Antonio Sagredo
Cirene, Ker… o il mito?
Mi assillava il Vuoto irregolare all’ora sesta
e la domestica ombra delle Naiadi in calore.
Era cinta alla lingua delle api la loro caccia,
alla carcassa di un leone e della sua criniera.
Le braci di potassio negli occhi di Diomede
e le sue cavalle infuriate che divorano gli uomini
sono corone in cenere di mirto sparse sullo Ionio.
Sono stragi – per Euridice morsa da un serpente!
Lo spettro orfico si gingilla di passi e di sguardi,
cancella le tracce sulle piante e le orme di Mefisto.
La cetra non sa l’estasi del dubbio e la pietà infernale
che distrugge il canto per un ritorno irrevocabile.
E non sai se sono zoccoli nel bosco e corna del grigio frate
che contriti battono la sua parola e la pungente luce – e ora,
basta! Tersite, il codardo, intona un Te Deum e gioca ai dadi,
e dal suo volto ciondola la tossica armilla di una smorfia.
(13/17 novembre 2011)
.
In cammino… dagli occhi di Diomede
Come il cammino sul molo irriverente segue incerto
una luce franta che conduce a un sentiero cieco,
ma un oblio che vai a cercare ha la morte altrove
e non sai il canto di una nostalgia che non ha passato.
Oggi ho ascoltato con le dita il continuo sconforto del mare
sui granuli… le implorazioni e le suppliche, i gridi, e i suoi lamenti,
e compassione ha avuto – lui di me! – con la sua belante letania,
e non la sfida di un gabbiano con uno sguardo in picchiata: amami!
E ho sentito sui malleoli i vagiti asmatici delle sue risacche
e dei cavalli omerici le scintille dalle criniere dei marosi,
dagli occhi di Diomede gli uncini dei suoi furori come braci –
– mi sono ricordato l’infanzia delle vigilie eretiche:
le bestemmie contro gli angeli e tutti gli dei in ogni tempo,
i pugni dei miei occhi contro tutti gli altari e i cristi crocefissi,
le omelie blasfeme da pulpiti e patiboli come frustate inquisitorie
perché interdetto è il condannare per chi il diniego e la smorfia
sono un sacramento nuovo contro ogni verbo irrazionale – ma non ho
timore del puzzo delle scimitarre e dei candelabri, né di quelle croci –
invano attendi una liberazione da questi barbari legami che solo
su questa terra infame sono divisi e uniti per sterminarci tutti!
(Campomarino, 23 luglio 2011, ora prima del nuovo giorno)
Francesca Diano
L’ape
Ape regina, emblema del Sole
Creatura di pura luce
Spirito d’oro, nettare regale
Che dalla terra al cielo conduce.
Ape di bronzo, rintocco alato
Delle vergini oracolanti
Donate a Hermes da Febo-Sole
Che stordisce i mortali coi suoi canti.
Ape d’argento, segno immortale
Di vita eterna, di simmetria
Ronzando tracci nell’aria azzurra
Complesse regole di geometria
.
Il cane
Custode dei morti, compagno di veglie
In forma di Ecate appari
Ai crocicchi di notte scortata
Da una muta senza pari.
Silenzioso compagno e muto
Ti adatti ad ogni negazione
Soffochi il gemito sconosciuto
Senza piegarti alla commozione.
Cuchulainn, eroe tetro e fiero
Che rinasce ad ogni luna
Ululando di notte alle foglie
Tra vapori di morbida bruma
Il corvo
A novembre, sui prati secchi
Saltellano torme di corvi
Neri principi dell’inverno
Sotterranei signori torvi.
Demiurghi oscuri della rinascita
Sottili signori dell’aria
Formule alchemiche della materia
Che dal mondo dei morti s’irradia
(Inediti, da Bestiario 1981)
Silvana Baroni
Dafne, in assolo, a ricorrenza
Dall’ingordo gorgo dell’eco
l’imperioso buio della parola.
Ascoltami Apollo
dai pace a questo urlo
spezza la distanza di questa estrosa
mia giovinezza, rovinosa
virginale rapina d’essere arciere
e freccia e belva.
Furente l’acqua ribolle
è il tuo nome, Apollo.
Grumo di buio l’alloro mi avviluppa
arsa quaresimale a rifugio nel fogliame
con dita tese sull’arco al primo richiamo
io stessa preda imbronciata in arrocco
dietro le quinte dei lauri
io dea della distanza
nella convulsa galleria dei latrati.
Da questo strazio di luna
da questo corpo incompiuto
miro al cervo da un anello di legno.
Chimere si pasciano del mio bersaglio
i gesti del ritardo cadono a grandine
amnesia giù per i dirupi
dell’eterno diluvio.
Non ho scampo
schiava del presente assoluto
non oso voltarmi al tuo domani.
Una sponda di marmo è l’attesa
non altro che albe a imbrunire
traghetti di luce per fori larghi del cielo
a cui s’addossa a sentenza la luna.
Ho in archivio il tuo nome, la voce
il vigore del fremermi accanto
tu corpo d’altra natura che non la mia
io vizio a distanza a certezza di resa.
