Chiara Moimas è nata a Ronchi dei Legionari nel 1953 e vive a Gorizia ha al suo attivo diverse pubblicazioni a carattere didattico su riviste specializzate. Ha pubblicato i volumi di poesia Metamorfosi: donna (Firenze Libri, Firenze 1989) e L’angelo della morte e altre poesie (Ed. Scettro del Re, Roma 2005) che ha ottenuto numerosi riconoscimenti. Seguono Curriculum vitae (Joker, 2012), e L’acerbo Pruno (Edizioni Progetto cultura, 2014). Sue poesie sono state pubblicate su riviste di settore e nell’antologia Ragioni e canoni del corpo di Luciano Troisio (Terziaria, Milano 2001). Nel 2012 ha vinto il “Premio speciale M. Stefani” al concorso di poesia erotica di Venezia. Si occupa anche di scrittura per l’infanzia e di poesia dialettale (il “bisiac”).
da Chiara Moimas L’acerbo pruno Edizioni Progetto Cultura, Roma, 2014 pp. 64 € 10
Aplomb
Sfiorano le tue labbra la mia nuca
e il tuo respiro sento sul mio collo
non creder che lo voglia e che t’induca
a perdere l’aplomb ed il controllo
il bottoncino sfili dalla buca
e scivola la mano nello scollo
dubbio non c’è oramai che mi seduca
il modo tuo di far ed io tracollo.
Sulle mie labbra posi il tuo sorriso
mi stringi forte tanto da far male
del tuo calore il corpo mio s’è intriso
sulle mie guance lacrime di sale.
Dolce dolore mi pervade il viso
di quel ch’è attorno niente più mi cale.
Le sei le sette...
Le sei le sette le otto le nove
le ore passano e fuori piove
io qui distesa sul mio divano
ti aspetto e scivola lenta la mano
che in preda al gioco di tentazioni
smuove l’ostacolo dei pantaloni
e trova un lembo di pizzo nero
difesa debole scudo leggero.
L’umida preda la mano cattura
la lotta sarà lunga sarà dura
oramai è passata quasi un’ora
ma non è stanca ne vuole ancora.
La chiave nella toppa si rigira
entri mi vedi e un pensiero ti attira…
Dall’acqua emergo
Dall’acqua emergo quasi un’afrodite
e sulla sabbia calda mi distendo
gocce salate scorrono impunite
al loro refrigerio già mi arrendo,
la lingua tua le trova, intimorite,
ma inerme sono e più non le difendo
dal cavo delle cosce già inghiottite
vanno spegnendo il rogo ed io m’accendo.
Insegui il sale e il mio piacere trovi
che stride come sabbia tra i tuoi denti
la sete non si placa in mezzo ai rovi
ma spegnerla si può tra le sorgenti.
E sgorgano ruscelli freschi e nuovi
che placano il tuo ardor tra le correnti.
Venere
Uscì dal mar che Venere pareva
lunghi capelli sciolti sulla schiena
un perizoma argento solo aveva
che il pube nero nascondeva appena.
Esili gambe pose sulla roccia
la chioma scosse come fresco vento
mosse le braccia quasi un fior che sboccia
e ti fu accanto in un sol momento.
Tra le sue ciglia perle incastonate
e tra i capelli rami di corallo
le labbra fresche morbide salate
volle chinarsi e non vide il vallo
ma solo pietre bianche acuminate
e fu così che mise il piede in fallo.
Immergi
Immergi le tue mani nel mio lago
nuota dentro di me col tuo sapere
vergine sto lottando col tuo drago
non lo vorrei ma grido di piacere.
Veleggia sino a che ti senti pago
quello che vuoi da me tu puoi avere
nei desideri più nascosti indago
immolo la purezza sul braciere.
Quando s’arena stanca la feluca
i fianchi ti riparano dai venti
al tuo volere chino la mia nuca
dolci parole invoco ma non senti.
Non c’è oramai sussurro che t’induca
alla pietà dei miei gravi tormenti.

La sensualité c’est la mobilisation maximale des sens on observe l’autre intensément et on écoute ses moindres bruits (M. Kundera)
Accosta, ti prego
Accosta, ti prego, rallenta e frena
qui dove inizia del bosco la strada
fuori la notte è calma e serena
voglio giocare con la tua spada
già il cuore balza già si dimena
e prima ancora che tutto accada
questo sedile si fa calda rena
e come una duna lento digrada.
Non è del vento la voce che senti
è il mio respiro che si fa affanno
non è la luce di stelle cadenti
sono le lacrime calde che vanno
e mentre temi che il morso si allenti
di sale amaro ti nutriranno.
Depressa e sola
Ti trovo al bar depressa e sola: “Ciao,
posso offrirti qualcosa da bere?”
Lo sguardo che mi lanci mi consola,
scorre dello champagne nel tuo bicchiere.
Togli il cappotto, ti scosti la stola,
slacci un bottone e vedo il cratere
che dai tuoi seni m’infuoca la gola e
al magma mi conduce del piacere.
Accavalli le gambe. E’ un invito
audace per me che non sono di creta.
Lo champagne non è ancora finito
e già la mia mano sfiora la seta.
Il gioco, lo so, rimane impunito,
scendo e raggiungo la morbida meta.
La preda
I
Nuda non svelo le serpi d’Erinni
che il mio cuore aggroviglia
né insaziabile l’odio d’Arpia
che gli artigli incarnisce
lo stupore non scopro
terribile e fermo
di Dafne inviolata.
Non sai
quante foglie di gelso
ho strappato
quanta linfa m’è corsa
nell’alchemico sonno.
Ho nutrito la larva
come morte apparente.
Ho creduto.
Ai miei piedi la bava rappresa
dipana i suoi fili e si mostra
inutile e vuota.
Adesso che le ali distendo
ti spezzo il respiro.