). Auden ritorna al riuso intensivo della metrica tradizionale e al superamento della lirica oscura e orfica, cioè estranea alla discorsività. La Modernità a sua volta diventa patrimonio amministrato, museo, mercato. Oggi un autore che voglia essere autentico invece è costretto ad apparire antiquato, inattuale, anacronistico, antiprogressista (dal punto di vista estetico), antinovecentista…
    Ebbene, a me sembra che in questa Antologia dei Poeti del Sud ci sia in tal senso un “rumore delle parole”, una poesia che sporca le parole già divenute spurie e consunte nella loro dimora nell’universo mediatico…,

    • Ambra Simeone

      caro Giorgio,

      la tua analisi è perfetta, concordo con te, la narratività ha preso il sopravvento su una poesia ormai morta, che si sente passata e superata, anche se in verità nei testi che hai pubblicato c’è molta più forma poetica che narrativa, comunque penso che a prescindere dal concetto che tu chiami “dell’in-differenziato” ci voglia una palestra di questo non-genere per poter produrre qualcosa di diverso, non il linguaggio ex novo di cui parla Godi, che a mio modesto parere non esiste e mai esisterà!

      Io direi che la tendenza della poesia nazionale deve essere non verso qualcosa di nuovo, ma verso qualcosa di diverso, e per diverso intendo che risponda alla voglia di comunicare, ammesso che ancora ci sia, ad un pubblico, che è cambiato. E non è tramite la filosofia che si ottiene ciò, la filosofia può solo analizzare i fatti, ragionare su di essi, ma i fatti sono i fatti ovvero la parola detta, in questo caso scritta e comunicata!

      La poesia o la prosa non sono concetti superiori, sono atti di comunicazione, se difficile e diversa è la comunicazione oggi, difficili e diverse saranno le forme nella quale si esprimerà, la cosa non può essere scollegata, altrimenti il linguaggio che si produrrà risulterà artificiale e artificioso, che è quello che sta succedendo alla poesia nazionale italiana, allontanerà da essa chiunque voglia avvicinarsi e avvicina solo gli addetti ai lavori per i quali queste forme sono diventate “maniera” semplice e pura.

      Non ricordo neppure quali testi inviai per questa antologia, dovrò aspettare che mi arrivino a casa le copie, comunque allego un mio nuovo testo per i commentatori di chiara vocazione prosastica:

      – e così ti hanno detto cosa vuole uno scrittore?-

      mi rendo conto che tutti vogliono fare lo scrittore da grandi e da piccoli,
      molto piccoli cresciuti a pane e Chinaski o a Jack London e J. Daniel
      con l’idea dei mitici scrittori old ’70, alcolizzati e così tanto speciali,
      solo che poi mi sembra che più che scrittore, uno che già scrive,
      ma che non ci si sente, allora vuole fare lo scrittore famoso,
      fare l’isola dei famosi o masterchef, mi rendo conto che tutti lo vogliono,
      far vedere le chiappe in tivù o fare l’opinionista al suon di che bravo!
      essere adulati, guadagnare soldi e scrivere proprio quel che gli pare,
      sarebbe bello, bello davvero, ma chissà se per qualcuno scrivere sul serio,
      è casomai come andare in ufficio, se per quelli che a voler scrivere
      si fa solo su commissione, e ci devi campare, come era per Michelangelo,
      che al papa gli diceva “sarà finita, quando sarà finita”, non poteva altro,
      era il suo capo; mi rendo conto che tutti vogliono essere scrittori,
      avere quella marcia in più, avere un superpotere che c’è bisogno di eroi
      dicono, ad esempio non cagare gli esordienti, dire di essere come te,
      fare cose banali e ottenere tanti che bravo! o di essere clementi
      con chi non pubblica; mi rendo conto che tutti vorrebbero farlo,
      ma non bisogna aver fretta, se per ognuno si compirà il proprio destino,
      mi sembra che lo dicano tutti gli scrittori famosi, e se lo dicono loro…
      che sia questo o un altro, chi lo sa? ma se poi è un altro non fa nulla,
      vuol dire che scriveremo per un amico, e che per tutto il tempo
      tratteremo gli altri come ci è possibile, ma senza far troppo i fighi,
      che ci sentiremo esordienti tra gli esordienti, che scriveremo ancora
      perché ci piace, ammesso che lo vogliamo ancora, insomma queste cose qui.

  6. Bel pezzo, gentile Giorgio. Però mi meraviglia che si stia ancora contrapponendo il Sud al resto dell’Italia, per precisione all’odiato Nord e al Centro. La cartina dell’Italia, in cui l’Emilia-Romagna è bianca come il Centro pur facendo parte dell’odiato Nord, porta i colori della bandiera italiana. Ma esiste l’Italia, perciò la “poesia italiana”, oppure tutto si è frantumato?

