L’aspetto più vistoso della poesia inglese degli anni quaranta lo si scopre agevolmente leggendo la poesia di Dylan Thomas (1914-953). Viaggiando sulla scia dell’eredità che il grande Wystan Hugh Auden aveva lasciato, i poeti della generazione seguente come Robert Graves, Louis MacNeice e altri, svilupparono l’ideale iconoclastico della semplicità e del realismo per dare vita ad uno stile prettamente derivativo.
Dylan Thomas è stato il poeta più rappresentativo di questo periodo. Il poeta che rompe gli schemi. Nato a Swansea, nel Galles, Dylan Thomas abbandona presto gli studi formali per dedicarsi al giornalismo. Solo qualche anno dopo inizia a scrivere poesie. Nel 1943 diventa subito famoso con la prima raccolta dal titolo Diciotto Poesie, dove lo scrittore- poeta riesce a fondere lo stile musicale e romantico con i temi mistici della natura e con quelli psicologici e sessuali.
A Londra, dove si trasferisce viene accolto come una vera e propria “celebrità” e dichiarato dagli amanti della poesia come “un profeta” coraggioso e realista insieme. Il “personaggio” Dylan Thomas è passato alla storia letteraria come la figura del ribelle romantico, sebbene i suoi scritti fossero, talvolta, criticati aspramente. Fra i pregi maggiori del poeta, si ricorda la reintroduzione della recitazione tradizionale delle poesie attraverso la lettura orale dei componimenti nei caffè e nei cabarets. La realizzazione dei vari tour inizia in America. Egli stesso recita le sue liriche durante i readings, la sua voce suadente dal pieno accento gallese, ricca di espressioni e cadenze musicali, rendeva incisivo ogni verso, conferendogli una accentuata nota di teatralità .
Per Thomas il potere della natura costituisce l’unico aggancio fra passato e futuro, l’uomo era parte integrante di questo processo come un rito perpetuo e naturale, le sensazioni umane come speranza, paura, desideri sessuali convergono sempre alle forme e alle coerenze attraverso l’identificazione con madre natura. La sua personale tecnica poetica non seguiva le regole tradizionali,cambiava la punteggiatura, inventava espressioni del genere : “un dolore fa” o “ mare succhiato” che scioccavano il lettore ma nel contempo riuscivano ad affascinare e ad essere trascinanti.
Stilisticamente Dylan Thomas risente molto dalle tradizioni poetiche gallesi del 1600, avvalendosi di queste che usò per la creazione dei versi, altro motivo di proclamazione a “genio originale.” Il suono espresso dalle parole era parte integrante della sua poetica, era solito usare le tecniche dell’allitterazione e dell’anafora in modo sorprendente. L’abilità stilistica lo porta a creare significati linguistici fuori da ogni schema usuale e tipico di quel tempo. L’immaginazione per Thomas fu di estrema importanza, usava mischiare immagini di natura biblica, con quelle di origine freudiana.
Nel poema “Fern Hill”, nome della fattoria dove la zia di Thomas viveva, il poeta adolescente si sentiva un principe e la sua sfrenata fantasia lo conduceva verso la voglia di libertà e la possibilità invincibile di giocare nei campi e di stare con gli animali. Il contatto diretto con la natura esalta le sue doti di poeta, è solito ripetere suoni e parole ad effetto. Il poeta si cimenta anche nella narrativa, pubblica Ritratto dell’artista come un giovane cane, una raccolta di racconti brevi, pubblicati nel 1940. La vita di Dylan Thomas, termina a soli trentanove anni, vittima dell’abuso di alcolici. Una delle sue poesie più significative e rappresentative del suo stile e della poetica è “Sognai la mia genesi”. Trascrivo qui una famosa dichiarazione di Dylan Thomas sulla propria poesia:
«Spesso lascio che un’immagine “si produca” in me emozionalmente, e quindi applico ad essa quanto posseggo di forza critica e intellettuale – lascio che questa immagine contraddica la prima, già sorta, e che una terza immagine generi dalle altre due insieme una quarta immagine contraddittoria, e lascio quindi che tutte restino in conflitto entro i limiti formali da me imposti… Dall’inevitabile conflitto delle immagini – inevitabile perché appartenente alla natura creativa, ricreativa distruttrice e contraddittoria del centro motivante, cioè del centro della lotta – cerco di pervenire a quella pace momentanea che è una poesia».
