Archivi del giorno: 19 novembre 2014

DODICI POESIE EROTICHE di Giorgio Baffo (1694-1768) scelte da Giorgio Linguaglossa Commento di Gian Franco Torcellan

Lorenzo Lippi Allegorie della simulazione

Lorenzo Lippi Allegorie della simulazione

 da Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 5 (1963)

Commento di Gian Franco Torcellan

Giorgio Baffo, ultimo rappresentante di una modesta famiglia del patriziato veneziano detto di toga, nasce a Venezia da Giannandrea e da Chiara Querini il 1° agosto 1694, Venezia il 1° agosto 1694, e muore nel 1768.  Baffo aveva dinanzi a sé, dopo aver trascorsa la giovinezza non brillante tra noiosi precettori ed aridi studi scolastici, una vita monotona e tranquilla da impiegare in una lenta carriera in quelle magistrature giudiziarie che il governo della Serenissima tradizionalmente riserbava al suo ceto. Un solo vistoso precedente d’anormalità, ma perso ormai nella leggenda e nella notte dei tempi, aveva rotto la pacifica vicenda della famiglia: quello d’una bellissima fanciulla della casata, Cecilia, caduta in mano al Barbarossa a Paro divenuta prima schiava e poi favorita potentissima del sultano Selîm II, vicenda che il B. ricordò in cinque sonetti con compiaciuta ammirazione.

Ma una singolare dualità si fece presto evidente nella vita del patrizio. Della sua prima e più scontata esistenza, quella di patrizio di second’ordine senza ambizione di carriera politica né possibilità di successo in tale campo, poco sappiamo perché poco rilievo essa ebbe. Passò attraverso le varie magistrature giudiziarie con immutabile assenteismo, funzionario, possiamo crederlo, di normale levatura in quei non felici tempi per la classe dirigente aristocratica. Un solo dettaglio, che più acutamente contrasta con il carattere più noto della sua personalità: possedeva un tatto squisito nel parlare e nel trattare, una pudibonda reticenza nel dire. Nel 1737 aveva condotto in matrimonio una nobile giovane di casa Sagredo, Cecilia: e il loro connubio non diede luogo a pettegolezzi di alcun genere nella pur fertile città lagunare. Quando la morte lo colse, nel 1768, era stato chiamato a far parte di un’importante carica della Giustizia veneta, la Quarantìa criminale.

Venezia erotico-boucherUna seconda personalità, un uomo diverso ed opposto viveva e s’agitava però dietro questa monotona e impassibile attività ufficiale. V’era il poeta e il pornografo, un verseggiatore instancabile di sconcezze che con frenetica attività riempiva i suoi fogli e li andava diffondendo, come lo ritraeva un attento confidente degli Inquisitori di Stato, per gli ambienti facili della città, in una Venezia popolata di perditempo, di patrizi e non patrizi inclini all’ozio, di stranieri ansiosi di conoscere le curiosità locali. Attività furtiva quanto feconda, tacita quanto diffusa; nulla raggiungeva la pericolosa dignità della carta stampata, ma penne infaticabili e interessate moltiplicavano su fogli volanti le oscene arguzie uscite dalla fantasia del Baffo.

La sua fama in tal campo s’era talmente diffusa, e con tanta fortuna, che il Labia se ne lagnava pubblicamente in alcuni suoi duri versi come ulteriore prova della corruzione dei costumi; e, secondo alcuni, il Baretti s’era indotto a venir a Venezia a farvi stampar la sua Frusta nella fiducia che la censura non avrebbe minacciato i suoi scritti in una città che sopportava e lasciava indisturbati gli sconci componimenti d’una tale musa: persuasione, com’è noto, assai fallace, onde il piemontese replicò poi con più che giustificata ironia sul conto del patrizio. La sola sortita in pubblico del B. fu un intervento nella battaglia tra seguaci del Goldoni e difensori del Chiari in campo teatrale: e si schierò con questi ultimi in un’epistola martelliana di critica al Filosofo inglese, ma senza acredine né spirito di parte, ammiratore di intrecci complicati e vistosi e d’emotive trame quanto insofferente delle commedie di carattere o moraleggianti; e fu pronto poi ad ammirare il Goldoni della Sposa persiana, “piena d’accidenti”, con “gran bei caratteri, e tutti concludenti”.