E ancora t’ho sognato, Apollo
sul ponte a dritta del tuo sole
e che sorpresa la goccia smorfiosa
dal piovasco della tua verde navata!
Il bosco di nuovo un gemito di nati
fiammelle dai bivacchi e sagome
muy adelanti a risveglio a snodarsi
dall’orchestra dei rami.
Apollo! Torna ai boccioli in accensione
morsi vorrei, svestirmi dell’ombre
godere del furioso sequestro della bocca
dell’insistere a sete al traino del tuo sole.
Apollo!
Tu che mi sfrondasti l’anima
abbi pietà della ripulsa verginale
dell’arco mio teso al fulgore dell’ego.
Perso l’abbraccio altro non sono
che un verde scarabocchio nel caglio notturno
un assolo a ricorrenza
dell’assieme voluttuoso abbraccio
alla medesima altra creatura.
Ma la luna è sovrana
io carne fatale della sua bocca
io preda dei profumi e veleni del suo forziere.
Antonio Sagredo. Dicono che sia nato nel Salento decine di anni fa… a pochi chilometri da Giulio Cesare Vanini (a cui ha dedicato un poema mirabile), da Carmelo Be-ne e Eugenio Barba; il primo lo frequentò con discrezione somma, e gli de-dicò versi immortali. Fu frequentatore assiduo di quei teatri d’avanguardia romani e non, di cui conobbe autori e attori; recitò in due spettacoli teatrali: nei drammi lirici del poeta russo Aleksandr Blok e in uno spettacolo del poe-ta praghese Vitězslav Nezval, che inneggiava ai progressi della scienza della comunicazione. Sagredo studiò e visse a Praga calpestando gli acciottolati insieme ai poeti praghesi e a Keplero. I suoi primi componimenti, a 14 anni, in un vagone di terza classe (seppe tempo dopo che Pasternak e Machado viaggiavano nella stessa classe, componendo); distrusse i primi versi, i secondi e seguirono altre rovine; trovò un impiego di ripiego per nascondersi; poi raggiunse una forma inclassificabile tendente al sublime che gli permette di vivere di eredi-tà auto-postuma. Un amico poeta spagnolo, M. Martinez Forega, lo spinse a pubblicare due piccole raccolte di poesia a Zaragoza: Tortugas (Lola edito-rial, 1992) e Poemas (Lola editorial Zaragoza, 2001); sulle riviste: Malvis (n. 1) e Turia (n. 17). Poi nulla più, fino a che da New York, la scorsa estate, gli giunse una proposta di pubblicazione con Chelsea Editions.
Francesca Diano è nata a Roma nel 1948 e vive a Padova. Laureata in Storia dell’Arte, ha vissuto a Oxford e Londra. Ha insegnato all’Istituto Italiano di Cultura e ha lavorato al Courtauld Insitute. Ha vissuto a Cork, in Irlanda, dove ha insegnato all’University College e ha tenuto lezioni pubbliche sull’arte italiana contemporanea. Dai primi anni ’80 è consulente editoriale e traduttrice letteraria di poesia, narrativa e saggistica per vari editori, tra cui Fabbri, Neri Pozza, Donzelli, Guanda. E’ la traduttrice italiana delle opere di Anita Nair. Studiosa di folklore e tradizione orale irlandese, ha curato l’edizione italiana delle Fairy Legends di Thomas Crofton Croker (Neri Pozza, 1998) e quella anastatica dell’originale (The Collins Press, 1998).
Autrice di saggi, testi narrativi e poetici, nel 2012 ha vinto il Premio Teramo. Nel 2010 ha pubblicato il romanzo La Strega Bianca – una storia irlandese e la raccolta di racconti Fiabe d’amor crudele(Edizioni La Gru, 2013). Suoi testi poetici sono presenti sui blog letterari MOLTINPOESIA, CARTESENSIBILI, LA PRESENZA DI ERATO
Silvana Baroni Vive a Roma. Ha scritto testi teatrali: Le infinite metà del mondo, L’amore è una scatola di biscotti rappresentati entrambi al teatro XX° Secolo a Roma, Liti d’amore con Neruda” ai teatri: La catapulta e Agorà di Roma.In poesia ha pubblicato: nel ‘92 Tra l’Io e il Sé c’è di mezzo il me– aforismi e grafica- Il Ventaglio; nel ’94 Stagioni Il Ventaglio; nel ‘98 Nodi di rete Fermenti; nel 2001 Ultimamente Fermenti; nel 2002 Il tallone d’Achille di una donna Fermenti; nel ’97 Acquerugiola-acquatinta – haiku e grafica – Dell’oleandro; nel 2005 Alambicchi – 14 racconti – Manni; nel 2006, Nel circo delle stanze – poesia – Fermenti; nel 2007 Neppure i fossili – aforismi, grafica e pittura – Quasar; nel ’11 Il bianco, il nero, il grigio– aforismi – Joker; nel ’12 Perdersi per mano– poesia – Tracce; nel ’13 Criptomagrittazioni – Onyxeditrice; nel 2013 ParalleleBipedi – aforismi- La città del sole. www. htts://silvanabatroni.it