(Patrizia Pallotta)
Sognai la mia genesi
Sognai la mia genesi nel sudore del sonno, bucando
Il guscio rotante, potente come il muscolo
D’un motore sul trapano, inoltrandomi
Nella visione e nel trave del nervo.
Da membra fatte a misura del verme sbarazzato
Dalla carne grinzosa, limato
Da tutti i ferri dell’erba,metallo
Di soli nella notte che gli uomini fonde….
(da Poesie nella stanza)
The force that through the green fuse
The force that through the green fuse drives the flower
Drives my green age; that blasts the roots of trees
Is my destroyer
And I am dumb to tell the crooked rose
My youth is bent by the same wintry fever
The force that drives the water through the rocks
Drives my red blood, that dries the mouthing streams
Turn mine to wax
And I am dumb to mouth unto my veins
How the mountains spring the same mouth sucks.
The hand that whirls the water in the pool
Stirs the quicksand; that ropes the blowing wind
Hauls my shroud sail
And I am dumb to tell the hanging man
How of my clay is made the hangman’s lime.
The lips of time leech to the fountain head
Love drips and gathers, but the fallen blood
Shall calm he sores
And I am dumb to tell a weather’s wind
How time has ticked a heaven round the stars.
And I am dumb to tell the lover’s tomb
How at my sheet goes the same crooked worm.
La forza che attraverso il verde càlamo sospinge il fiore
La forza che attraverso il càlamo sospinge il fiore
E’ quella che sospinge la mia verde età;
Quella che spacca le radici agli alberi
E’l la mia distruttrice
E io non ho parole per dire alla rosa incurvata
Che la mia giovinezza è piegata da identica febbre
invernale.
La forza che spinge le acque attraverso le rocce
Spinge il mio rosso sangue;
Quella che le correnti prosciuga alla foce
Le mie trasforma in cera:
E io non ho parole per gridare alle mie venerdì
Che alla sorgente montana la stessa bocca sugge.
La mano che mùlina l’acqua sul fondo dello stagno
Agita sabbie mobili
Quella che allaccia il soffiare del vento
Tende la vela del mio sudario.
E io non ho parole per dire all’impiccato
Che la mia creta è fatta con la calce del carnefice.
Al getto della fonte le labbra del tempo sorseggiano;
L’alore stilla a gocce e si condensa, ma il sangue versato
Addolcirà le piaghe di colei che amo.
E io non ho parole per dire a tutto l’impeto del vento
Come attorno alle stelle il tempo ha scandito un suo cielo.
E sono muto per dire alla tomba di colei che amo
Come lo stesso verme tortuoso si avvia al mio sudario.
Vision and prayer
Who
are you
Who is born
in the next room
So loud to my own
That I can hear the womb
Opening and the dark run
Over the ghost and the dropped son
Behind the wall thin as a wren’s bone?
In the birth bloody room unknown
To the burn and turn of time
And the heart print of man
Bows no baptism
But dark alone
Blessing on
The wild
Child
.
Visione e preghiera
Chi
sei tu
Che vieni generato
Nella stanza accanto
Alla mia così rumoroso
Ch’io posso udire il grembo
Aprirsi e il buio scorrere
Sopra il fantasma e il figlio rovesciato
Oltre il muro sottile come un osso di scricciolo?
Nella stanza sanguinosa di nascita ignoto
Al bruciare ed al volgersi del tempo
E all’impronta del cuore dell’uomo
Nessun battesimo si inchina
Ma oscurità soltanto
Porge benedizione
al selvaggio
bimbo.
This bread I Break
This bread I break was once the oat,
This wine upon a foreign tree
Plunged in its fruit;
man in the day or wind at night
Laid the crops low, broke the grape’s joy.
Once in this wine the summer blood
knocked in the flesh that decked the vine,
Once in this bread
The oat was merry in the wind;
Man broke the sun, pulled the wind down.
This flesh your break, this blood you let
Make desolation in the vein,
Were oat and grape
Born of the sensual root and sap
My wine you drink, my bread you snap.
.
Questo pane che rompo
Questo pane che rompo un tempo fu frumento,
Questo vino su un albero straniero
Nel suo frutto fu immerso;
L’uomo di giorno o il vento nella notte
Gettò a terra le messi, la gioia dell’uva infranse.
Un tempo, in questo vino, il sangue dell’estate
Pulsò nella carne che vestì la vite;
Un tempo, in questo pane
il frumento fu allegro in mezzo al vento;
L’uomo spezzò allora il sole, abbattè allora il vento.