Un giudizio complessivo sul poeta si poté dare solo dopo la morte, quando il veto del B. non poté più impedire una stampa, sia pur clandestina, delle sue composizioni: dopo una prima raccolta in un volume uscita nel 1771, si ebbe l’edizione completa in quattro volumi, stampati a Venezia nel 1789 con la falsa datazione da Cosmopoli.

particolare dei volti

particolare dei volti

Dedicati “Ai omeni e alle donne morbinose, / A quelli veramente, che le cose / I varda per el verso che xe bon“, queste poesie, scritte tutte nel più puro dialetto veneziano, trattano una sola materia, tranne poche e parziali eccezioni, l’unico argomento che abbia in tanti anni ispirato la musa del B.: l’amore sessuale. Una sorta di persecuzione, d’opprimente mania erotica, aveva tormentato con prepotente tenacia la fantasia del patrizio veneziano traducendosi in lunghe pagine di laide canzoni, di osceni sonetti e madrigali. Il soliloquio ossessionante e monotono, la disperata insistenza su questo unico e squallido tema dell’amore carnale non possono soltanto spiegarsi in relazione all’ambiente in cui il B. visse, né, tanto meno, con la vita tediosa e monotona cui la carriera giudiziaria lo aveva costretto, ma finiscono per rivelarsi come l’esasperazione di un triste caso personale.

Certo la poesia sessuale del B. nasce da una squallida indifferenza di fronte al valore delle più elementari idealità che bene s’accorda con certo disperato scetticismo pullulante nella Venezia del tempo: ma gli estremi della musa del patrizio sono fine a se stessi, effetto di una realtà che può semplicemente identificarsi con la tormentata psicologia dello scrittore.

Giorgio Baffo

Un superficiale fondo filosofico il B. intese mettere alla base dell’ostinata tetraggine della sua tematica, disponendo le sue composizioni in un certo ordine logico nei quattro volumi, allucinante biografia della vita dei poeta, e per i suoi versi gloriandosi d’una settecentesca aspirazione alla verità di natura, attribuendosi i lauri di assertore della tolleranza quale cantore dell’amore carnale che supera e livella ogni dissenso filosofico, e, infine, identificando nell’attrazione sessuale il principio primo che spiegava le origini dell’umana società. Uomo non digiuno di cultura e ben al corrente di letture illuministiche, caricava di lodi l'”Elvezio Parigin filosofon“, raggruppava buona parte delle poesie, quelle degli ultimi anni della sua vita, attorno ad una tematica filosofica che nel sesso ravvisava la soluzione dei massimi problemi umani e si sforzava di dare all’atto sessuale una dignità di rito religioso assimilandolo in via di simbolizzazione a non dimenticate religioni solari.

venezia 5

Per il B. va rifiutata la tante volte sbandierata “venezianità”, ché nulla possiamo riconoscergli di autentica testimonianza storica, o pur solo di costume, nella sua oscena idealizzazione di Venezia “città di piaceri“, uno dei primi documenti di quella superficiale mitizzazione della Serenissima settecentesca che preludeva alla mistificazione retorica d’un’intera civiltà. Lo stesso dialetto perde la sua ricchezza e la sua spontanea inventività nella immutabile oscenità delle rime e delle parole obbligate, e diventa puro formulario. Gli va solo riconosciuto un ingegno notevole di verseggiatore dialettale; artefice coscienzioso, confessava la sua paradossale cura e preoccupazione per cesellare le sue poesie e rinnovare continuamente il repertorio (“Me lambico el cervelo zorno e note / Per far soneti grassi e butirosi, / Per divertir le done e i so’ morosi“), e in talune occasioni egli seppe anche dare alla propria penna la felicità inventiva del poeta autentico, come in una canzone “Per una proposta di matrimonio” o in altra “Per el primo dì de quaresima”. Eccezioni, e pur esse parziali per la ricorrente trivialità del linguaggio, in un panorama morbosamente uniforme, cui non seppero aggiungere varietà di tono composizioni satiriche contro frati e monache, sonetti acerbissimi contro papa Rezzonico e manierate critiche di costume.

