Umberto Giovannangeli “Isis contro l’Italia, i nostri connazionali nel mirino del Califfato. Intervento in Libia sempre più vicino”

L'ISIS AVANZA IN LIBIA. LA FARNESINA, LASCIARE IL PAESEhttp://www.huffingtonpost.it/2015/02/14/isis-contro-italia-libia_n_6684274.html?1423940277&utm_hp_ref=italy

Ormai la domanda non è più “se” ma “quando” e “come”. Quando e come la comunità internazionale interverrà in Libia per evitare che il Paese nordafricano alle “porte” dell’Italia si trasformi nella trincea avanzata verso l’Europa dello Stato islamico. Ora è ufficiale. Oltre che sulla Santa Sede, la bandiera nera dell’Isis intende sventolare su Palazzo Chigi, il Quirinale. E la Farnesina. Da oggi il “Califfo Ibrahim” ha dichiarato ufficialmente guerra all’Italia. Come prima è avvenuto con la Francia, la Gran Bretagna, l’America. Il governo italiano entra ufficialmente nella lista dei nemici dello Stato islamico (Isis), che ha oggi definito il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni «ministro dell’Italia crociata». L’edizione mattutina del giornale-radio di al Bayan, l’emittente che trasmette dalla capitale dell’Isis in Iraq, afferma che Gentiloni, «ministro degli Esteri dell’Italia crociata», «dopo l’avanzata dei mujahiddin in Libia ha detto che l’Italia è pronta a unirsi alla forza guidata dalle Nazioni atee per combattere lo Stato islamico».

L’espressione «Nazioni atee» in arabo è un riferimento implicito alle Nazioni Unite: le due espressioni in arabo sono molto simili. Il ministro degli Esteri aveva annunciato venerdì la disponibilità italiana a guidare una missione Onu in Libia. Sabato è tornato sul tema: «Noi combattiamo il terrorismo in prima linea. Già ora l’Italia è in prima linea nella lotta a terrorismo sul piano militare, politico, culturale. Questa battaglia dobbiamo farla anche in Libia di fronte alla minaccia terroristica che cresce a poche ore di navigazione. Certamente in una cornice Onu, ma non possiamo sottrarci alle nostre responsabilità per ragioni geografiche, economiche e di sicurezza», ha spiegato il ministro degli Esteri nel corso del suo intervento al convegno «Come cambia il mondo», organizzato dal Pd. «Lo sto dicendo con nettezza in questi giorni – ha aggiunto – perché so che la situazione si sta deteriorando. Nessuno pensa a fare interventi al di fuori di un progetto politico ma dobbiamo renderci conto che la situazione si sta deteriorando e il lavoro politico diplomatico deve essere una priorità», ha detto. «Per navigare in questo mare in tempesta – ha sottolineato – serve un grande impegno di governo e Parlamento».

Gli impegni del ministro Gentiloni sono mantenuti, confermano fonti diplomatiche all’Huffington Post, ma nessuno sottovaluta le minacce dell’Isis. Un rischio che non riguarda solo i politici e le figure di governo. E’ l’Italia ad essere entrata nel mirino. Il che significa che, soprattutto nelle aree dove è più radicata la presenza di milizie dello Stato Islamico o di al Qaeda, i nostri connazionali sono potenzialmente persone da rapire, obiettivi dei “guerrieri di Allah”. Per questo è stato accelerato il piano di evacuazione dalla Libia, così come la chiusura della sede diplomatica a Sanaa, in Yemen.

Un passo indietro nel tempo. Breve. Dieci gennaio 2015: il Vaticano è «il prossimo obiettivo dell’Isis» e i servizi di intelligence statunitensi hanno già «avvertito» la Santa Sede. Gli 007 italiani confermano che il cuore della cristianità è un «possibile obiettivo» dello Stato islamico, ma al momento «non ci sono segnali concreti» che possano far pensare ad un attacco imminente. La terribile minaccia, riferita in apertura del telegiornale dalla tv di Stato israeliana, Canale 1, arriva a poche ore da un altro allarme, «Roma è nel mirino», riferita dalla Bild tedesca, che cita a sua volta informazioni ottenute dalla National Security Agency (Nsa) americana.

Qualche giorno dopo, Marco Minniti, sottosegretario con delega ai servizi, a “In mezz’ora” fa il punto sulla situazione legata ai fatti di Parigi e alla minaccia del terrorismo in Italia e in Europa.”Non c’è un comando, una centrale strategica del terrorismo. C’è riferimento politico e culturale per le cellule che si muovono sul territorio. Singole persone e piccoli gruppi che si muovono sul territorio, spiega il sottosegretario. “C’è filo che lega ultimi attentati: un singolo individuo o piccolissimi gruppi. Non c’è uno che comanda, ma c’è qualcuno che ispira”. Per questo, “il tasso di imprevedibilità è molto alto, e questo è un problema”. La risposta giusta non è quella di impedire la libera circolazione delle persone: “Il problema non è sospendere Schengen, ma è l’opposto. Scambiarsi le liste dei passeggeri è una forma di tutela reciproca, tutela Schengen”. Intervistato da Repubblica, Minniti sposta l’obiettivo: i jihadisti italiani “li conosciamo e li seguiamo quasi in tempo reale”. Quelli europei, invece, “sono liberi di circolare nei Paesi dell’Ue e di venire anche qui da noi”. Il nemico ce l’abbiamo in casa, insomma, e “dovremo farci i conti almeno per i prossimi 10 anni”.

La stima è di 50 jihadisti italiani impegnati in Medio Oriente. “Li conosciamo, ma sono gli altri, quelli con passaporti europei, che ci preoccupano. Solo della metà sappiamo identità e movimenti. Provengono dal Nord Europa e dai Balcani. Sono loro che ci allarmano di più”. Quanto alla Libia, è ormai molto esigua – dopo la grande evacuazione dell’estate scorsa dovuta agli scontri tra i miliziani di Fajr Libya e quelli di Zintan per il controllo di Tripoli – la presenza di italiani nel Paese. L’Eni fa sapere che il suo personale è limitato “ad alcuni siti operativi offshore”, mentre resiste il presidio, seppure ridotto all’osso, nell’ambasciata a Tripoli. Non si hanno invece ancora notizie di Ignazio Scaravilli, il medico catanese “scomparso’” dalla capitale libica il 6 gennaio.

L’avanzata delle milizie Isis e delle tribù che le fiancheggiano in Libia, accelera i preparativi per quello che sempre più si considera una “necessità inevitabile”: intervenire militarmente nel Paese nordafricano. Passo dopo passo si va in questa direzione. La chiusura dell’Ambasciata italiana a Tripoli – questione di giorni secondo quanto apprende l’Huffington Post – ha anche questa doppia valenza: simbolica e operativa. Simbolica, perché sta a significare che nel “non Stato” libico ormai il linguaggio della diplomazia non ha più senso, nessuno è disposto ad ascoltarlo, e non esiste una autorità interna capace di tradurlo in arabo. E una valenza operativa, perché sottrae il nostro personale diplomatica a possibili azioni di rappresaglia da parte dei miliziani di al-Baghdadi.

I colloqui tra le varie fazioni libiche stanno andando verso un fallimento annunciato. Ciò che resta dell’esercito libico non è in grado di fare argine all’avanzata degli uomini del “Califfo” neanche a Tripoli. La Cirenaica è ormai una sorta di Stato della jihad. Dalle aree controllate dalle fazioni qaediste passate al servizio dello Stato islamico è iniziata la “jihad dei barconi”. Washington preme perché l’Italia si faccia, come in Libano, capofila di un intervento “stabilizzatore” in Libia. Il che significa uomini, mezzi, impegno sul campo. Un compito a cui Roma non può sottrarsi. E’ solo questione di tempo. Ma in Libia dovremo tornare. In armi.