Questa carne che rompete, il sangue a cui lasciate
devastare per le vene, furono
Frumento ed uva, nati
Da radice e da linfa sensuali; voi
Bevete del mio vino, spezzate del mio pane.
.
In my craft or sullen art
In my craft or sullen art
Exercised in the still night
When only the moon rages
And the lovers lie abed
With all their griefs in their arms,
I labour by singing light
Not for ambition or bread
Or the strut and trade of charms
On the ivory stages
But for the common wages
Of their most secret heart.
Not for the proud man apart
From the raging moon I write
On the spindrift pages
Not for the towering dead
With their nightingales and psalms
But for the lovers, their arms
Round the griefs of the ages,
Who pay no praise or wages
Nor heed my craft or art
.
Nel mio mestiere, ovvero arte scontrosa
Nel mio mestiere, ovvero arte scontrosa
Che nella quiete della notte esercito
Quando solo la luna effonde rabbia
E gli amanti si giacciono nel letto
Tenendo fra le braccia ogni dolore,
A una luce che canta mi affatico
E non per ambizione, non per pane,
Né per superbia o traffico di grazie
Su qualche palcoscenico d’avorio,
Ma solo per la paga consueta
Del loro sentimento più segreto.
Non è per il superbo che si apparta
Dalla luna infuriata che io scrivo
Su questa spruzzaglia di pagine,
E non per i defunti che torreggiano
Con i loro usignoli e i loro salmi,
Ma solo per gli amanti che trattengono
Fra le braccia i dolori delle età,
E non offrono lodi né compensi,
Indifferenti al mio mestiere o arte.
La costruzione di una figura, sia essa metafora o metonimia o altra, passa traverso una simpatia tra il poeta e la figura stessa, tale che se efficace può essere “letale amica”* per il poeta stesso, e, se così, si origina quella immagine intricata che, a mio parere, sconvolse un po’ le carte della Poesia di allora. L’immagine è sostanzialmente cromatica, variopinta come il vestito di un Arlecchino in preda a frenesia e delirio bacchici: sono delle toppe quei colori che hanno bisogno del Tempo per fissarsi, cioè per ricucirsi un vestito finale, cioè una poesia, una “pace momentanea”, afferma il Poeta. Quella danza è dunque un “kaos benefico”, che dalla gola tracima visioni, alcools e parole traducendo la lingua su una serie di ragnatele i cui spazi vuoti sono da colmare coi colori in lotta tra di loro come se fossero affetti da una furiosa lotta
per accaparrarsi un posto qualsiasi. E una volta assestatesi le immagini cromatiche sono fisse per sempre… e la poesia può scorrere!
Il Poeta il lo vedo ” goffo deambulando” simpaticamente la sua “mal’anima”,” come se il suo corpo una zavorra di terrori si portasse /dietro ratti, ischemie e pallori rossogonfi” e nel suo vagabondare per strade e vicoli insani del Galles “il suo etilico… precario guazzabuglio!”.
E pareva in mezzo all’oceano delle sue figure più intricate che mai come una “maldestra zattera” e le sue fantasticherie svolazzavano come “farfalle-colombine” – non più variopinto Arlecchino che scambia per furiosi marosi delle sue immagini una tranquilla sessa o un solido albero maestro! Non è così che la sua costruzione immaginativa va avanti, se procede infischiandosi delle rotte è perché in lui è “tutto birrosa spuma… ventre di gonfie vele… ebbrezza malandrina!”.
a. s.
uno di quegli Autori maiuscoli che non stanca mai
scusate > errata corrige;
“come se fossero affetti da furiosa giostra”
Dylan Thomas, nel suo comporre versi, usa le figure retoriche tradizionali per creare una poesia dalla forza espressiva notevole, in cui il suo forte legame con la natura acquista un rilievo particolare, direi quasi pittorico. L’analogia tra l’appassire di una rosa e lo sfiorire della sua giovinezza è ritratta in modo tanto fedele alla vicenda naturale da risultare inesprimibile.
Nella poesia “The force that through the green fuse” tra i vari elementi formali apprezzo l’anafora “I am dumb” ad ogni descrizione di un aspetto della natura che coincide con un suo stato d’animo, una sua percezione spirituale, per esempio:
“The force that through the green fuse drives the flower
Drives my green age; that blasts the roots of trees
Is my destroyer
And I am dumb to tell the crooked rose
My youth is bent by the same wintry fever.”
