Invitiamo i lettori interessati ad essere ospitati nel blog ad inviare poesie sul tema: “Poesie su personaggi storici mitici o immaginari”

pittura parietale stile pompeiano
Lidia Are Caverni, nata a Olbia il 3/11/41, ha trascorso infanzia e adolescenza a Livorno, da molti anni risiede a Mestre. E’ insegnante elementare in pensione. Scrive sin da giovanissima. Ha pubblicato quattordici libri di poesia, tra cui “Un inverno e poi…” 1985; “Nautilus” 1990; “Il passo della dea” 1999; “Fabulae linguarum” 2000; “Le montagne di fuoco” 2005 con la prefazione di Giorgio Linguaglossa; ”L’anno del lupo” 2006 con la prefazione di Walter Nesti; “Animali e linguaggi” 2006 con la prefazione di Michele Boato; “Il prezzo dell’abbandono” 2009 con la prefazione di Pietro Civitareale; “Fiore bianco notturno” 2010 con la prefazione di Giuseppe Panella; “Colori d’alba” 2010 con la prefazione di Franco Manescalchi “. Nova itinera” 2014 con la prefazione di Franco Dionesalvi.
Di racconti: “Il giorno di primavera” 1992; “La fucina degli dei” 2000; “Il satiro e la bambina” 2000; “L’albero degli aironi” 2004; “I giorni del breve respiro” 2007 racconti autobiografici. Romanzi per l’infanzia “Clotilde e la bicicletta” 2000; “Il pesce verdino” 2009. Romanzi: “I giorni dell’attesa” col ilmiolibro.kataweb.it di Repubblica. Un breve saggio sul linguaggio nella scuola elementare: “Discorso sul linguaggio”. Ha pubblicato con la Casa Editrice Bruno Mondadori, Passigli, Bonaccorso con distribuzione nazionale, Masso delle Fate, Raffaelli, Edizioni Orizzonti Meridionali, Istituto Italiano di Cultura di Napoli. È stata tradotta in lingua inglese e rumena. Collabora a varie riviste, fra cui Capoverso, Poiesis, Lo scorpione letterario, Atelier, ClanDestino. Ha collaborato con la rivista “I viaggi di Erodoto” della Casa Editrice B. Mondadori. Sue poesie sono apparse sui blog di Antonio Spagnuolo, Fortuna Della Porta, La Recherche, José Pascal, Moltinpoesia.

pittura parietale stile pompeiano
Proserpina
Potrebbe ancora nascere
solitaria ruga dove si leva
il mare
nei cespugliati lentischi
ad abbeverarsi di salsedini
per abbarbicata emergere
dove ruvide labbra
la strappano
nei silenzi di mattini
dorati perduti come l’alba
Se ritornasse potrebbero
fiorire primavere
dimenticate orde remote
di notti nei solitari
sbadigli dei sonni
che tessono mai compiuti
riposi invecchiati volti
dipanano matasse
di lunghe stagioni
e ghirlande per le intrecciate
danze
Il tuo suolo di ovide
aspro nasconde desiderio
di fiori e di aratri
nelle purificate messi
impaziente attendi
che dai visceri scivoli
la bella
a ridonarti sorrisi
Forse languida non sa
più lasciare tepori
di notti
troppo è sazia di baci
prigioniera l’avvolgono
braccia nelle profondità
senza spiragli a rallegrarla
di luci
lento matura il seme
nel suo grembo
di spenta primavera
Della tenera cova
non resta che attesa
vuote le mani sospirano
morbidezza di guance
non sfiorata la terra
grida che si apra
il chiuso pugno di madre
spogliata del frutto
neppure seme spande
sterpi curvi abbrutiscono
labbra dove non più che
amare stoppie divorano
campi senza germogli
A sera tornavano i figli
stanche giovenche nel sonno
curvando l’umidore del viso
al mattino destandosi
nel fulgido bagno
del giorno
intrecciava nastri la madre
per il fiore più bello
finché tutta s’ingrigì la terra
nel mordente gelo
il sole a mascherarsi d’ombra
Acre sposo ruppe
il suo velo di sposa
imenei di tenebra levarono
canti si spensero i risi
dei dolci giochi
i sogni dei connubi
incantati
irsuti abbracci strinsero
tepori di fanciulla
traditi serti di fiori
oscurarono occhi
Corni modulano essenze
nevi ricoprono gli aridi
campi
fauni cercano memorie
di verdi solchi
non destano i suoni
eternità di sonni
mute acque non sanno
infrangere ghiacci
e aspettano i rinnovati
gorgogli
Il sole si colmò di raggi
penetrando la terra
suggellò la promessa
invano Pluto oscurava
le stanze per tradire
l’attesa
bagni di spigo aspettavano
pallide guance finché
tornasse l’aurora a indorare
la pelle
Ampi seni accolsero
tremori
splendenti tornarono
arcobaleni nelle freschezze
di piogge
dilagarono i teneri germogli
belati d’agnella
come la sua gola
ebbra di gioia
negli involucri delle bianche
braccia sospirose di rosa
Spighe bionde potranno
ora adornare capelli
papaveri arrossare labbra
ridenti come pianure
irrorate di chiare acque
frutti gonfiare grembi
nei flebili vagiti
la notte avvolgersi di stelle
custode l’Orsa a indicare vie
nei quieti solchi del mare
dalle pescose reti
dimenticate si perderanno
tristezze.
Segnato dal silenzio
non avresti che poche cose
da dire
dissanguato ti lasciano
parole che dicevano ore
pallori di meriggi
consumati in una tazza
di thé
sole ti restano attese
di presenze che non verranno
Rustiche pareti indicano
ricoveri dove si passa
una notte
aspettando di proseguire
cammini
devastate da lune
che dissipano raggi
incuranti della tua nudità
I nomi che tacciono
perdute stelle
mai possedute
se non per indicarle
con i pallidi telescopi
degli occhi
non le ritrovi
nella notte senza luna
se non per rimpiangerle
Curva sul tuo cappello
si è posata la luna
un po’ di mago
un po’ di bohemien
ne approfitti per tacere
chi sei
preferendo velarti
di mistero
Ora ti sorridono gli occhi
molto hai sognato
di luoghi lontani
assaporate acque di fontane
e di pianti
mescolati sudori e mattini
sosti e stai
di nuovo aspettando di partire
Assetato di follia
non porteresti con te
che le consuete banalità
sono le sole da cui
si può uscire
zavorre che ti faranno
tornare
Assaporate le acque
del sogno
non potrai che dire vado
infinite ti giungono malie
di stelle lontane
che non ritrovi più qui
mascherate di indifferenza
Lo stretto corpetto
rivela l’ombelico del mondo
attorno a cui credi
di ruotare
senza voltarti indietro
Solo un luogo ti è noto
che riscopri nei luoghi
che trovi
e non sei mai partito
punto che lanciato ritorna
boomerang di te stesso.
Il ciclope risvegliato
Scosso dalla cenere
che generava il sonno
(per destarsi non basta
che lieve sbatter di ciglia)
diatermie generate dai silenzi
e dai ghiacci di avvolgenti
simulacri destinati
ad altri pianeti
potresti intorno veder Continua a leggere