114 commenti

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114 risposte a “Umberto Giovannangeli “Isis contro l’Italia, i nostri connazionali nel mirino del Califfato. Intervento in Libia sempre più vicino”

  1. cari interlocutori del blog,
    abbiamo deciso di pubblicare questo articolo sulla situazione politica internazionale che è stata denominata da personaggi ben più illustri e autorevoli di chi scrive “la quarta guerra mondiale”. Riteniamo che una riflessione sulla situazione politica e strategico-militare in Europa e attorno all’Europa non possa non riguardare anche un blog che si occupa di letteratura e di poesia in particolare; la poesia non vive in un mondo avulso dalle tensioni internazionali, non vive nelle piccole beghe quotidiane dell’io come da molti decenni ci si è abituati a credere. È bene gettare lo sguardo oltre l’asfittico mondo dell’io e osservare con attenzione l’orizzonte della Storia e dei destini umani. Sì, ritengo che la Storia imponga a chi si occupa di una cosa così “alata” come la poesia di prendere atto che il mondo lì fuori brulica di tensioni e di violenza e che la poesia non è un porto franco che si può ritenere al riparo dai venti di guerra che già cominciano a soffiare.

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  2. Gentile Giorgio,
    ottima esortazione la tua, però…
    Nel mio piccolo, pur dedicandomi prevalentemente alla poesia di genere lirico, quindi imperniata sull’ “io” e sulle sue emozioni, in tre dei miei libri ho dedicata un’intera sezione alla tematica denominata “civile”, di cui l’ultima reca il titolo “Macchie nere” nel libro “Parole d’ombraluce”. Benché non in tutti i miei libri sia presente una simile sezione, nemmeno nell’ultimo in corso di pubblicazione, ho partecipato a varie antologie tematiche d’argomento civile curate dall’indimenticabile Gianmario Lucini e dal giovane Lorenzo Spurio. Inoltre, pur scrivendo anche altre cose vicine alla poesia, la quale “non vive in un mondo avulso dalle tensioni internazionali”, come giustamente scrivi, ho sempre dinanzi agli occhi ciò che di orrendo avviene appunto nel mondo perché leggo i quotidiani, vedo vari telegiornali (talora con scene raccapriccianti), quindi non vivo chiusa nel mio “hortus” etereo.
    Ho vissuta, con occhi infantili, una guerra e mi è bastata. Non ne vivrò un’altra!
    Giorgina

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  3. Valerio Gaio Pedini

    i telegiornali sono non luoghi d’abbattere perché costituiscono una minaccia interna: mettono nel panico. Invece ci vuole freddezza. Questa guerra va avanti da trent’anni, purtroppo. E ne siamo partecipi da tempo, solo che si evolve, le forze in gioco si spostano ed in un attimo tutto ritorna un’incognita. Perché questa è una guerra di incognita propriamente. L’occidente non ha ancora ben compreso come arginarla, perché non ha letto attentamente Sun Tzu, e perché non si ricorda Attila, perché è priva di sintesi. Purtroppo gli italiani, quelli che vanno in Tv, o quelli che scrivono libracci, quali Quirico e Rampini o i reporter impreparati che confondono terminologie che non conoscono disinformano i cittadini. Se si va con forze a schiera è inutile. Non deve essere la nostra forza. L’Isis esercita nell’imboscata. Dobbiamo comprendere i meccanismi di questa guerra. Secondariamente i componenti in Italia aumenteranno. Non so dove si andrà.

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  4. Valerio Gaio Pedini

    il problema dei media di massa è il mutismo logorroico, che fa sì che parlino male.

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  5. C’è chi scrive molto male! Inoltre, chi non ha il dono dell’ubiquità, cento occhi e mille orecchi, come fa a sapere che cosa è successo nel tal Paese, per esempio a Parigi qualche tempo fa?
    GBG

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  6. Valerio Gaio Pedini

    Giorgina, torna a palazzo da dove vieni, dato che non ho offeso te. Sono stato allievo di Giampaolo Capisani, uno dei più importanti geopolitici internazionali, che guarda a caso è sconosciuto in Italia, per gli intrighi di palazzo. Secondariamente se tu dici una cosa e non elabori una motivazione, allora la gente che già vive nella presunzione di sapere vedendo i notiziari e non studiando un cazzo, penserà di sapere, quando deve essere nel dubbio. Altra cosa: i media di massa livellano, un po’ come la morte. Ma livellare la mente è una cosa peggiore. I tre quarti dei reporter non sanno un cazzo della storia del paese in cui vanno, né vogliono saperlo. Li spediscono. Io scrivo male, ma so quello che scrivo. A differenza di qualche maestrina che predica, ma vale poco, sa poco e pensa di sapere. Io so di non sapere, per questo cerco di sapere. Ma il popolo ha bisogno della curiosità per cercare le fonti. Non ce l’ha. Basta.

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    • Egregio Sig. Valerio Pedini,
      prima di tutto Lei non ha il diritto di interpellarmi per nome, cosa che Le è già stata rimproverata varie volte.
      In secondo luogo nel mio commento. anzi, nei due commenti, non compare mai il Suo nome, quindi non vedo perché Si disturbi a rintuzzare ciò che io ho scritto.
      Una persona educata non intima a un’altra: “torna a palazzo da dove vieni”, dando del “tu” e usando l’imperativo. Quale palazzo? Che ne sa di me e da dove vengo?
      Richiamo l’attenzione degli amministratori dr. Giorgio Linguaglossa e dr. Marco Onofrio perché rimettano al suo posto questo “giovane arrabbiato” insegnandogli come ci si comporta in un blog rispettabile e suggerendogli di non nominare continuamente quella sua “appendice maschile” quando si rivolge a me.
      Grazie
      Giorgina Busca Gernetti.

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      • Valerio Gaio Pedini

        nemmeno lei per cognome. Io non sto zitto di fronte a lei. Sia più umile. Non le devo alcun rispetto, come lei non lo deve a me. Il mio nome è implicito. E il suo nome mi è sempre stato sgradevole. La saluto. La finisca di chiamare Giorgio. Non l’ho offesa. Se vuole che la offendo, la offenderò davvero. Vedo una minaccia. Rimettano a posto? Che significa? Chi è lei? Io sono niente. E lei?

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        • Richiamo di nuovo l’attenzione degli amministratori su queste “perle” a me rivolte dal “giovane arrabbiato”. Grazie.
          Giorgina Busca Gernetti

          “Non le devo alcun rispetto”, “E il suo nome mi è sempre stato sgradevole”.”La finisca di chiamare”, “Vedo una minaccia. Rimettano a posto? Che significa?”

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          • Ricordo a Giorgio Linguaglossa il suo assoluto silenzio di fronte a questo “dialogo” e ai miei ripetuti richiami inascoltati.
            Peraltro io rispondevo al commento delle stesso Linguaglossa, perciò …
            Perché oggi questo richiamo? Il motivo c’è.

            Giorgina BG

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  7. Lidia Are Caverni

    Carissimo Giorgio,
    a volte anche il semplice fatto di scrivere, anche in un civile e libero paese come è l’Italia e di scrivere bene mentre molti altri scrivono male, comporta un impegno civile e molte battaglie davanti alle quali non ci si può fermare se si crede nel valore di quel che si è e di quel che si esprime.
    Non si tratta di sapere se la propria poesia è aderente a un canone piuttosto che a un altro, ma già uscire dal conformismo, è, nel proprio piccolo, condurre una battaglia di libertà che certo si esprime in forme consoni alla forma occidentale in cui siamo nati e per difendere la quale molti sono morti.
    Per cui, piuttosto che scrivere contro una guerra che avvertiamo sempre più vicina, continuiamo a scrivere secondo i propri principii cose il più possibile, belle e scritte bene che fanno parte di noi e nel proprio modo di pensare la vita.

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  8. Richiamo l’attenzione degli amministratori dr. Giorgio Linguaglossa e dr. Marco Onofrio perché rimettano al suo posto il “giovane arrabbiato” Valerio Pedini insegnandogli come ci si comporta in un blog rispettabile e suggerendogli di non nominare continuamente quella sua “appendice maschile” quando si rivolge a me.
    Grazie
    Giorgina Busca Gernetti.