venezia ballo

Opere: Le poesie del B., come s’è detto, uscirono per la prima volta in un volumetto dal titolo Le poesie di G. B., patrizio veneto, s. l. 1771, di cui una “nuova edizione” uscì con la data di Londra (probabilmente falsa) nel 1789. In quell’anno veniva pubblicata a Venezia, con l’indicazione di Cosmopoli, la Raccolta universale delle opere di G. B., in quattro volumi, destinata a rimanere l’edizione principale e fondamentale. Soltanto verso la fine dell’Ottocento la fama del poeta pornografo veniva rinfrescata dalla lussuosa edizione delle Poésies complètes de G. B. en dialecte vénitien, litteralement traduites pour la première fois, avec le texte en regard, uscita a Parigi in cento esemplari a cura di I. Liseux nel 1884, in quattro volumi, con la traduzione di Alcide Bonneau, che s’era dato cura di includere anche qualche inedito. Della stessa epoca, probabilmente, una ristampa delle Opere complete, apparsa in Italia con la datazione da Alessandria e senza indicazione di anno, in quattro volumi, e che teneva dietro all’altra Raccolta completa delle opere in due volumi, uscita nel 1866 con l’indicazione di Costantinopoli come città di stampa. La semiclandestinità ha sempre giovato a certi successi: e si può dire che il B. abbia raggiunto la sua gloria letteraria quando Guillaume Apollinaire incluse una scelta delle sue poesie e un dotto saggio introduttivo con accurata bibliografia in un volume de L’œuvre libertine des conteurs italiens, I, Paris 1910 (L’œuvre du patricien de Venise G. B.). Per la storia della fortuna del B. vanno ancora citate Le poesie. Sonetti faceti e canzoni in dialetto veneziano, ristampa dell’edizione del 1771 uscita a Catania nel 1930, e l’opuscolo Poesie veneziane sulla commedia “Il filosofo inglese” rappresentata nel 1754, che Federico Berchet pubblicò a Venezia nel 1861 includendovi l’inedita epistola martelliana del B. cui si è accennato.

Bartolomeo Veneziano Lucrezia (Borgia) in décolleté

Bartolomeo Veneziano Lucrezia (Borgia) in décolleté

Fonti e Bibl.: Testimonianze contemporanee sono in C. Goldoni, Opere, a cura di G. Ortolani, I, Milano 1935, p. 1008; V, ibid. 1941, pp. 263-64, 933, 1358, 1360, 1401; IX, ibid. 1950, p. 1333; XIII, ibid. 1955, pp. 201-13, 969; XIV, ibid. 1956, p. 788; G. Baretti, La frusta letteraria, a cura di L. Piccioni, II, Bari 1932, p. 279 (num. del 1° apr. 1765); Agenti segreti veneziani nel ‘700, a cura di G. Comisso, Milano 1945, pp. 98-100; J. Casanova, Histoire de ma vie, ed. integrale, t. I, Wiesbaden-Paris 1960, passim, e in partic. p. 9,dove lo ricordava con affetto per i benefici ricevuti ancor fanciullo e lo diceva “sublime génie, poète dans le plus lubrique de tous les genres, mais grand et unique“. Accanto a qualche scarno cenno biografico, come in G. Moschini, Della letteratura veneziana del sec. XVIII, II, Venezia 1806, pp. 152-53, o nella voce, dovuta al Ginguené, della Biographie universelle, III, Paris 1811, p. 209, troviamo la ristampa di qualche poesia e il riconoscimento delle qualità di poeta dialettale nella Raccolta di poesie in dialetto veneziano d’ogni secolo, Venezia 1845, pp. 89-93, 507, e ogni tanto l’impennata critica, positiva o negativa, quale fu quella di G. Ferrari, Saggio sulla poesia popolare in Italia, in Opuscoli politici e letterari, Capolago 1852, pp. 494-96 (l’articolo era uscito in origine in francese nel 1839-40 nella Revue des deux mondes). Cfr. inoltre Nouvelle biographie universelle, IV, Paris 1853, col. 148; G. Dandolo, La caduta della repubblica di Venezia e i suoi ultimi cinquant’anni, Venezia 1855, pp. 90 s.; C. v. Wurzbach, Biographisches lexicon…, I, Wien 1856, p. 122; E. Castelnuovo, Della poesia vernacola veneziana, in Nuova antologia, 16 apr. 1883, p. 613; V. Malamani, I costumi di Venezia nel sec. XVIII studiati nei poeti satirici, in Riv. stor. ital.,II (1885), pp. 45, 66; R. Barbiera, Poesie veneziane scelte ed illustrate, Firenze 1886, pp. XXIV s. XL, 21-29; V. Malamani, Il Settecento a Venezia, I, La satira del costume,Torino 1891, passim; A. C. Dall’Acqua, Venezia e i suoi poeti dialettali del Settecento, Mantova 1910, passim.