    Giorgina Busca Gernetti

  7. Gianni Godi

    Cari Tutti,
    penso che sull’analisi accurata e appassionata che fa Giorgio Linguaglossa si possa essere tutti d’accordo. Fra l’altro mi ha fatto ricordare una situazione/discussione fra amici avvenuta qualche anno fa al Caffé Notegen di Roma.
    Su invito della signora Maria Teresa Ciammaruconi, poetessa e animatrice culturale, chi voleva, poteva esprimere la propria idea sul tema “Poesia – Quale futuro”.

    Sono convinto che l’esercizio poetico è da sempre di nicchia. Ho la sensazione che se si prendesse in esame la popolazione di una città qualsiasi (o di una intera nazione) la percentuale attuale delle persone di “nicchia poetica”, sarebbe più o meno uguale a quelle dei secoli passati. Questo potrebbe essere un fatto legato alla natura umana, forse al DNA di ogni individuo.

    Quella sera al Notegen, al quesito “Poesia – Quale futuro” ho voluto contraddirmi. Al fine di darmi spiegazioni più razionali, nei giorni antecedenti avevo seguito altre vie di pensiero, forse non del tutto originali e che molto probabilmente altri avevano esplorato. Con l’intento certamente birichino di disorientare i presenti ho letto il seguente testo:

    “La poesia è morta a seguito della cura in clinica psichiatrica
    Poesia – Quale futuro – senza punto interrogativo.

    Volendo, potrei rimanere poeticamente muto ed anticipare tale futuro. D’altro canto non avendo io mai preteso di essere poeta mi sento autorizzato a dire qualcosa.
    Penso di partire da quel poco che percepisco circa la situazione attuale della «poesia» in genere.
    Prima di tutto credo di non ravvisare gran differenza tra il «poetare» locale e quello fuori porta, voglio dire il mondo.
    Non sono in grado di fare sottilissimi distinguo. Forse i «poeti» cittadini sono un po’ più incazzati a causa del traffico.
    Ad ogni buon conto posso azzardare un’affermazione: avendo noi appreso a scuola che la poesia è morta siamo solo in grado di piangere in prosa dietro al funerale.
    Il crollo d’ogni vertigine creativa era inevitabile in quanto coscienziosamente dovuto. Alcuni «poeti» recenti hanno cercato e tuttora cercano rimedi orecchiando frammenti vari nel mentre girano la manopola della sintonia radio, TV o navigando nel mare Internet, tirandone fuori white noise (rumore bianco) oral-poetico, un blabla iperversale. Tutti gli altri scrivono/recitano robe demozionanti, specialmente quelli che hanno meno fame.
    Le migliaia, forse decine di migliaia di parole ritenute utili ai fini poetici, sono state quasi del tutto permutate dai cosiddetti poeti e dai media, quindi il linguaggio è diventato stantio, stanco, consumato.
    Per ragioni forse biologiche le Voci originali tacciono o quantomeno si direbbe non transitano più dalla parte destra alla sinistra del cervello. Possono apparire «poeti» forse i fisici, gli astrofisici, i biologi; di sicuro gli ultimi genuini poeti sono gli schizofrenici: questi sentono le Voci e non si preoccupano di scrivere alcunché. Ricordo di averne incontrato uno qualche anno fa sul Lungotevere all’altezza di Ponte Vittorio. Non so il Suo nome. Un Nessuno.
    A me sembra che i testi di poesia, nella forma espressiva che sappiamo, usino un linguaggio non più praticabile, inadatto a stimolare una qualsiasi emozione o meraviglia. Credetemi, emoziona di più un buon testo di fisica delle particelle, di astrofisica o di biologia.
    Forse occorre introdurre un nuovo concetto e un diverso essere-uomo che, fatti propri i nuovi mezzi, lo trasformi in un «linguaggio» ex novo (come avvenne con l’avvento della scrittura), adeguato a questa coscienza nuova.
    Questo nuovo linguaggio sta spontaneamente iniziando senza il contributo dei cosiddetti letterati professionisti? Boh!”

    Cari saluti e grazie per l’ospitalità.