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  9. Musulmani fanatici al soldo degli Stati Uniti e degli sceicchi del petrolio, che da soli non sarebbero andati da nessuna parte. Saddam e Gheddafi, la feccia, li hanno tenuti cagati per decenni e mai avrebbero osato. Stessa replica della storia dei talebani. Guerrglieri, tra l’altro, equipaggiati con armi fabbricate in Italia, altra feccia. E’ proprio vero che il capitalista è talmente avido da vendere al suo boia la corda che lo impiccherà. Ok, sotto con un’altra guerricciola in nome dei sacri valori dell’occidente, quelli finanziari. E con un ministro degli esteri assolutamente incompetente cui non affiderei nemmeno un assessorato a San Marino. E che la farsa continui: li fermeremo sul bagnasciuga, ah ah ah. Torniamo alla poesia che è meglio.

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  10. ma ve li immaginate i “poveri” guerriglieri neri che tentano di conquistare Roma, basterà che l’esercito non intervenga, poi sul grande raccordo anulare, con la viabilità di merda che c’è a Roma, tra ingorghi, lavavetri, buche nelle strade e eserciti di lavavetri e vigili nullafacenti, non un jhadista si salverà

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  11. ah seppercaso qualcuno vuole sapere come andrebbe a finire, prego si accomodi qua 🙂

    Più che Allah potè il GRA di Stefano Disegni

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  12. Valerio Gaio Pedini

    i vietnamiti non avevano la stessa forza militare degli americani, eppure con le imboscate gareggiarono bene. non so. Certo, a Roma è impossibile spostarsi. Ma Milano non è meglio.

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  13. gino rago

    Giorgio caro, bene hai fatto a mobilitare poeti e poesia intorno alle nuove,
    drammatiche emergenze che affiorano dalle riflessioni di U. Giovannangeli;
    ma ho imparato che lingua e metafora non bastano più a dare un luogo
    al luogo (grande Darwish…)

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  14. Il giovane Valerio Pedini è pregato di attenersi alle problematiche suscitate dall’articolo di Giovannangeli evitando di personalizzare le questioni con altri interlocutori del blog, qui il problema non è tanto di schierarsi per la guerra o per la pace dato che siamo già in una situazione di belligeranza che investe il sud est e ovest dell’Europa. Il fatto è che per la situazione geopolitica, l’Italia è in una situazione geografica alquanto critica e i poeti credo che non possano tirarsene fuori con una facile ironia o pensare solo a scrivere poesie belle… e poi che cosa significa scrivere poesie belle? e CHE COSA SIGNIFICA SCRIVERE POESIE CIVILI? Come va di moda dire oggi, io non farei distinzioni tra poesia e poesia civile ma credo nella distinzione tra una poesia critica e consapevole e una poesia ingenua che continua ad occuparsi delle targhe delle macchine o dei pomi che cadono dall’albero di caucciù, queste sì che sono delle falsificazioni, la poesia non la si difende con gli scudi dell’ironia o del cinismo o con il ritorno al paesaggio e alla natura benigna, il mondo Occidentale è in crisi ma anche quello Orientale vive una sua crisi economica e di identità altrettanto e forse più grave. E allora c’è un problema che anche la poesia deve affrontare se non vuole restare marginale e diventare un gioco linguistico vacuo. Era questo il senso che volevo dare con la diffusione dell’articolo di Giovannangeli.

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    • Gentile Giorgio,
      poiché chiedi alla comunità del blog “CHE COSA SIGNIFICA SCRIVERE POESIE CIVILI? ” e, guarda caso, proprio io ho scritto nel mio primo commento che ho composto “poesie civili” (così sono denominate non solo da me ma anche da critici di vaglia dei quali non faccio il nome per evitare di intrometterli in beghe da blog), vorrei fartene leggere una o due, se non fosse proibito inserire nei commenti le proprie poesie. Potrei sempre inviarti uno dei miei libri, ma non credo che ne valga la pena.
      Un cordiale saluto
      Giorgina Busca Gernetti

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    • In riferimento al mio richiamo di pochi minuti fa, mi sento di affermare che questo intervento è un po’ tardivo e soprattutto edulcorato rispetto alle frasi offensive scritte dal giovane V.P., che non si è limitato ad allontanarsi dalle “problematiche suscitate dall’articolo di Giovannangeli” ed a “personalizzare le questioni con altri interlocutori del blog”

      Giorgina Busca Gernetti

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  15. Caro Giorgio, è giustissimo gettarci oltre i confini dell’Io e farlo ogni giorno, oltretutto è anche una questione di sopravvivenza. Io non nego il problema di questi quattro straccioni vestiti di nero e in perenne lite col rasoio da barba, e oltretutto ignoranti come pochi. Io punto il dito CONTRO CHI LI HA CREATI. E questi sono cascami dell’occidente, soldi spesi male dalla Cia, petrodollari spesi male dai Feisal. Una delle poche voci equilibrate in tutta questa vicenda mi è sembrata quella di Romano Prodi di cui ho letto oggi un’interessante intervista sul Fatto Quotidiano. Qui non si tratta di scrivere poesie civili o incivili, ma di scrivere poesie belle e non brutte. L’analisi geopolitica e l’ignoranza indotta che vi gira attorno, e qui V.G. Pedini ha ragione quando definisce i TG i non luoghi dell’informazioni, sono ben altra cosa.

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    • Flavio, anche tu! Tu quoque, Flavi, amice mi! “Poesie civili o incivili” tu scrivi. Mi spiegheresti che cosa sono le “poesie incivili”? Grazie
      Giorgina

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      • Poesie incivili? Un gioco di parole.

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        • A Flavio Almerighi da TRECCANI

          incivile agg. [dal lat. tardo incivilis, comp. di in-2 e civilis «civile»]. –

          1. Che possiede un grado di civiltà, materiale e spirituale, molto basso: popolazioni i. (è concetto e espressione conservati nel linguaggio com., cui corrispondono, nelle scienze sociali, le espressioni popoli sottosviluppati, popoli in via di sviluppo, popolazioni emergenti, e sim.).

          2. Indegno di gente civile, contrario alla civiltà: costumi, leggi incivili. Più spesso, riferito a persona o al comportamento, che offende le norme della buona educazione, le consuetudini di reciproco rispetto, di cortesia e di urbanità nei rapporti sociali; quindi grossolano, screanzato, villano e sim.: un individuo i.; avere modi i.; gesto, azione i.; anche come sost.: sei un i., una i.; si sono comportati da incivili. ◆ Avv. incivilménte, in modo contrario alla civiltà o alla buona educazione: trattare, agire, comportarsi incivilmente.
          .
          “Calembour” è un giuoco di parole.
          Giorgina BG

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  16. ubaldo de robertis

    In Italia la Cultura è un opzional. Gente di valore si ritrova senza futuro: letterati/scrittori, ricercatori precari, scienziati, ecc. In quanto ai libri l’Editoria privilegia il libro e/o l’autore, anche se mediocre, che farà vendere di più. Giorgio Linguaglossa ha posto l’attenzione sull’articolo di Umberto Giovannangeli. L’Italia è nel mirino del Califfato. La questione è tremendamente seria! Da altre cose che leggo e sento, anche se concordo pienamente con Valerio Gaio Pedini che giornalisti e telegiornali sono per la maggior parte inaffidabili, mi risulta che i Jihadisti dello Stato Islamico svuotano le biblioteche e bruciano i libri. Per non allontanarmi dal campo di destinazione di questo Blog, riporto l’aforisma di un Poeta, sulla grandezza del quale credo saremo tutti d’accordo: Dort, wo man Bücher verbrennt verbrennt man am Ende auch Menschen.
    (Dovunque si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini) (Heinrich Heine)
    Ubaldo de Robertis

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  17. Valerio Gaio Pedini

    Giorgio, io stavo parlando di questo, non di altro. Beh, su Romano non so. Alkaeda e Gheddafi arginavano l’Isis in casa. Poi qualche demente ha distrutto i regimi pensando di salvare il mondo e questo è quanto.

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  18. Valerio Gaio Pedini

    Giorgio, è giusto che tu abbia postato questo.

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  19. Valerio Gaio Pedini

    bruciassero moccia e volo! anche baricco si potrebbe bruciare!