Venezia Settecento, dilaga il gusto del travestimento le dame amano celarsi dietro velette e ventagli, le signore aristocratiche arricchiscono il guardaroba

Venezia Settecento, dilaga il gusto del travestimento le dame amano celarsi dietro velette e ventagli, le signore aristocratiche arricchiscono il guardaroba

Nello stesso anno Apollinaire, nel volume che s’è detto, riprendeva in chiave compiaciuta la definizione del B. come “poeta di orgie” data dal Ferrari giudicandolo “le plus grand poète priapique qui ait jamais existé et en même temps l’un des poètes le plus lyriques du XVIIIe siècle” e assimilandolo alla sua torbida definizione di Venezia come “ville amphibie, cité humide, sexe femelle de l’Europe”; A. Pilot, Antologia della lirica veneziana dal ‘500 ai nostri giorni, Venezia 1913, pp. 19, 151-60, 92 s; C. Musatti, G.B. e la “Sposa persiana”, in Riv. teatrale ital., XIII (1914), pp. 328 ss.; L. Pagano, Poeti dialettali veneti del Settecento, Venezia 1915, pp. 44-52, passim; F. Nani Mocenigo, Della letteratura veneziana del sec. XIX, Venezia 1916, p. 436; Venezia nel canto de’ suoi poeti, scelti e illustrati da R. Barbiera, Milano 1925, pp. XIII, XVII, 22-28; p. Molmenti, La storia di Venezia nella vita privata, III, Bergamo 1926, pp. 86, 168, 279, 389; A. Pilot, G.B., in Encicl. Ital.,V,Milano-Roma 1930, p. 842; V. Lee, Il settecento in Italia, Napoli 1932, p. 310; G. Baretti, Epistolario, a cura di L. Piccioni, II, Bari 1936 p. 162; G. Natali, Il Settecento, Milano 1944: pp. 613, 641; M. Dazzi, Il fiore della lirica veneziana, II, Venezia 1956, pp. 213-41, cui dobbiamo la più convincente sistemazione critica del B. ed anche una scelta un po’ più coraggiosa dei suoi componimenti; Diz.letterario Bompiani, Autori, I, Milano 1956, p. 153; Opere, V, Milano 1948, p. 609 (a cura di C. Cordiè); G. Damerini, Casanova a Venezia dopo il primo esilio, Torino 1957, p. 291; B. Gamba, Serie degli scritti impressi in dialetto veneziano, 2 ediz., a cura di N. Vianello, Venezia-Roma 1959, passim.

