Marco Onofrio (Roma, 11 febbraio 1971), poeta e saggista, è nato a Roma l’11 febbraio 1971. Ha pubblicato 21 volumi. Per la poesia ha pubblicato: Squarci d’eliso (Sovera, 2002), Autologia (Sovera, 2005), D’istruzioni (Sovera, 2006), Antebe. Romanzo d’amore in versi (Perrone, 2007), È giorno (EdiLet, 2007), Emporium. Poemetto di civile indignazione (EdiLet, 2008), La presenza di Giano (in collaborazione con R. Utzeri, EdiLet 2010), Disfunzioni (Edizioni della Sera, 2011), Ora è altrove (Lepisma, 2013). La sua produzione letteraria è stata oggetto di decine di presentazioni pubbliche presso librerie, caffè letterari, associazioni culturali, teatri, fiere del libro, scuole, sale istituzionali. Alle composizioni poetiche di D’istruzioni Aldo Forbice ha dedicato una puntata di Zapping (Rai Radio1) il 9 aprile 2007. Ha conseguito finora 30 riconoscimenti letterari, tra cui il Montale (1996) il Carver (2009) il Farina (2011) e il Viareggio Carnevale (2013). È intervenuto come relatore in centinaia di presentazioni di libri e conferenze pubbliche. Nel 1995 si è laureato, con lode, in Lettere moderne all’Università “La Sapienza” di Roma, discutendo una tesi sugli aspetti orfici della poesia di Dino Campana. Ha insegnato materie letterarie presso Licei e Istituti di pubblica istruzione. Ha tenuto corsi di italiano per stranieri. Ha partecipato come ospite a trasmissioni radiofoniche di carattere culturale presso Radio Rai, emittenti private e web radio. Ha scritto decine di prefazioni e pubblicato articoli e interventi critici presso varie testate, tra cui “Il Messaggero”, “Il Tempo”, “Lazio ieri e oggi”, “Studium”, “La Voce romana”, “Polimnia”, “Poeti e Poesia”, “Orlando” e “Le Città”.
*
Vieni, bella, ascolta insieme a me
il suono inesorabile del tempo:
senti come batte ad ogni tocco
la morte, dentro l’orologio?
E allora, che aspettiamo ancora
a goderci la fuggitiva ora?
Non vedi come tutto va in rovina?
Lasciati andare all’indistinto:
lì c’è la vita che t’invita
con la forza della verità.
Scorda le sciocchezze che hai imparato,
sono opera del diavolo che incensa
quelle mute sottintese convenzioni:
ci precludono la gioia sacrosanta
di essere davvero quel che siamo.
Credi a me, la vita è solo una
e ogni attimo che passa
è per sempre andato e non ritorna.
Su, non aver paura…
Io lo so che in fondo tu lo sai:
noi tendiamo allo stesso fine
mossi da un comune desiderio.
Togliti le maschere dal volto,
spezza le catene del pudore
e liberati, così come sei –
io ti prendo tutta
senza riserve
senza falsi veli.
A che serve portare le mutande
se non per farsele sfilare?
Vieni giù, rotoliamoci per terra.
Senti come odora, com’è buona!
La terra ci appartiene
fino a quando noi le apparteniamo:
mangiamone insieme
se il tempo ci concede l’occasione
prima che poi essa mangi noi
con il pane nero del silenzio.
Via, buttiamo le menzogne degli umani
che ci legano e ci stringono a morire:
arriviamo fino in fondo, giù, all’essenza
a sfiorare quello che noi siamo.
L’amore è divino e originale,
per questo si fa nudi!
Ora i nostri fuochi bruciano,
come lingue svelte e sensitive
che bramano annodarsi
in una sola.
Apri le tue porte al Paradiso!
Non smettere con gli occhi
il tuo sorriso! Amami,
amami sempre. Eccoti.
Dio, quanta carne sei…
liscia, morbida, odorosa
calda di freschezza che riposa
fresca di tepore che conforta
liquida e umorale…
Ah, le tue tette buone profumate
con le areole corrugate a punte
come turgide prugnette color vino
che dirompono dal guscio autoreggente…
Che bello il reggiseno a balconcino!
E la linea del tuo collo da annusare
prima di leccarlo, e mordicchiarlo piano
per farlo abbrividire di passione!
E il miele del tuo magico ombelico
che sembra un succulento tortellino!
Ah, le tue cosce lucide, le caviglie
di cerbiatta e i piedi nudi:
che sublime vista!
Le tue ginocchia arrotondate,
dolci pomi sodi e gigli tosti
e la tua bocca rossa a polpa viva
che esiste per accogliere la mia!
Ah, sei diventata languida e animale
nel tuo respiro caldo e già turbato:
sei un luogo immacolato da violare,
voglio segnarti tutta del mio nome:
sono il padrone della tua saliva!
Sono entrato dentro il bosco del tuo odore
e mi son perso
nell’universo folto del mistero.
Donami la chiave del tuo mondo
schiudimi la luce del tuo giorno
il sole strepitoso del tuo sguardo
e il distillato puro
la viva quintessenza, la poesia!
Ti voglio inondare di me:
sarà l’abbraccio della pioggia con la terra
che ti ristora il cuore a nuova vita.
Senti l’oceano che mi romba dentro
gonfio di nuvole e di onde?…
Ti ricoprirò.
*
Sogno. Di godere la dolcezza
alla tua pelle, tutta quanta,
col tepore fresco della carne.
Di essere l’interno del tuo corpo.
Di aderirti dentro, intimamente
come la mano un guanto da indossare.
Di vibrare insieme alla tua luce
attraverso bocche e lingue aggrovigliate
mescolando brividi e sapori.
Di toccare la tua anima profonda
attraverso la seconda bocca tua
bagnata, offerta la cedevole natura
con la seconda lingua in immersione
che sulla punta ha un occhio esploratore
e prova grande il gusto del piacere
antico che rinnova, ma non dura.
*
Ah, miracolo di carne da godere!
Enigma di languido abbandono.
Dedalo fantastico di sensi.
Ho deciso e giuro, veramente:
oggi voglio nascere alla vita,
respirando sui tuoi pomi color luna
l’odore che tu hai meraviglioso.
Tu non sei una qualunque. Tu sei tu.
Voglio scaldarmi sul giaciglio del tuo cuore
come la belva che riposa sulla preda
conquistata e vinta, qualche attimo
prima di mangiarla. Non aver paura.
Sento come ti palpita e si muove
al centro delle cosce levigate
pronte, ora, a schiudere su me
il caldo del tuo liquido animale.
Che profumo il miele dentro la fessura
dove cuoci il pane della vita:
e il dolce companatico sei tu!