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  20. Ubaldo de Robertis

    A VG Pedini. Non e’ sua la poesia su Caronte che trovo molto ” nuova ” e bella? Se si, allora lei, come ci ha detto ieri su questo blog Annalisa Comes, puo’ rispondere alla barbarie dei tempi, di tutti i tempi, con e attraverso la sua Poesia. La saluto cordialmente, ubaldo de robertis
    ( i libri e’ meglio non bruciarli anche se non ci piacciono; gli autori che ha menzionato non mi entusiasmano)

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    • Valerio Gaio Pedini

      sì, la ringrazio.

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      • Valerio Gaio Pedini

        bella è relativo. Poiché la figura di Caronte vestito da Donna è brutta. Però mi ricordo ad esempio il Laoconte, statua bruttissima che ci appare magnifica, forse perché il brutto attare quanto il bello, se non di più.?Io non mi preoccuperei nel definire il bello o il brutto che sono parimenti qualcosa da custodire, poiché hanno delle qualità. Ma è il nulla, che non è vacuo, ma proprio nulla di cui bisogna preoccuparsi. La mia opera nemmeno per me è bella. A volte vorrei stracciare tutto, altre volte vorrei appenderle. Credo che però sia la forza attrattiva del soggetto e dell’oggetto, che non possono disgregarsi come successo nel 900. Il significato deve essere legato al significante, il brutto al bello e via.

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  21. Valerio Gaio Pedini

    comunque mi felicito. Le spedirò i tre componimenti del poema che devo proseguire con altri miei scritti.

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  22. Gentile Giorgina
    io volevo solo dire che non c’è differenza tra una poesia civile e una poesia incivile. Negli ultimi tempi è andata di moda lanciare l’idea di una poesia civile, di una poesia etica, di una poesia politica (Lucini fabbricava in serie Antologie contro la Mafia etc. pensando di fare poesie civili).. tutti aggettivi incongrui che in realtà non hanno alcun fondamento concettuale; come diceva Fortini può essere più rivoluzionario scrivere una poesia sulle rose che non 100 poesie sugli operai in sciopero. Non sta alla poesia fare la rivoluzione, al massimo la poesia può “immaginare” una rivoluzione o una barbarie che incombono (Majakovskij e Mandel’stam). Io penso molto semplicemente che la poesia si distingua in bella o brutta, il problema semmai è individuare quale poesia sia bella e quale brutta. A questo punto intervengono i narcisismi in lizza, gli interessi individuali e collettivi, istituzionali che indicano questo o quello secondo il ritorno che ne conseguono. Il fatto è che non esiste una critica disinteressata, ciascuno di noi è interessato a qualcosa quando legge una poesia o un romanzo, e cioè, nel migliore dei casi a difendere quello che noi pensiamo sia la poesia o il romanzo.
    Comunque, posta pure le tue poesie “civili”, le leggeremo con attenzione e rispetto.

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    • Ti ringrazio, ma non lo farò. Il rispetto, oggi, è “merce rara”!
      Giorgina

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    • Ambra Simeone

      Caro Giorgio,

      io non riesco sinceramente a distinguere la poesia bella da quella brutta se non per il mio gusto particolare, per l’aspetto linguistico del testo che leggo, per quello contenutistico, per quello sociale, per quanto conosca l’autore e la sua poetica, per quanto il mondo di quella poesia si scontri o meno con il mio mondo, per quanto quel mondo poetico rappresenti o meno il mondo esterno e le sue contraddizioni…. insomma entrano in ballo troppe variabili, sarebbe bello poter classificare la poesia in bella o brutta, mi semplificherebbe le cose!

      Forse tutto sommato bisognerebbe analizzare qualunque tipo di poesia e dire semplicemente cosa c’è da dire, senza voler troppo giudicare, lasciando al lettore la possibilità di trarne delle conclusioni… che poi in realtà non sarebbero mai davvero tali, perché mai davvero concluse!

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    • Ivan Pozzoni

      Per esempio, mi è sempre interessato scrivere anti-poesia “chorastica”, essendomi reso conto, dopo attenti approfondimenti sociologici, di come sia caduta, con il concetto istituzionale di Stato, la nozione di civitas (e, in contrapposizione, la nozione di “in-civitas”/ a-civitas). Se non c’è civitas, che senso ha essere scrittori civili o incivili (nel senso di non interessati alla civitas)? La chorasticità svincola dalla πόλις e da “oi barbaroi”, città e monti, Odisseo e Achille, ragione ed emozione, e libera la liminalità del verso.

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  23. ubaldo de robertis

    Purtroppo io non credo, come afferma l’amico Flavio Almerighi, che siano “quattro, e addirittura “straccioni”. Siamo di fronte all’Islam che assiste; chi fa la guerra è l’Isis con l’autoproclamato Califfato. Costoro sono numerosi ed esercitano una grossa forza di attrazione jihadista, hanno un progetto ben preciso e una inestimabile forza finanziaria! Questo grazie a depositi fruttiferi giacenti anche in qualche banca occidentale; hanno il controllo di vari giacimenti petroliferi, soldi, insomma, in gran quantità per reclutare nuovi aderenti per quella che definiscono “anticrociata”. Il fanatismo e la solidità monetaria può combinare guai seri! Ad esempio, nel campo che meglio conosco, ti assicuro che non ci vuole molto a realizzare ordigni nucleari. Il delirio estremistico farà il resto.
    Ubaldo de Robertis

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    • Caro Ubaldo, io punto il dito contro una questione serissima: la continua ingerenza delle (pre) potenze occidentali negli affari interni di un paese, in nome di non si sa quale democrazia da riporto formato esportazione. Perché non facciamo la stessa cosa con la repubblica popolare cinese? Perché, detto in volgare, ci farebbero un culo così. Chi erano i talebani prima di diventare “talebani”? Gli eroici mujāhidīn del popolo afghano che appoggiati dall’occidente e foraggiati dalla Cia combattevano eroicamente contro i russi, salvo diventare in seguito talebani, signori della guerra alla Dostum o poeti-guerrieri come il leggendario Massud. Perché i paesi che abbiamo incasinato, Afghanistan, Iraq, Libia, hanno tutti a che fare con la produzione del petrolio o con il passaggio di oleodotti fino all’oceano indiano? Gli Stati Uniti nella guerra in Iraq hanno speso 1.700 miliardi di dollari (in un conflitto con almeno 200mila vittime), uno dei peggiori investimenti bellici della storia.I risultati delle guerre scatenate da Bus Jr hanno fornito in altre parole le condizioni ottimali perché la presenza del Califfato si impiantasse nell’ex triangolo sunnita. Non dimentichiamo neppure che la famiglia Bin Laden è stata per molto tempo ottimo partner commerciale degli USA. Guarda caso Iraq e Libia sono stati i paesi più laici del mondo arabo. Parliamo della Libia: grazie all’assistenza aerea e di intelligence di USA e NATO, i ribelli libici alla fine sono riusciti a catturare Gheddafi e ad ucciderlo per le strade fra cori entusiastici di «Allah Akbar». Per molti di quelli che si erano bevuti la storia ufficiale dei ribelli combattenti per la libertà ed impegnati a realizzare in Libia una democrazia liberale, la cosa ha rappresentato l’inizio della fine delle loro illusioni.Prima che USA e NATO dessero il loro appoggio intervenendo, la Libia era il Paese con il più alto tenore di vita in Africa. Il dato proviene dall’ONU e più precisamente dall’U.N. Human Development Index rankings for 2010. Eppure, negli anni successivi all’uccisione di Gheddafi il Paese è precipitato nel caos, con violenza ed estremismo in crescita esponenziale. Oggi la Libia è considerata uno Stato fallito. Ucciso Gheddafi, gli arsenali militari libici sono stati depredati ed enormi quantità di armi sono state mandate dai ribelli libici alla Siria. Le armi – che includono missili anti-tank ed anti-aereo – sono state fatte arrivare in Siria via Turchia, alleato NATO. Il 14 settembre 2012 ilTimes of London riferiva dell’arrivo della spedizione. (Un’ulteriore conferma in questo articolo del NYT) Si era a soli 3 giorni dall’uccisione dell’Ambasciatore Chris Stevens, ucciso da un attacco portato all’Ambasciata USA di Bengazi. Fin dall’aprile 2011 Chris Stevens era stato il collegamento fra il governo USA ed i ribelli libici. L’Europa e l’Italia sono state immobili a guardare quello che succedeva ai loro confini, a parte la patetico sortita di Sarkozy: bombardamento della Libia con utilizzo di aeroporti italini, noi i soliti servi, complici di una scelta tattica che ci ha addirittura danneggiati. Quindi di cosa stiamo parlando, questi quattro straccioni ignoranti, ripeto, li abbiamo creati noi occidentali, e saranno molto utili per un’altra bella erosioni dei diritti civili delle poersone, come oramai avviene ininterrottamente dalla caduta delle torri gemelle del 2001. Vedrai Ubaldo che non ci invadono, non si attraversa i mediterraneo con i kalshnikov, ci manderanno al massimo uno scud come fece Gheddafi ai tempi belli.