  8. Valerio Gaio Pedini

    allora mi state dicendo che la poesia di Giorgio è comprensibile da tutti?Bisogna sforzarsi di entrare nella metafora o nella forma che sia. Lamarque fa una poesia per tutti, che possono leggere tutti, questo non toglie che sia una schifezza. Se decido di avere un pubblico di pagani, beh, ho un interlocutore. Non è per tutti. E’ per l’idea che le persone hanno. In Giorgio, in me o in Ivan (tutte poetiche divergenti, ma convergenti) non si compie una poesia per tutti, ma una poesia che potrebbero leggere tutti, con dei gradi d’interesse. Alla fine io ivan lo devo cercare e devo entrare nella poetica di ivan. Mentre nel minimalismo vigente poco posso fare. Ma non è vero che è solo chiuso. No, purtroppo se ti parlo del mio scaldabagno, tutti i cretini diranno “vero, anch’io ho problemi con lo scaldabagno”, quando il compito primario di un poeta è quello di mandare a cagare quello che parla dello scaldabagno. Ambra, la tua poesia ha una forma a sé stante, anche poco copiabile (anche se ti inviai una mia poesia praticamente uguale alle tue, e tu mi dissi di andare affanculo giustamente). Per me l’arte deve avere una sua violenza estetica, non mi deve accomodare. Io ho bisogno di pensare su un opera. se quell’opera non riesce a farmi pensare, significa che è priva di vita. Così vale per il cinema. Basta alle emozioni!

    • Valerio Gaio Pedini

      non dico di essere contro le emozioni, dico di non fare una poesia solo emotiva, e quindi totalmente democratica.

      • Ambra Simeone

        Valerio, come poco copiabile?
        ma se hai detto che ne avevi scritta una sullo stesso stile e anche Almerighi ci è cascato una volta, persino Codurelli! 🙂

        Valè perché dobbiamo appigliarci per forza a schemi prestabiliti?
        non ci sono più punti fissi, perché insistere?

        • Valerio Gaio Pedini

          a codurelli gli ho detto io di mettere contrasto che nella sua poesia è assente, come lo era in Neruda! però codurelli si è arreso. deve essere se stesso. Ed io non potrò mai aprirmi alla sua poetica emotiva.

        • Valerio Gaio Pedini

          il mondo è fisso! i cretini restano cretini. vuoi far diventare un cretino intelligente. accomodati! è un’illusione. che referente? quello dei dementi che leggono dan Brown, perché gli italiani leggono mondadori, Feltrinelli e Einaudi alla fin fine e di te ambra gliene frega un cazzo a nessuno. anzi se ti vedono passare per strada, ti dicono che sei una ridicola nanerottola, come se vedono me mi chiamano Harry potter, morgan o altri nomi improponibili della deficienza totale. io dovrei cambiare i lettori? ma gli umani sono quel che sono. si riproducono come conigli per poi fare guerre. ma lasciateli crepare. che si uccidano. che l’isis attacchi, per la gioia mia, che aspetto il momento in cui questa massa di deficienti, me compreso, venga spazzata via, perché proprio non capisce di esserlo, deficiente. eppure mi vien voglia di aiutare tutti. perché? so che tutti mi faranno male. so che poi inizieranno ad essere deficienti, perché sarà un’ abitudine. ma io non sto bene. sono troppo malato per fare parte del mondo umano, che compie azioni turpi, e poi dà la colpa agli altri. ma basta! fa bene quel coglione di Fratus a scrivere degli alberi. fa bene. eppure fa male. cosa dobbiamo fare? come? perché?

      • Valerio, sono assolutamente d’accordo con te per quanto riguarda le emozioni. Queste cosine volatili ed effimere. Con quelle non si fa poesia. Al massimo servono a creare qualche baluginio di richiamo a qualcosa che è ben più essenziale: il pensare. Il pensiero che sta come solide fondamenta della costruzione. Possiamo anche chiamarla la poetica. se l’arte dovesse limitarsi a emozionare….

    • gabriele fratini

      Pedini cos’ha ha contro le poesie sullo scaldabagno? Io le adoro e le dedico questa, giacché mi regala sempre momenti di grande ilarità, I DILEMMI DELLO SCALDABAGNO … 🙂

      Chiare, fresche e dolci acque
      disfunzione delle pompe,
      la caldaia che si rompe
      e un problema presto nacque:

      la domenica davvero
      non c’è idraulico che presta
      il servizio nella festa
      con due gradi sotto zero.

      • Ambra Simeone

        Gabriele,

        la tua poesiola sullo scaldabagno è meravigliosa! 🙂
        chapeau

        • Valerio Gaio Pedini

          Fratini invece con la sua presunta ilarità mi crea depressione. Ed Ambra ancora di più. Già lo dissi a Menna: per comparire, dareste il culo. Questa apertura è solo chiusura. Ed il povero Menna mi bloccò perché io gli dissi di non pubblicare merda su Erato, per uno che non nota alcunché, nemmeno la sua incapacità di giudizio. Uno che vuole essere in pace col mondo è un imbecille e imbecille resta. Uno che non prende posizione è imbecille. Io non sono aperto a Fratini. Non c’è niente di nuovo, né di diverso, né di discutibile,ancheperché il Fratini in sé per me è una piaga per il genere umano!