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Sulla facciata di Palazzo Bellavite, in Campo San Maurizio, si trovano due targhe che ricordano il soggiorno di due personaggi importanti: Alessandro Manzoni e Giorgio Baffo. Entrambi poeti ma di diversa ispirazione. La famiglia Baffo giunse a Venezia nell’anno 827 e fu inscritta nella nobiltà nel 1297, contribuì alla costruzione della Chiesa della Maddalena e di San Secondo (nell’isola omonima) e Giorgio non perdonò mai ai suoi antenati di aver speso parte del capitale di famiglia a favore del clero. Le sue invettive contro preti e frati furono assai accese:

De povertà fè voto e castitae,
e po’ ve volè tior tutt’i trastuli,
se ziogadori, puttanieri e buli,
e questa xe la vostra santitae.

Giorgio nacque nel 1694 da Andrea Baffo e Chiara Querini: studiò scienze, storia e filosofia. “Fu uomo robusto e di forte complessione, sebbene piccolo di statura e grosso… Era faceto ed allegro nel parlare e trattare, facile ed affabile con tutti, egli era la delizia della conversazione, ne v’era alcun cittadinesco passatempo cui il nostro Autore non intervenisse e non rallegrase co’ suoi lepidi versi ora studiati ed ora improvvisati che a gara gli dettavano le Muse e il suo libero genio“.
Le poesie di di Giorgio Baffo, pur suscitando polemiche per il loro erotismo e anticlericalismo, erano lette ovunque in quanto affrontavano temi di grande attualità, quali il libertinaggio a Venezia. E Baffo, sebbene membro della Quarantia, scriveva moltissimo:

Me lambicco el cervello zorno e notte
per far sonetti grassi e buttirosi
per divertir le donne e i so morosi
ma mi fazzo sonetti e i altri fotte.

I suoi versi nascevano dall’osservazione della vita cittadina in giro per caffè, sale da gioco e bordelli:

Amigo vol contarve in t’un sonetto
la mia gran bela vita buzarada
tutta la sera vago per la strada
ma vago per toccar qualche culetto.

Bordone Paris , Ritratto di cortigiana

Bordone Paris , Ritratto di cortigiana

Baffo fu amico di personaggi illustri suoi contemporanei ed ebbe molta influenza negli anni dell’infanzia di Giacomo Casanova. Fu lui infatti che convinse la famiglia a mandare Giacomo a studiare a Padova e sempre lui lo presentò al senatore Malipiero che divenne suo protettore per un lungo periodo della sua vita. Nel 1727 Baffo sposò Cecilia Sagredo, suonatrice di clavicembalo, dalla quale ebbe un’unica figlia. L’unione fu voluta dai Baffo perché Giorgio era l’unico maschio rimasto; il poeta ebbe sempre una certa ritrosia verso il matrimonio. Pare che i rapporti tra marito e moglie non fossero buoni, o almeno così traspare dalle sue parole:

Pur a mi la me tocca de sta’ fatta
e se la soffro e la sopporto in pase
perché digo, gramassa la xè matta.
La Mona el ciel a ella l’ha fatta
e più darmela adesso no ghe piase
e mi vago a puttane, ed ecco fatto.

Fu definito poeta osceno, trasgressivo, licenzioso e morboso, ma è palese che questo suo scrivere è una spia dei disagi sociali, umani e politici degli anni che precedettero la caduta della Serenissima, quando tutti i valori del passato vennero meno. Stanco di ipocrisie e falsità, durante un attacco di ira diede alle fiamme tutta la raccolta dei suoi scritti. Fortunatamente erano però stati trascritti da chi lo ascoltava e sono così giunti fino a noi.

(Fonte: M.C. Bizio)

part di cortigiana

part di cortigiana

Dialogo “Tra omo e donna, che fotte”

Dame la Mona. Oh! Dìo, zà vegno dentro,
Zà me par de morir, debotto sboro,
Che dolcezza in sborar,che gran contento,
Questa è la volta che sborrando moro.
Felice mi ghe digo a sto momento,
Tenir el Cazzo in Potta al mio tesoro,
Ma oh! Dìo che sboro ancora, e za me sento
morir dal gran piacer: Mona t’adoro.
Ma zà el cazzo me tira:oh! Dio no posso…
Vegno dentro, oh! che gusto ,oh! che sollazzo.
Dame le tette, Za te son addosso.
Tiote quel che ti vuol, no me n’impazzo
Pur che ti spenzi quel to Osello grosso.
Sì, Cara, zà ho sbora’ con tutto el Cazzo

.