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      • ubaldo de robertis

        Caro Flavio, concordo con la tua analisi. Ma il problema del conflitto esiste e con questi commenti lo abbiamo riportato in evidenza. Secondo Emanuele Severino l’autentico nemico degli estremisti islamici non è l’occidente ma l’ateismo, riassunto nel nostro atteggiamento sempre più scettico nei riguardi di un ordinamento assoluto (ordinamento divino). Siamo infedeli! Io per primo ma anche Nietzsche e Leopardi. E siamo tornati al Poeta! Abbiamo lasciato Giovannangeli ma non il Linguaglossa, (mi piacerebbe conoscere la sua opinione rispetto all’affermazione del Severino).
        Anch’io io non farei distinzioni tra poesia e poesia civile, ma il poeta deve necessariamente prendere atto di ciò che “brulica lì fuori”!
        Ora lascio perché devo assumere un farmaco equipaggiato con due pagine di controindicazioni, da 100 euro, non mutuabile, altro dono delle multinazionali occidentali.
        Ubaldo de Robertis

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        • Valerio Gaio Pedini

          Friedrich aveva una sua spiritualità, come del resto Leopardi. E’ l’assenza non solo di Dio, ma del dubbio, della totale spiritualità. L’Ateo non è problematico (io non i considero ateo, dico di credere nell’ordine universale delle cose), se ha in sé una spiritualità. Per me Francesco non è spirituale, è idiota! Come tanti. Secondariamente è il voler per forza annullare. Friedrich prevedeva e basta, poi era un agnellino disperato, e coglioni lo presero come esempio, senza valutare che le affermazioni dovevano essere inserite dento al corpo dell’agnellino per capire il perché di esse. Tutto ciò che vediamo e che sentiamo è nulla. Pasolini non era ateo, credeva a modo suo. Come tanti. Quindi purtroppo è questo che fa decadere. Nel momento in cui esistono sistemi, tutto si annulla. E qualcuno non volendosi annullare recalcitra con qualche guerriglia. Naturalmente è un atteggiamento puerile che mostra la deficienza di noi esseri umani.

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  24. ubaldo de robertis

    A Valerio Gaio Pedini,
    ha ragione! Scrivendo da uno smartphone l’aggettivo “bella” mi è sembrata la via più breve. Avrei dovuto scrivere: “originale”, “interessante”, ad ogni modo quella composizione fa intendere che dietro c’è un autore di un certo valore/potenzialità. Anche se potrei essere suo nonno, perché non ci diamo del tu? Il direttore del blog ha il mio indirizzo di posta elettronica. Saluti, Ubaldo de Robertis

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  25. Valerio Gaio Pedini

    Esenin era civile? Rimbaud era civile? E’ che questa idea di poesia civile a me pare un po’ una castroneria. Più che altro dobbiamo domandarci se è nulla o qualcosa (che magari non è inerente alla nostra idea), ma non deve essere nulla. Lamarque, ad esempio, stimatissima poetessa del trash (perché sono trash quei pseudolibercoli dell’infanzia) è nulla. Ma non è vacua, un haiku è vacuo, i testi di Viviane sono pieni di nulla. Poi Rimbaud non scriveva poesie bella, e nemmeno Whitman. Boccioni non dipingeva il bello! Giorgio caro, tu elabori un concetto del bello che a sé stante. Tu stesso alle polemiche sui miei testi, rispondi sempre cos’è il bello ? Il bello come il brutto sono due Qualità estetiche, non misurabili con i dettami della quantità. L’arte ora non è né brutta, né bella: è nulla.

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  26. Se riconosciamo alla poesia la qualità di elaborare il pensiero in modo non comune, dovremmo anche avere fiducia nel fatto che potremmo pensare da poeti: invece di importare concetti dovremmo esportarne di nuovi, per quel che si può e che ci è concesso dalla poiesi. Il tema sociale, reso urgente dall’imminenza del conflitto, come si è detto anche per la prosa nel precedente articolo, ne riuscirà colpito, se non altro positivamente. E’ che su questi temi ci si muove su frasi fatte, con pensieri che si barcamenano con la logica e quel poco che ci è dato sapere. Così lo scarto, l’improvviso del verso vanno a farsi benedire.

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    • Valerio Gaio Pedini

      su qui posso essere d’accordo. Ma siamo fermi. Perché viviamo in un provincialismo totale dell’irpef. A me hanno detto che faccio poesia sociale, civile e cacate varie che non ho mai pensato di fare.

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  27. antonio sagredo

    Caro Ubaldo, il Gaio Valerio è di talento! Non scrive a vanvera! – Io nel sangue l’Oriente ce l’ho dal 1480! Come Carmelo B. del resto… visitate Otranto e comprenderete o vedete Nostra Signora dei Turchi!
    —-
    ARLECCHINATA MARINA

    Bambino orientale, ginocchio d’allodola, l’avorio nei sonagli,
    negli stracci di segale, abbraccia grondaie e razziate colombe
    salmastro
    “Di vino nei letarghi sono pazzo. Sono pazzo di fate e…
    di leggende.”
    Cavalli nei chiostri, avventure boriche fra criniere di fango, strelizie
    e smorfie incoronate, ostensori e talloni di platani e pellicani
    greggi, razzolate canicole, rugiada imbavagliata, tenerezza fra
    corridoi di feltri.
    “Carri e sberleffi, ossa e corolle scaglio, fra bottoni e pinete,
    fra gabbiani del pianeta Antares, una zamina germoglia, amata Bruna d’infanzia!”

    Ecco gli anni dei funghi * nelle città d’oriente!
    (1969-74)
    * (per funghi intendevo dal punto di vista popolare “portatori di morte” !

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  28. Ambra Simeone

    Caro Giorgio,

    penso che ognuno di noi abbia il suo modo di intendere la poesia civile/politica/sociale e via dicendo non penso ci siano delle definizioni per questo… come per molte altre cose!

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  29. caro Ubaldo,
    Severino parla di “destino dell’Occidente”, cioè di quella cosa che siamo diventati tutti noi occidentali nel corso di 2500 anni di evoluzione storica e filosofica, cioè, secondo le sue parole, della identità (tautotés) dell’essente (on). L’identità non sarebbe altro che il risultato del “divenir-altro” dell’Occidente. In altre parole, l’Occidente sarebbe quella cosa che è diventata altro, ma questo divenire-altro sarebbe l’emergere della “follia” dell’Occidente. Dunque, la storia del “mortale” è “follia”, errore. Per Severino l’essente esce dal niente e ci ritorna, cioè il “nulla”, che è la negazione di quell’esser sé dell’essente (di quell’identità) che pure è ciò che l’Occidente vuole affermare.
    Per Severino l’anima dell’Occidente è la fede nel “divenir-altro” dell’essente. Il volto del destino è “l’apparire dell’esser sé dell’essente”. E via cantando. Non c’è dubbio che già nella sua terminologia Severino propugna il destino e l’anima dell’Occidente come cose in sé, come un’Origine, di qui il rapporto stretto che intercorre tra il “destino” e la “follia”, e come quest’ultima può apparire solo se appare il suo auto-toglimento, ovvero solo all’interno di quell’«orizzonte degli orizzonti» che è il «destino della verità».
    Non c’è dubbio che nel pensiero di Severino si saldino espressioni metaforiche (orizzonte degli orizzonti) e mitologico teologiche (destino della verità), ed è difficile seguire il percorso del suo pensiero tra i meandri di continui scambi di coppia tra le sue categorie assunte come dati di fatto inconcussi. Non mi meraviglia quindi che il nemico principale di Severino sia la cultura laica e l’ateismo visti come personificazioni di quella “follia” che auto-produce l’essente nel sempre eguale etc. E non mi meraviglia nemmeno l’assoluta cecità di Severino verso il mondo moderno che lui vorrebbe cancellare con un colpo di spugna.
    Così argomentando Severino vede distintamente la pagliuzza nell’occhio altrui e non la trave nel proprio. Probabilmente, lui vede negli islamici più estremisti una salvezza contro le nefandezze della cultura dell’Illuminismo. Bontà sua.