          • Ambra Simeone

            mi scuso da parte di Valerio per quello che ha appena detto sul blog, ci stiamo chiarendo privatamente!

            • Conviene che tu ti chiarisca privatamente con lui anche su quello che dichiara tu desideri fare sulla mia faccia. Per fortuna è sputo, non acido, ma con certe menti non si sa mai…
              Giorgina

              • Ambra Simeone

                Cara Giorgina,

                non capisco, temo di essermi persa qualche episodio delle puntate precedenti. Sappi che quel che dico lo dico solo sotto il nome di Ambra Simeone per cui non prendere in considerazione alcuna cosa detta da altri.

          • Ambra Simeone

            la poesia di Fratini è meravigliosa perché mi ha fatto ridere, niente di più, non dico mica che sia il nuovo Leopardi… e penso che anche lui non si sia preso sul serio nello scriverla! 🙂

  9. Valerio Gaio Pedini

    perché l’essere umano è una fornace di merda e da merda va trattata. Non spero per l’essere umano, come l’essere umano non spera per me. Anni di derisione, di insulti, di minacce, di pugni, per chi? per cosa? E’ l’essere umano che mi ha fatto questo, mica il mio essere grasso o magro o timido o fuori dalle righe. devo pensare all’uomo. ad una coltre di imbecilli. Va bene, che si sappia che tutti sono imbecilli.

  10. Per principio, io non ho contrarietà verso le poesie sullo scaldabagno o sul frigidaire, o il lampadario che oscilla o il telefono che squilla… tutto sta nel trattamento che se ne dà, nella quantità di intelligenza artistica che un pittore ci mette dentro la tela che raffigura uno scaldabagno o un poeta che fa poesia sullo scaldabagno. Van Gogh del resto non fece anche una pittura degli oggetti poveri (le scarpe, la sedia)? E con che risultati ! A mio avviso quando Magrelli fa poesie sullo scaldabagno o sul sesso della Minetti, lo trovo corrivo e banale, però non ho mai detto che non si possa fare poesia intelligente sullo scaldabagno o su Erica o su fatti di cronaca. È difficile fare poesia non noiosa. Fratini ci prova, ed è bene che ci provi sapendo però che la strada è in salita, perché gli oggetti si ribellano alla loro nominazione vacua.

    • Valerio Gaio Pedini

      saranno antipatie mie per Fratini. sono io il problema. Giorgio, tu pensi che sia necessario fare poesie su uno scaldabagno, quando lo so benissimo che se mondadori pubblicasse fratini o pubblicasse me tu ci stroncheresti subito e lo farei anch’io. Van Gogh aveva una necessità. Nessuno sognava di farlo. Lui sì. ruppe. qui tutti parlano di scaldabagno.

      • Valerio Gaio Pedini

        io e fratini non siamo diversi. Siamo due poveracci che provano ad essere diversi e continuano a dirsi che fanno schifo,perché siamo dementi e dovremmo capire di essere tutti sulla stessa scia, che è quella di merda lasciata dal ‘900 (futuristi a parte).

        • gabriele fratini

          Pedini, tra un’offesa e una parolaccia è in grado di esprimere anche un pensiero compiuto e comprensibile?

          Gentile Linguaglossa, era solo uno scherzo, una poesiola burlesca, genere senza pretese che personalmente adoro. Buona serata.

      • gabriele fratini

        Gentil Pedini, vedo che stasera
        le scureggia le tastiera,
        volentieri la lascio ai suoi pensieri
        aulenti olezzi ciarlieri,
        cordiali saluti e buona sera 🙂

  11. Valerio Gaio Pedini

    comunque beviamoci un buon infuso di erbe aromatiche e miele: siamo tutti amici. Denunciamoci e poi brindiamo alla denuncia. Uccidiamoci e poi festeggiamo. ho peccato di rancore nei confronti del fratini, ma non me ne voglia, non è colpa sua, né mia. Chiariamo questo disguido diplomatico e andiamo a mangiarci del bambù, perché come Kafka, sono vegetariano. Baci baci.

  12. Valerio Gaio Pedini

    la applaudo, per queste sue vacue parole. Ma Lutero fra una scoreggia e un’altra fece la riforma protestante.

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