L’incapacità di esprimere ciò che sente, ciò che vorrebbe dire, è un tema di lunga data nella poesia europea, presente già nello Stil Novo (“e la lingua deven tremando muta”). In Dylan Thomas, in questa composizione, l’ineffabilità di una scena o di un sentimento acquista una particolare forza grazie all’anafora, che rende ancora più efficace la presa di coscienza dello scorrere del tempo che fa appassire i fiori e invecchiare gli esseri viventi, malati tutti della stessa “wintry fever”, “febbre invernale” (splendida metafora). “E io sono muto… ” ripete Dylan Thomas .
Giorgina Busca Gernetti
Purtroppo c’è chi ancora fa girare la storiella che Thomas sia morto per abuso di alcoolici, che oltretutto è infamante. Non è così. Invece fu letteralmente ucciso da un emerito cretino, un noto medico americano di nome Milton Feltenstein, che quando Thomas fu ricoverato nell’ospedale di New York con una gravissima broncopolmonite e problemi respiratori, invece di fare la corretta diagnosi, decretò che si trattasse di delirium tremens!! Come lo curò? Con tre successive iniezioni di morfina, che gli causarono il coma! Da cui non si svegliò e morì quattro giorni dopo. Oltretutto pare che qualche altro medico abbia cercato di mettere in dubbio una simile diagnosi priva di senso e, per tutta risposta, Feltenstein vietò a chiunque di avvicinarsi a Thomas…. Dylan Thomas beveva sì, fumava molto e dormiva poco, ma circa 10 anni fa il caso è stato riaperto ed è emersa la verità. Ne riferì all’epoca The Guardian. Thomas era debilitato dal suo stile di vita, e soffriva di bronchite cronica, il che può spiegare la violenza con cui si instaurò la broncopolmonite, che però aveva già da 24 ore quando fu ammesso in ospedale. L’autopsia rivelò poi che il suo fegato era solo un po’ ingrossato e non c’era segno di cirrosi. Fu dunque letteralmente assassinato da un incapace. Tra l’altro, quando durante la riapertura del caso, i familiari chiesero all’ospedale le cartelle cliniche, l’ospedale nemmeno rispose.
Certo, è un’idea molto più romantica, o più stuzzicante, lasciar credere che Thomas sia morto alcolizzato. Così com’è dura a morire la stessa leggenda costruita sul povero Poe, che essendo intollerante all’alcool lo reggeva malissimo anche dopo due bicchieri. Sui veri motivi della sua morte poco ancora si sa, ma certo non per alcolismo.
La verità, vi prego, sui poeti.
Gentile Francesca,
So benissimo come sono andate le cose, tant’è che nei miei versi c’è ovviamente l’allusione all’etilismo, ma non è detto che questo sia stato causa della sua morte! Se mai i miei riferimenti sono a quel suo stato di ebbrezza (non etilica) di cui si nutrono i Poeti e che gli effetti sono p.e. quel “goffo deambulando” (se permetti lo riscontro in me stesso, consapevole, e me lo dicono alcuni amici, e sono quasi astemio! E altri sono gli effetti di cui sono involontario e dolce “vittima”) quando sono preda della “follia” creatrice; e lo sono in ogni istante della loro giornata e lo sono per tutti i giorni che restano loro di vivere, e per tutti questi giorni vivono non in una specie di trance (sono essi stessi “trance”!). Non posso immaginare un Poeta, che dopo aver composto, ritorna al suo stato normale, come se fosse un impiegato a ore! Così come non posso immaginare un Attore che finita la sua parte, se ne torna a casa contento di aver recitato… bene! Non lo penso un Poeta così, come non pensava dell’arte degli attori il Bene! Dunque Thomas non aveva bisogno di bere per fare Poesia, se mai l’alcool poteva al massimo assecondarlo! Ho letto diverse biografie, già quando ero poco più di un ragazzo, e già allora avevo dei sospetti (così come giustamente scrivi di Poe, ma di poeti più o meno uccisi da mano altrui ce ne sono a decine!); so che hai letto l’ultima di un certo Paul Ferris (che mi è parso serio studioso, anche lui nativo del Galles!). Anche di Mozart si dice ucciso da Salieri, ma non è vero; eppure a Puskin (ucciso da mano altrui egli stesso) piacque la ipotesi “Salieri” e scrisse il celebre “Mozart e Salieri” (da cui ha attinto il regista cinematografico Forman). Se mai nel mio intervento ho messo in luce chiaro-oscura una ipotesi, quella della sua maniera di costruzione e decostruzione tecnica-poetica (se poi mi invierai la Tua e-mail, invierò la poesia che dedicai a Thomas e Ti sarà più chiaro – poi che mi è stato vietato di rispondere in versi [?!] sul blog; e Ti farò dono della mia ultima poesia, di ieri 23 ottobre), e questa operazione l’ho dettata in versi: non è stato facile, ma ci sono riuscito per quel “qualcosa” che accomuna i Poeti ad essere anche gli altri Poeti.