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  30. io come poesia di impegno civile vedo questa ad esempio:

    Il Partito è un uragano denso
    di voci flebili e sottilie
    alle sue raffiche crollano i fortilizi del nemico.
    La sciagura è sull’ uomo solitario,
    la sciagura è nell’ uomo quando è solo.
    L’ uomo solo
    non è un invincibile guerriero.
    Di lui ha ragione il più forte
    anche da solo,
    hanno ragione i deboli
    se si mettono in due.
    Ma quando
    dentro il Partito si uniscono i deboli
    di tutta la terra
    arrenditi, nemico, muori e giaci.
    Il Partito è una mano che ha milioni di dita
    strette in un unico pugno.
    L’ uomo ch’ è solo
    è una facile preda,
    anche se vale
    non alzerà una semplice trave,
    ne tanto meno una casa a cinque piani.
    Ma il Partito è milioni di spalle,
    spalle vicine le une alle altre
    e queste portano al cielo
    le costruzioni del comunismo.
    il Partito è la spina dorsale
    della classe operaia.
    Il Partito è l’ immortalità
    del nostro lavoro.
    Il Partito è l’ unica cosa che non tradisce
    Non rinchiuderti, Partito, nelle tue stanze,
    resta amico dei ragazzi di strada.

    Vladimir Majakovskij

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  31. La nostra marcia
    .
    Battete sulle piazze il calpestio delle rivolte!
    In alto, catena di teste superbe!
    Con la piena del secondo diluvio
    laveremo le città dei mondi.
    Il toro dei giorni è screziato.
    Lento è il carro degli anni.
    La corsa il nostro dio.
    Il cuore il nostro tamburo.
    Che c’è di più divino del nostro oro?
    Ci pungerà la vespa d’un proiettile?
    Nostra arma sono le nostre canzoni.
    Nostro oro sono le voci squillanti.
    Prato, distenditi verde,
    tappezza il fondo dei giorni.
    Arcobaleno, dà un arco
    ai veloci corsieri degli anni.
    Vedete, il cielo ha noia delle stelle!
    Da soli intessiamo i nostri canti.
    E tu, Orsa maggiore, pretendi
    che vivi ci assumano in cielo!
    Canta! Bevi le gioie!
    Primavera ricolma le vene.
    Cuore, rulla come tamburo!
    Il nostro petto è rame di timballi.
    .
    Vladimir Majakovskij

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  32. Non siamo ai tempi della rivoluzione, viviamo nel clima ovattato dei notiziari. Difficile svegliarsi cantando per incitare, smuovere, sperare. Per ora ho scritto questa poesia, altre ne verranno, una ad una. Ognuna sarà diversa. Non scoppiano bombe in quartiere, c’è distanza terrena, che per i poeti, abituati come sono a ben altre distanze, è vicinanza :


    Le Nazioni si dividono in macchine pesanti e macchine leggere. Le macchine pesanti consumano Più delle Altre; Quelle leggere consumano poco, vivono di niente, camminano nell’etere e non sprecano Un colpo.

    La guerra pesante distrugge tutto Quel che incontra, PERSONE Cose o alberi non ha importanza; la guerra leggera solo le persone, Che Siano donne Uomini o bambini non ha importanza. Chi uccide non ha futuro, chi uccide non ha Passato.

    Il presente è saliva e respiro, Il presente è agonia. Così non Si Può Andare avanti. Chi Crede Nella morte Avrà il Suo paradiso, chi non Crede alla morte Vedrà la terra.

    Arjuna Pensò “E’ un mondo di pazzi”, ma non lo Disse.

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  33. “nel clima ovattato”?
    Non me ne sono accorta!
    Giorgina BG

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  34. antonio sagredo

    MAJAKOVSKIJ?!
    COME LE PATATE AL TEMPO DI CATERINA: OVUNQUE!
    PROPRIO LORO CHE IL POETA FUSTIGAVA!

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  35. Valerio Gaio Pedini

    Il problema della signora è che pensa che tutti la offendano, mentre lei offende gli altri. Però gli altri non devono rispondere. Essendo lei una ricca donna colla pelliccia che viene cullata dai notiziari, senza rendersene conto! E’ proprio vero che vi sono menti brillanti che in una poltrona vedono un insieme di atomi e che quindi possono ben pensare che le notizie poco c’entrino con la verità! E poi ci sono le persone che danno per vero tutto ciò che non è vero. E il vero lo respingono. Questa è comodità e pigrizia mentale!

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  36. antonio sagredo

    I poetucoli non hanno una buona vista: sono interdetti alla visione!
    I POETI SCRIVONO QUESTI VERSI:
    ———————————————————
    Dalle soglie ai portali l’anima eretica ci spia
    col suo sguardo di corsaro… guercia sarà la preda!
    Questo secolo non sarà migliore del trascorso:
    i massacri saranno il nostro pane quotidiano.

    Le Madri senza fede né speranza spolperanno
    i figli prima d’una condanna o una guerra.
    Il boia cercherà invano gli occhi di un poeta disossato
    o lo sguardo impietoso d’una carcassa che t’accusa.

    Non esiste un Nulla che mi conforti, il resto è Delirio!

    antonio sagredo

    Vermicino, 17 ottobre 2003

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  37. antonio sagredo

    fai bene a dire che sto in paradiso (ma quale?) e se mi raggiungi ci berremo primitivo di Manduria! E Ti farò co-giudice! E Ti reciterò centinaia di versi-presagi più possenti di quelli.

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  38. Valerio Gaio Pedini

    continui a minacciare. lei non sa fare altro. non so perché sia qui nel blog di Giorgio, quando nessuno la può sopportare? non so perché lecchi il culo ad Ambra Simeone, che se potesse le sputerebbe in faccia. Non so, ma lei è totalmente cieca come Borges o fa finta di non vedere. Intanto qui non la spia nessuno. L’unica a mostrare le sue vanterie ridicole qui è lei. L’unica a credere nel decoro è lei. L’unica a non essere umile è lei!

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    • Gentile Ambra Simeone,
      è vero che mi sputeresti in faccia, come ha scritto qui sopra il “pupillo” del blog che non sa scrivere altro che volgarità? Ti ho mai per caso leccato… e non proseguo perché la mia educazione non conosce certe espressioni scurrili. Gradirei una risposta, altrimenti il vostro gruppo di giovani fa la figura di scambiare la CORTESIA con il LECCARE etc.
      Una risposta esauriente è inevitabile.
      Grazie
      Giorgina BG

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      • Ivan Pozzoni

        Giorgina, rispondo io. Perché mi sono innamorato di Ambra? Perché non ho mai sentito dire ad Ambra di “odiare” qualcuno, o, indignitosamente, di “sputare in faccia a qualcuno”. Probabilmente, al massimo, “sputerebbe in faccia” alla nostra intera classe dirigente, massa di ciarlatani, inquisiti, e schifosi. Non mi sembra che Giorgina Busca Gernetti sieda al Parlamento. Giorgina, mi meraviglio che tu chieda, che tu abbia dubbi. Ambra non risponde: dorme come un micino nella stanza a fianco, mentre io lavoro, fino a tarda notte e sogna fiorellini, benché abbia molta tosse. Per cortesia, Valerio, nei tuoi litigi con tutti, lascia fuori Ambra. C’è un’unica cosa che mi fa inferocire senza ritegno: che mi tocchino Ambra. Lasciate fuori da questa bagarre chi dorme come un micino e sogna fiori. P.s. Giorgina, io mica ti ci vedo in pelliccia sul divano. Staresti scomodissima.

