Joyce Mansour (1928 – 1986) è stata una poetessa inglese di nascita, ma francese d’adozione. La sua passione ardente è un urlo dei propri desideri fatti versi: versi carnali che la fanno fiorire di lussuria, parafrasando il titolo di una delle sue raccolte in formato plaquette ‘Fiorita come la lussuria’. Il suo grido, rivendica tutta la sua indignazione nei confronti degli amori disattesi, di coloro che l’hanno ferita “Degli uomini che non hanno voluto saperne di me” mentre lei, diveniva “vittima” sacrificale donando tutta se stessa, sentendosi svuotare nell’anima: “Che ti tenga in piedi cieco e devoto/ Guardando dall’alto il mio corpo spiumato”. Tutti gli uomini che l’hanno concupita e il loro non aver compreso la sua esigenza di donna-amante nel momento dell’apoteosi dell’eros più pieno, sacrale: “Voglio mostrami nuda ai tuoi occhi melodiosi. / Voglio che tu mi veda mentre urlo di piacere”, e dar loro la giusta soddisfazione di donna-amante fatta di corpo ed anima, creatura dai profondi occhi di velluto nero, e volto incorniciato da folti capelli bruni.
La sua poetica, avendo vissuto molto tempo in Egitto, al seguito del suo secondo marito Samir Mansour, è pregna di essenze orientali e di lemmi che caratterizzano l’architettura di alcuni versi:“E tu farai di me il tuo letto e il tuo pane/La tua Gerusalemme”.
Negli anni parigini importante, per la sua formazione poetica, fu l’incontro con Breton e il movimento surrealista.
Ma Joyce è donna generosa, che sa dispensare amore, incondizionatamente, è nella sua natura, il suo bruciare di passione nei confronti dell’uomo-amante, laddove amori visionari e morte evocano presagi surreali: “Vuoi il mio ventre per nutrirti / vuoi i miei capelli per sfamarti”, sino al sacrificio estremo: ”Vuoi che muoia lentamente /che mormori morendo parole infantili”, per compiacere l’amato.
Mi piacciono le calze che rassodano le tue gambe.
Mi piace il busto che sostiene il tuo corpo tremante
le tue rughe i tuoi seni ballonzolanti la tua aria affamata
la tua vecchiaia contro il mio corpo teso
la tua vergogna davanti ai miei occhi che sanno tutto
I tuoi vestiti che odorano del tuo corpo marcio.
Tutto questo alla fine mi vendica.
Degli uomini che non hanno voluto saperne di me
Vuoi il mio ventre per nutrirti
vuoi i miei capelli per sfamarti
vuoi le mie reni i miei seni la mia testa rasata
vuoi che muoia lentamente lentamente
che mormori morendo parole infantili.
(…) Voglio mostrami nuda ai tuoi occhi melodiosi.
Voglio che tu mi veda mentre urlo di piacere.
Che le mie membra piegate sotto un carico troppo pesante
ti spingano a gesti blasfemi.
Con i capelli lisci della mi testa offerta
rimangano sospesi alle tue unghie ricurve di furore.
Che ti tenga in piedi cieco e devoto
Guardando dall’alto il mio corpo spiumato.
Ti piace dormire nel nostro letto disfatto
non ti disgustano i nostri antichi sudori
le lenzuola sporche di sogni dimenticati
le nostre grida che risuonano nella camera buia
tutto questo esalta il tuo corpo affamato
la tua brutta faccia alla fine s’illumina
perché i nostri desideri di ieri sono i tuoi sogni di domani
da Grida, (1953), traduzione di Mauro Conti
Invitami a trascorrere la notte nella tua bocca
raccontami la giovinezza dei fiumi
premi la mia lingua contro il tuo occhio di vetro
dammi a balia la tua gamba
e poi dormiamo, fratello mio,
perché i nostri baci muoiono più veloci della notte. (…)
da Fiorita di lussuria, (1955), traduzione di Carmine Mangone
Nuoterò verso te
Attraverso lo spazio profondo
Sconfinato
Acida come un bocciolo di rosa
Ti troverò uomo senza freno
Magro sommerso dal fango
Santo dell’ultima ora
E tu farai di me il tuo letto e il tuo pane
La tua Gerusalemme
da Rapaces, traduzione di trad. Rita R. Florit
*
Invitatemi a trascorrere la notte nella vostra bocca
Raccontatemi la giovinezza dei fiumi
Premete la mia lingua contro il vostro occhio di vetro
Datemi a balia la vostra gamba
E poi dormiamo, fratello di mio fratello,
ché i nostri baci muoiono più veloci della notte.