Sora la mona

La Donna gà ’na cosa tanto bona,
Che tutti la vorrìa, tutti la brama,
Co tanti varj nomi la se chiama,
Ma ’l più bello de tutti xe la Mona.

Oh! Come ben sto nome in bocca sona;
A solo nominarla el cuor s’infiama,
Questo fà, che la Donna tanto s’ama,
E che dell’Omo la se fà parona.

La gà rason, se la la tien sì stretta,
E come una reliquia ben coverta,
Perchè la xe una cosa benedetta.

E quei, che la vuol veder descoverta,
O che i voggia toccarghe la Sfesetta,
Bisogna, che i ghe fazza la so offerta

venezia 2

I vantaggi della mona

Gran beni, che la Mona al Mondo fà,
Ella cava la fame ai affamai,
Ella veste quelli, che xe despogiai,
E alloggio ai pellegrini ella ghe dà.

Con certo liquoretto, che la gà,
Ella cava la sè a chi è arsirai,
Ella consola tutti i appassionai,
E la ghe dà salute all’ammalà.

Me stupisse, che tante gran nazion,
E trà l’altre i Egizj zente dotta,
Abbia bù per le bestie devozion;

I hà adorà sin la Rana, e la Marmotta,
El Cazzo ancora hà bù le adorazion,
E mai gnessun no gà adorà la Potta.

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Me tira el Cazzo

Me tira el Cazzo, che ’l me và in malora,
Me pizza la capella, e più no posso,
L’è duro, come un ferro, come un osso,
Adesso el se corrompe, adesso el sbora.

Deh! cara vita mia, cara Signora,
Leveme vìa sea malatia da dosso,
Tastè co ’l scotta, vardè co l’è rosso,
Palpè, che la lussuria và per sora.

Slarghè le gambe, e quel Monin da latte
Sporzeme, caro ben, sulla spondetta,
Lassè, che metta un deo trà le culatte.

Oh! Mona cara, siestu benedetta,
Care ste culattine, e chi l’hà fatte,
Cara Potta, ben mio, ti xe pur stretta

venezia saper leggere, scrivere ed intrattenere con il proprio savoir fairie Le cortigiane  dovevano essere affascinanti, colte in molte discipline, dalla musica alle lettere, dalla danza alla politica

Lorenzo Lippi Allegorie della simulazione

Gnente meggio del fottere

Fottemo pur, fottemo allegramente,
Che del fotter no ghè cosa più bona,
Troveme un liogo meggio della Mona,
Nol ghè per Dio, che diga pur la zente.

Le nostre voggie no xe mai contente,
Se vorrìa co xe dì, che fusse nona,
Ma, co se xe a cavallo d’una Dona,
Voggia de desmontar mai no se sente.

In fatti, se l’Osello no molasse,
No ghe sarìa gnessun de volontà,
Che fora della Mona lo cavasse;

Perchè ’l se cava in quanto el s’hà molà,
Che per altro, se sempre duro el stasse,
Mai nol se cavarìa fora de là.

.
El regalo più caro alle donne

Caro Cazzo, che in fondo della panza
Ti xe là fatto, che ti par un palo,
Che se una Donna te vien a cavalo
Ti me deventi un Paladin de Franza.

D’ordinario ti gà la bell’usanza
De dormir su i cogioni, e farghe ’l calo,
Ma se d’un Cul te vien fatto regalo
Ti salti sù con tutta la baldanza.

De zuccaro ti è fatto, come un pan,
E le Donne te crede un donativo,
E ’l più bon, che se possa darghe in man;

Co le vuol, de sto gusto no le privo,
Ghe ’l dago ancuo piuttosto, che doman
E ghe ’l dago per bocca, o in lavativo.