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      • Ivan Pozzoni

        E se io fossi Ambra, sinceramente, non mi degnerei nemmeno di rispondere, offesa dalla sola esistenza del dubbio. Adesso la vado a svegliare a schiaffoni e la costringo a leggere […] Piagnucola, anche se la scuoto con decisione, non si alza. Protesta: se avrà voglia, risponderà domani. Saluti a tutti.

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      • Ambra Simeone

        Cara Giorgina,

        mi spiace, forse era meglio che continuassi a dormire, non so cosa sia preso a Valerio! Avrà il suo ciclo! Io e lei su questo blog ci siamo scontrate più di una volta e pur essendo diametralmente opposte nel pensiero non ci siamo mai permesse di insultarci e stia pur tranquilla che mai succederà in futuro!
        Saluti
        Ambra

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    • “non so perché sia qui nel blog di Giorgio” mi chiede il signorino volgare. Se il blog è di Giorgio, il signorino volgare non ha licenza di invitare o cercare di escludere persone a suo infimo gusto.
      La potestà e di Giorgio, non sua, egregio signorino volgare.
      ,

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  39. Valerio Gaio Pedini

    io sono volgare solo se vi è una presenza che mi volgarizza. XD Ergo lo sono spesso. Come direbbe Sagredo: “si legga le biografie e le lettere dei poeti”. Si accorgerebbe che era volgare Leopardi, era volgare Puskin e tutti quelli che idolatra pensando fossero raffinati. Ma purtroppo lei anche se li leggesse, incredula da tale scempio che sono le mitizzazioni dei poeti, per dei testi, che sono lungi dalla loro vita reale, direbbe un vacuo “questura” e tutto si conchiuderebbe con Leopardi in tribunale di fronte a lei. Così ,come Manganelli scrisse le interviste impossibili, io penso di scrivere I tribunali impossibili: una narrazione logistica di lei che denuncia tutti i poeti che di solito elogia. E il divertimento massimo sarà con Aristofane (anche se non era poeta) e Marziale, che tra cazzi e tuberi adornavano teatri e libri. Secondariamente Ambra non mi ha mai detto che le vuole testualmente sputare in faccia. Magari quando parliamo io ed Ambra, faccio voli pindarici di un’alleanza alla Dumas contro un cardinale Giorgina Busca Gernetti, che poi si mostra meno scaltra, meno perspicace e meno progettatrice del Cardinale francese della rivoluzione francese. Ovviamente so che il Fratini mi ama, a suo modo, quindi do fiato alle trombe. Distinti saluti, diabolicamente, dai meandri della terra dei funghi velenosi;
    Valerio Gaio Pedini

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  40. Valerio Gaio Pedini

    volgare è la lingua del popolo e se il popolo dice cazzo questo fa dell’italiano una lingua del cazzo, dato che lo sviluppo linguistico è un derivato delle masse. Se io le dicessi, per esempio: cara signora GBG, lei mi sta molto antipatica e la considero con asprezza, lei non si accorgerebbe della mia presenza, perché lei per accorgersi della presenza di qualcuno ha l’umana necessità di farsi insultare e/o accomodare. Così è l’italiano medio. Mica ti accorgi dell’isis, finché l’isis non t dichiara guerra. XD

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    • Ivan Pozzoni

      Non mi sono accorto dell’Isis, Però mi sono accorto dell’Irpef, dell’Irap, della Tasi, della Tari, e dell’Imu. Sono due modalità differenti di fare lo stesso terrorismo. «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della Tari che è nel tuo? Come puoi dire al tuo fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la Tari che è nel tuo? Ipocrita, togli prima la Tari dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello» [Luca, 6-41/42].

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  41. Valerio Gaio Pedini

    bah, so che mi hanno dato una multa due giorni fa per quei treni di merda. E tra l’altro il biglietto l’ho pagato sul treno. Ovviamente secondo il controllore, dovevo andare a cercarlo, come se io avessi saputo che c’era. Ci tassano i treni che sembrano scatole di acciughe. E pretendono pure che si paghino dei mezzi pubblici, che essendo pubblici dovrebbero essere di tutti. Dei mezzi pubblici che tutti sanno che vanno male, che non sono a norma e che se bruciassero sarebbe meglio.

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  42. Isis su Twitter: “#Arriviamo a Roma”

    Romani su Twitter: “#Se ce fate no squillo buttamo la pasta”

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  43. Ivan Pozzoni

    Per mera informazione: una intervista rilasciata a Mario Fresa (http://edizionilarcafelice.blogspot.it/2015/02/mario-fresa-questionario-di-poesia-51.html). Grazie dell’attenzione!

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  44. caro Ivan,

    ho letto l’intervista… ma lascia che ti dica che fin quando tu ti sentirai soddisfatto della formula della “anti-poesia” non entrerai mai nel regno dei cieli della “poesia”… prima o poi, se vorrai veramente misurarti con la “poesia” italiana, dovrai accettare di scendere con gli scarpini nel rettangolo di gioco della “poesia”. Fin quando ti dichiarerai pago di stare in “panchina” non potrai mai riuscire ad incidere veramente nella “poesia”. La protesta è bella e coraggiosa ma, lascia che te lo dica, con le qualità che hai potresti fare cose molto interessanti se solo tu decidessi di scendere nel rettangolo di gioco.

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    • Ivan Pozzoni

      Caro Giorgio, c’è il momento dell’allenamento, e il momento dell’incontro agonistico. Sto irrobustendo i bicipiti femorali, per spaccare meglio gambe e caviglie. Poi, nel “regno dei cieli” della «poesia», ci sta meglio un Milo…De Angelis: attualmente, io sto all’inferno. Dovremmo, inoltre, fare molteplici distinzioni: cosa intendo con anti-«poesia», che non è non-«poesia», essendo frammento chorastico (né in-civile né civile). Cos’è, infine, ‘sta benedetta «poesia», che tutti nominano, come l’ircocervo, e che tutti definiscono in maniera diversa (mi ricorda molto il discorso sui c.d. «diritti umani», irrisolvibile). E, ancora, il rettangolo di gioco: ha regole, sanzioni, strategie, ospitando un “gioco”: non considero il mio, oramai rarefatto, scrivere, un “gioco”: vorrei, in effetti, entrare in campo puntando direttamente alle ginocchia degli avversari, senza dovere essere mai espulso. Mi sagredizzo:

      I MIEI VERSI HANNO TITOLI DIFFICILI

      La dimensione narcisistica dell’ego
      spiazza ogni tentativo di scendere in piazza
      schizza ogni abbozzo di mistico schizzo
      condannando l’artista all’impiego,
      salario fisso, a far da torcia, lungo la via Salaria
      votandosi a mendicare voti, di casa editrice
      in rivista, insinua la mania di esaurire un’inusitata collezione
      di bollini di presenza da incollare a una tessera annonaria.

      Il maestro A consiglia maggiore stringatezza,
      il maestro B non teme vincoli d’estensione
      il maestro C inneggia a maggior levigatezza
      il maestro D chiede abrasione,
      e, in mezzo, l’autore junior a barattare illibatezza
      contro un warholiano quarto d’ora d’attenzione.

      Scrivi sulle città in fiamme,
      no, canta della società annacquata,
      oh, infiamma di sesso i versi,
      ehi, versati acqua nelle mutande,
      metti su fogli bianchi A4
      il contrario di ciò che ti chiedono i critici
      o una critica di ciò che ti chiedono i contrari,
      accetta l’omaggio di tutti, tutti sono maestri di tutto.

      Tu resta, a vita, l’allievo d’un sogno distrutto.

      Quando l’allenatore mi chiamerà in campo, sarò pronto all’espulsione. Sempre che non si tratti, come nell’attuale orizzonte italiano, di un Chievo – Cesena 0 – 0, all’84’, dove tutti tirano a non retrocedere. Preferisco stare comodamente seduto sui caldissimi sedili della “panchina”, come fossi al cinema. Quando si scatenerà la battaglia, dovrei esserci… un abbraccio I.