*
C’è del sangue sul giallo d’uovo
C’è dell’acqua sulla piaga della luna
C’è dello sperma sul pistillo della rosa
C’è un dio che in chiesa
Canta e s’annoia.
Ho spiegato al gatto tigrato
Le ragioni delle stagioni e le regole del gufo
I tradimenti degli amici, l’amore dei gobbi,
E il parto della piovra dai tentacoli palpitanti
Che striscia nel mio letto e non ama le carezze.
Il gatto tigrato ha ascoltato senza rispondere né battere ciglio
E quando son partita
Il suo dorso striato
Rideva.
*
Non ci sono parole
Soltanto peli
Nel mondo senza fogliame
Dove i miei seni regnano.
Non ci sono gesti
Soltanto la mia pelle
E le formiche che brulicano tra le mie gambe untuose
Portano le maschere del silenzio lavorando.
Piomba la notte la tua estasi
E il mio corpo profondo questo polipo spensierato
Ingoia il tuo sesso agitato
Durante la sua nascita.
*
Un nido di viscere
Sull’albero secco che è il tuo sesso
Un cipresso nero piantato nell’eternità
Fa la veglia ai morti che nutrono le sue radici
Due ladroni crocifissi su costolette d’agnello
Se la ridono del terzo che, a missione compiuta,
Mangia la sua croce di carne
Arrostita.
*
Ho visto salire i peli fulvi ed elettrici
Del mio ventre verso la mia gola spiumata d’uccello
E ho riso.
Ho visto vomitare l’umanità nel catino instabile della chiesa
E non ho compreso il mio cuore.
Ho visto il cammello in camicia partire senza lacrime per La Mecca
Con i mille e un venditore di sabbia e il mostro squamato delle folle nere
Ma non ho potuto seguirlo
Perché la pigrizia ha vinto la sua corsa contro il fervore
E l’abitudine ha ripreso la sua danza col piede
Slogato.
*
Io sono la notte
Questa notte di spazio raggelato dalla fredda imbecillità della luna.
Io sono il denaro
Il denaro che fa il denaro senza sapere perché.
Io sono l’uomo
L’uomo che preme il grilletto e spara all’emozione
Per vivere meglio.
*
Ogni mattina un’aquila accaldata
Viene ad affilare il becco
Sulla mia pelle brufolosa
Da rabbino.
Tutte le campane suonano a morte
Quando l’aquila s’addormenta
Senza offrire del cibo ai poveri e ai cani
Che mendicano senza posa alle porte della felicità
E che l’adorano.
Tutti gli uomini ascoltano il mio piede destro che proclama
Le regole del gioco d’azzardo della morte
Che l’uomo gioca con l’aquila
Contro Dio.
*
Il nero mi circonda
Salvatemi
Gli occhi aperti sulla vuota disperazione degli orizzonti marittimi
Mi scoppiano in testa
Salvatemi
I pipistrelli dai corpi ammuffiti
Che vivono nei cervelli torturati dei monaci
S’attaccano alla mia lingua cremosa
La mia lingua gialla di donna accorta.
Salvatemi, voi che sapete
E i vostri giorni saranno moltiplicati
Malgrado i peccati che non vi hanno perdonato
Malgrado lo spessore delle notti nelle vostre bocche
Malgrado i vostri bambini iniziati al male
Malgrado i vostri letti.
*
Corpicino deforme
Nel suo buco senza luci.
Testolina liscia
Senza occhi né sorriso
Questa l’infanzia.
Ossicini privi di volontà
Presto spezzati da dita sommarie
Cavia fragile, dolce e condannata,
Figlio non figlio di una madre senza amanti
Condannato ad essere solo, condannato alla scienza.
*
La mia risata vola alta
Più in alto dei cappelli cardinalizi
E della speranza.
I miei seni sorridono quando brilla il sole
Malgrado i miei abiti malgrado mio marito
Felice nell’essere così sporca
Perché gli avvoltoi mi amano
E anche Dio.

Joyce Mansour Cette jeune femme à la très étrange beauté sombre et exotique, fraîchement débarquée à Paris, aux cheveux de jais volontairement coiffée à l’égyptienne pour étonner
*
Era ieri.
Il primo poeta urinava il proprio amore
Il suo sesso a lutto cantava rumorosamente
Le canzoni rauche
Delle montagne
Il primo dio in piedi sul suo nimbo
Annunciava la propria venuta sulla terra svanita
Era domani.
Ma gli uomini dalla testa di gatto
Mangiavano gli occhi confusi
Senza notare le chiese che bruciavano
Senza salvarsi l’anima che fuggiva
Senza salutare gli dèi che morivano
Era la guerra.