.
El corpo più glorioso

Oh! Caro Cazzo duro,
Siben, che ti stà al scuro,
Ti è el corpo più glorioso
Del Mondo universal.

Ti è quel, che hà fatto i Santi,
I Papa, i Re, i birbanti,
Ti è quello, che hà distinto
Con leggi el ben dal mal.

nudo di cortigiana?

nudo di cortigiana?

 

 

 

 

 

 

 

Come, che a mi me piase assae la Mona

Come, che a mi me piase assae la Mona;
Cussì al Procurator ghe piase el Corno;
Mi sempre studio per andar in Mona,
E lù el so studio xe d’aver el Corno.

Mi sempre vorrìa star col Cazzo in Mona,
E lù sempre vorrave aver el Corno;
Mi spendo tutti i bezzi per la Mona,
E lù li spende tutti per el Corno,

Tutti semo in passion, mi per la Mona,
E ’l Sior Procurator xe per el Corno;
La diferenza sta da Corno a Mona:

Ma supponemo, che lù gabbia el Corno,
E che mi, da cogion, sia drento in Mona;
Chi stà meggio? chi è in Mona, o chi gà el corno?

 

Bontà d’una villana

Sull’erba una Villana zovenotta
Ho trovà sola un zorno, che dormiva;
Quando ho capìo, che gnente la sentiva,
E mi bel bello toccheghe la Potta.

La s’hà svegià, la xe restada in botta
Vedendome, che in man gavea la piva,
La dise, cosa xe sta robba viva,
E mi ghe digo, un Cazzo, che ve fotta.

No la fà brutto a sto parlar el muso,
E mi tiò l’occasion, che la me dona,
E tireghe le corrole ben suso;

Co ho visto, che la xe una bona Dona,
Che la se mette colla panza in suso,
E mi senz’altro mettighelo in Mona.

Venezia

 

 

 

 

 

 

Oh! Mona in frà le cose delicate

Oh! Mona in frà le cose delicate
Vera delizia della stirpe umana,
Ti de Cazzi ti xe la Tramontana,
Ti de sto nostro Ciel la via del late;

E vù Bardasse, che fè da puttana,
Petteve el vostro bus sulle Culate,
Oppur deghelo a nolo a qualche Frate;
Che ’l ve refila sù la cascia in cana,

Per mi fina, che vivo, e infin, che posso;
Voggio sempre per Dio fotter in Mona;
S’anca credesse de morirghe addosso;

Anzi, se posso mai, Dio me ’l perdona,
In vece sul Sagrà de farme un fosso,
Me voi far sepelir in t’una Mona

.
Accidente fortunato

Son stà in Mona jer sera allegramente
Con errata corrige originale una, che mai più l’ho praticada,
Ma senti l’occasion, come l’è stada,
Che no l’aveva gnanca per la mente.

Vedo un muso al balcon mezzo ridente,
Che me fà d’occhio; Oh! se no fusse in strada,
Ghe digo, ve darave una chiavada,
Ma ghe lo digo appian, che gnessun sente.

Bisogna, che la Mona ghe tirasse,
La m’hà averto la porta in t’un momento,
Nè mi ho aspettà, ch’Ella me invidasse.

Go issà su le carpette, come un vento,
E per paura, che la me scampasse,
Senza spuazza ghe l’ho messo drento

venezia 3

 

 

 

 

 

Sbaglio dalla mona al culo

Ho volsudo chiavar un dì a passin
Una certa Bettina Castellana,
L’ho vista in casa in tempo de Caldana;
Che la giera in camisa, e in sottanin.

Fin, che le Tette gò toccà un tantin
Se m’hà ’l Cazzo indurìo, come una cana,
Quà l’ho tratta sul letto a mo puttana
Col Culo in sù, che giera grasso, e fin.

Dopo gò dito, senti, cara Betta,
Mi addesso coll’Osel te vegno sora,
Sporzime ben la Mona, che tel metta;

Ma in pè, ch’in Mona in Cul l’ho messo; allora
La s’hà taccà a zigar, ti falli, aspetta,
Ti me xe in cul…., ma non importa, sbora

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