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    • Ivan Pozzoni

      Pazientemente, mister, sto attendendo che mi faccia entrare!

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      • Complimenti, Ivan Pozzoni. Ma mi sa che dovrai pazientare un bel po’ perché, qui in Italia, siamo ancora al tempo della metafora e si crede che la poesia sia la sua forma. Non che non siano cose importanti, ma finisce che escludono altre infinite possibilità. Questa tua è una poesia provocatoria ma utile; utile perché argomentativa e quindi fa pensare: pur lasciandola inalterata non è solo rabbia.

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  45. Valerio Gaio Pedini

    per me è interessante, anche se distante da me (forse io mi sento più multiforme). Ma del resto Ivan fa meglio di quelli che dicono di far meglio.

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  46. caro Ivan,
    accettando l’analogia tra la poesia e il gioco del calcio, in campo ci sono delle regole condivise e se si entra dalla panchina in campo bisogna rispettare quelle regole… e poi non si entra in campo per spezzare le ginocchia all’avversario, è una forma di grave scorrettezza sportiva e non solo.
    Altra faccenda è cambiare le regole del gioco, ma per far questo non basterebbe essere Benedetto Croce e Gianfranco Contini e Harold Bloom insieme. Tra l’altro basterebbe cambiare una sola regola del gioco, ad esempio quella che prevede il fuori gioco per cambiare tutto il gioco. Non c’è affatto bisogno di cambiare TUTTE le regole del gioco.

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    • Ivan Pozzoni

      Carissimo Giorgio, ti ha risposto Ambra. Quando toglieranno la regola dell’espulsione (cioè della “censura”/sanzione, che anche tu hai subito, stai subendo, e subirai), entrerò in campo. Altrimenti continuerò a picchiare come un fabbro nel tunnel degli spogliatoi. I maggiori terzini della storia del campo sono entrati, entrano ed entreranno in campo con la funzione di spezzare tibie, ginocchia e caviglie. La scorrettezza sportiva starebbe nello spezzare tibie, ginocchia e caviglie ad un anziano signore che attende l’autobus. Quando sarà lecito spezzare tibie, ginocchia e caviglie in campo, senza espulsioni (a tutela dei “famigerati” campioni intoccabili), entrerò in campo. C’è un ultimo ostacolo: non sarei in grado di indossare nessuna maglia. Che facciamo? Spostiamo finalmente la metafora sul campo della “street fighting”, con agguati violenti, senza maglie, senza regole? [chiaramente, non si scandalizzi il lettore, il discorso tra me e Giorgio sottende una finissima metafora. Nessuno desidera fare violenza fisica a nessun altro: non vorremmo mai rompere il malleolo a un Fratini o la tibia a un Pedini]. Giorgio, siccome, a me, l’orizzonte culturale italiano, appare maggiormente come un illimitato campo di street fighting, meno come un campo da calcio (forse un campo da calcio con regole eluse dalle corporazioni, incontri truccati, espulsioni selettive?), io ho iniziato a combattere, con estrema violenza, da anni. Ti attendo in strada? 🙂

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      • Ivan Pozzoni

        Giorgio, dys-educheremo un unico soggetto, o una serie di soggetti, di eccezionale talento, in grado di essere, insieme, Benedetto Croce e Gianfranco Contini e Harold Bloom. Non sono io: io sono il tizio che picchia come un fabbro per contribuire, coi miei mezzi limitati, a garantire all’eventuale costui l’opportunità di riformare il calcio marcio e malato. Per ogni Gesù Cristo, servono dieci, cento, mille Ioannes (cfr. Ivan) Battisti. un abbraccio I.

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        • Come si sia riusciti a passare da un dibattito sul califfato alla celebrazione della gloria imperitura di uno dei maggiori pensatori degli anni ’10 in Italia, permane per me un mistero. Ivan Pozzoni sei un magnifico un crossover. Avevamo il Tagnin della poesia, pardon anti poesia e non lo sapevamo! Il guaio è che il panorama culturale italiano è un capannone vuoto, o meglio la main street di sole facciate di una ghost town da film western. Vedo sterpaglie rotolare. Scrivi un manifesto per noi poveri tumbleweed Pozzoni, te lo sottoscrivo per primo! 🙂
          In attesa del tuo verbo continuo a rotolare.

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          • Ambra Simeone

            Flavio stai alludendo al fatto di sentirti una palla nella partita della poesia? 😀 un abbraccio forte

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          • Ivan Pozzoni

            Perché, in realtà, sono un califfo:

            […] La poesia era senza dubbio il ramo più popolare della cultura generale […] I capi che si stabilirono in Spagna si portarono dietro i loro poeti; emiri e califfi scrivevano poesie, mentre nelle strade e nelle piazze si improvvisavano versi. Anche le donne condividevano questa passione popolare […] (The Cambridge medieval history, II/505) [dalla “dedica” tratta da una mia antologia del 2012, Labyrinthi II].

            C’è anche il manifestino, rigorosamente clandestino, ciclostilato, realizzato nell’aqmbito della c.d. «Arte del silenzio» contemporaneissima: La battaglia aeriforme di ogni nuova «neon»-avanguardia uscita sulla rivista Il Guastatore [I. POZZONI, La battaglia aeriforme di ogni nuova «neon»-avanguardia, in “Il Guastatore”, Gaeta, deComporre Edizioni, n. I/1, 2013, 7/8] e L’ urgenza della battaglia aeriforme di ogni nuova «neon»-avanguardia [I. POZZONI, L’ urgenza della battaglia aeriforme di ogni nuova «neon»-avanguardia, in “Rassegna solenne: miscellanea ungherese e italiana”, Ferrara, Osservatorio Letterario – Ferrara e l’Altrove/IdealPrint, 2014, 97888906992864, 468-471].

            Effettivamente un paio di randellate sulle ginocchia ad un insulso e anonimo Di Stefano le ho date volentieri. Capannone vuoto, ipotecato, e molteplici volte.

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  47. no, sono la spugna che un massaggiatore ha lasciato negli spogliatoi

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  48. Una poesia di Brecht tradotta da Franco Fortini:

    Come schedarla, la piccola rosa

    Come schedarla, la piccola rosa.
    Rosso viva improvvisa e giovane e vicina?

    Non eravamo venuti a cercarla.
    Siamo venuti e c’era.

    Nessuno l’aspettava prima che fosse qui.
    Quando ci fu la credettero appena.
    Viene alla meta chi non è partito…
    Quasi sempre è così.

    (1974)

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    • Grande Bertolt Brecht !
      Bella la traduzione di Franco Fortini.
      GBG

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    • Ivan Pozzoni

      Codeste ambiguità, ridondanze e deficienze ricordano quelle che il dottor Franz Kuhn attribuisce a un’enciclopedia cinese che s’intitola Emporio celeste di conoscimenti benevoli. Nelle sue remote pagine è scritto che gli animali si dividono in:

      (a) appartenenti all’Imperatore,
      (b) imbalsamati,
      (c) ammaestrati
      (d) lattonzoli,
      (e) sirene,
      (f) favolosi,
      (g) cani randagi,
      (h) inclusi in questa classificazione
      (i) che s’agitano come pazzi,
      (j) innumerevoli,
      (k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello,
      (l) eccetera,
      (m) che hanno rotto il vaso,
      (n) che da lontano sembrano mosche.

      [Jorge Luis Borges. Tutte le opere. Volume I. Milano: Mondadori. 1984. p. 1004-1005. Il saggio è intitolato “L’idioma analitico di John Wilkins” ed è contenuto nella raccolta Altre inquisizioni, originariamente pubblicata nel 1952].

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  49. adesso però i bastardi stroppiano, abbattono le statue assire, patrimonio dell’umanità

    rerum novarum

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    • Ivan Pozzoni

      Le hanno abbattute i Persiani, e nessuno s’è incazzato tanto. Purtroppo, Flavio, questi folli, orchestrati, non si fermano certo davanti a statue assire.

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