Grazie
Antonio Sagredo
Caro Antonio, io non mi riferivo a quello che hai scritto nel tuo primo commento, ma a quanto riportato nella presentazione della Pallotta. Un esplicito: ” La vita di Dylan Thomas, termina a soli trentanove anni, vittima dell’abuso di alcolici”. Tanto antistorico quanto disinformato.
Che la Poesia sia di per sé un Dèmone che afferra e intossica è cosa che da sempre anche gli antichi hanno capito, e per alcuni poeti questo è anche più vero. Conosci ovviamente quel che scrive Baudelaire all’inizio del suo meravigliosa saggio su Poe:
“Di recente, fu tradotto dinanzi ai nostri tribunali un infelice la cui fronte era illustrata da un raro e singolare tatuaggio: Sfortuna! Egli portava così al di sopra dei suoi occhi l’etichetta della propria vita come un libro porta il suo titolo, e l’interrogatorio provò che quella bizzarra scritta era crudelmente veritiera. Nella storia letteraria ci sono destini analoghi, dannazioni, dannazioni di uomini che portano la parola scalogna scritta in caratteri misteriosi nelle pieghe sinuose della loro fronte. L’Angelo cieco dell’espiazione si è impadronito di loro, e li sferza senza pietà, a edificazione degli altri. Invano la loro vita mette in mostra talenti, virtù, grazia: ad essi la Società riserva uno speciale anatema, e li accusa delle menomazioni che la sua persecuzione ha provocato loro. Cosa mai non fece Hoffmann per disarmare il destino, e cosa non intraprese Balzac per scongiurare la sorte? Esiste dunque una Provvidenza diabolica che prepara la sventura sin dalla culla, che getta in modo premeditato nature spirituali e angeliche in ambienti ostili, come i martiri nei circhi? Ci sono dunque anime consacrate, votate all’altare, condannate a marciare verso la morte e verso la gloria attraverso le loro proprie rovine? L’incubo di Ténèbres assedierà eternamente queste anime elette? Invano si dibattono, invano si conformano al mondo, alle sue previdenze, alle sue astuzie; perfezioneranno la prudenza, tapperanno ogni uscita, imbottiranno le finestre contro i proiettili del caso; ma il Diavolo entrerà dalla serratura; una perfezione sarà il difetto della loro corazza, e una qualità superlativa il germe della loro dannazione.”
O quando descrive, in “Benedizione” nei Fiori del Male, questo essere angelico, maledetto da sua madre e suo padre, reietto, disprezzato, ma che ha al suo fianco un Angelo e che guarda sempre verso il cielo:
<>
Ecco, ci sono poeti che recano sulla fronte tatuata la parola “Sfortuna”, e sono i più puri, i più divini fari abbaglianti di questa povera umanità di ciechi. Anche Thomas era uno di questi. (E sì, anche Carmelo Bene nel suo essere Poeta di teatro) Compreso il marchio d’infamia di una morte da beone. Credo che perpetrare questa enorme bugia, che ha coperto il crimine di un imbecille, sia come uccidere il Poeta due volte.
Ti ringrazio se vorrai mandarmi il tuo testo. Non do qui la mia email, ma la trovi sul mio blog alla voce CONTATTI.
Mancavano le strofe citate da “Benedizione”!
“Sia lode a te, Signore, che dai la sofferenza
come un sublime farmaco delle nostre viltà,
e come la migliore e la più pura essenza,
ai forti preannuncio di sante voluttà!
Io so che un seggio in cielo tu conservi al poeta
fra le felici schiere delle sante Legioni,
e lo inviti alla eterna agape ove s’allietano
i Troni, le Virtù e le Dominazioni.
So che la sofferenza è il blasone più certo,
cui non potranno mordere l’inferno né la terra,
e che per intrecciare il mio mistico serto,
agli evi e agli universi dovrò muovere guerra.”