da POESIA N. 296 Settembre 2014-09-2004
«Mi piace il suo viso severo e la sua testa di fiorentino del Rinascimento.» (M. Gorkij)
«Oggi mi sento un genio»: così disse Aleksandr Blok, solitamente modesto, terminando il suo poema I dodici, il 29 gennaio 1918.
Aleksandr Blok (San Pietroburgo, 28 novembre 1880 – 7 agosto 1921) il maggiore poeta simbolista russo – era nato a Pietroburgo nel 1880. Esordì con il ciclo Ante lucem (1898-1900), di cui facevano parte poesie pubblicate più tardi nel volume Versi sulla Bellissima Dama (1905). In questi versi Blok, seguendo le dottrine del poeta filosofo Vladimir Solovjov (1853-1900), canta la quintessenza umana della femminilità eterna, invoca la Sposa celeste in un rapimento estatico, saturo di sensualità, di teneri sospiri, di sensazioni ineffabili.
Il fallimento della rivoluzione del 1905, in cui aveva creduto, infrange nel poeta le speranze di un rinnovamento spirituale e politico della società, e a partire dal 1906 la sua voce rivela delusione e amarezza. L’ironia, unita a un sentimento di rivolta e di insofferenza, trova posto nella sua anima ormai libera dall’estasi e dai sogni giovanili.
Nel dramma La baracca dei saltimbanchi, rappresentato a Pietroburgo nel 1906, Blok deride con spietato sarcasmo, in un susseguirsi di immagini grottesche e illusorie, le sue precedenti esperienze mistiche. Nei versi del ciclo Il mondo terribile, la Sposa celeste è ormai una creatura terrena, una prostituta. Pietroburgo è uno squallido aggregato di bettole fumose e sporche, di vecchi straccioni mendicanti, di vagabondi, di relitti alla deriva. Nel dramma La sconosciuta il sacro tempio si trasforma in una casa di tolleranza.
L’amore ideale, nebuloso, ormai svanito, lascia il posto all’amore per la Russia, che Blok vede come entità concreta e divina, come una creatura sofferente. «La Russia resta sempre la stessa: un’entità lirica», scriveva alla madre nel 1909, e aggiungeva: «Qualunque cosa accada, essa resterà sempre la Russia dei miei sogni». Da questo amore, dall’entusiasmo suscitato in lui dagli avvenimenti del 1917 e soprattutto dalle giornate di Ottobre, nacquero due poemi: I dodici e Gli Sciti, entrambi scritti nel 1918.
Blok sentì la «musica» della Rivoluzione, presagì l’ineluttabilità del cataclisma che avrebbe spazzato via tutte le ingiustizie del «mondo terribile», del vecchio mondo. Nei Dodici sono mirabilmente amalgamate le emozioni e i presentimenti dell’imminente lotta sociale. Nei giorni in cui lavorava a questo poema, il poeta incontrò alcuni noti esponenti del Partito comunista e così si espresse con loro: «A voi interessa la politica, il partito, mentre noi poeti cerchiamo l’anima della Rivoluzione. Essa è stupenda, e qui siamo tutti con voi».
A confermare il carattere «sacro» della Rivoluzione appare in chiusura l’immagine di Cristo, quasi in contraddizione con tutto il contenuto del poema. Cristo che avanza davanti alle dodici guardie rosse, simboleggianti gli apostoli, è un puro simbolo poetico che sta ad esprimere la benedizione etico-religiosa della Rivoluzione da parte del poeta. Tutto il poema è in movimento continuo, movimento irrefrenabile che ha un’unica direzione: «Avanti!». La ricchissima gamma di contrasti lessicali, la sequela di immagini come lampi di magnesio, le dissonanze, gli elementi polifonici che si fondono in un’armonia superiore, tutto ciò concorre a creare quel ritmo incalzante, terribile e continuo, che si fa particolarmente solenne nelle strofe finali. In questa creazione il genio musicale e pittorico di Blok raggiunge il vertice. In seguito, svanito l’ardente entusiasmo dei primi mesi della Rivoluzione, oppresso e deluso dall’arido e pedantesco apparato burocratico che lo circondava, avvilito da difficoltà e incomprensioni, il poeta si abbandonò a un cupo pessimismo. Stanco e isolato si spense il 7 agosto del 1921.
(Paolo Statuti)
I DODICI
1
Buia sera.
Neve bianca.
Che vento!
Le gambe piega.
Che bufera –
Sulla terra intera!
Di neve e vento
Un girotondo.
Ghiaccio è il fondo.
Bufera maledetta!
Ogni passante
Scivola – ah, poveretta!
Tra due case
Una fune si tende.
Sulla fune – un cartello:
“Tutto il potere alla Costituente!”
Una vecchia piange – ahimé,
Non capirà mai perché
C’è quel cartello.
Che spreco con quel telo –
Quante pezze per i piedi dei ragazzi,
Spogliati e scalzi…
La vecchia, come una gallina,
Ha saltato un mucchio di neve.
– Oh, Benedetta Madonnina!
– Coi bolscevichi la vita è breve!
Punge il vento!
Gelo maledetto!
Un borghese al crocevia
Ha il naso nel colletto.
E questo chi è? – Lunghi i capelli
Parla a voce bassa:
– Traditori!
– La Russia al Creatore! –
Forse un letterato –
Un oratore…
E là con la zimarra –
In disparte vi tenete…
Passata è l’allegria,
Compagno – prete?
Ricordi com’era?
Sulla pancia sporgente
La croce splendeva
Per la gente…
Là una dama impellicciata
Verso un’altra s’è voltata:
– Ah, quanti pianti, quanti pianti…
Ma è scivolata
E – paff – che sederata!
Ahi, ahi!
Titatemi su!
Vento allegro,
Spietato e contento.
Rivolta i lembi,
Sferza i passanti,
Strappa, sbatte
Un grande cartello:
“Tutto il potere alla Costituente”…
E le parole porta:
…Da noi c’è stata una riunione…
…In questo androne…
…Abbiam discusso –
Abbiam deciso:
Dieci – per un’ora, venticinque – per la notte…
…Di meno – non accettare…
…Andiamo a riposare…
Tarda sera.
La strada s’è svotata.
Un vagabondo
Ha la schiena piegata,
E sibila il vento…
Ehi, pezzente!
Vieni qua –
Baciamoci…
Pane!
Chi va là?
Passa!
Cielo, cielo nero.
Rabbia, triste rabbia
Bolle in petto…
Rabbia nera, rabbia santa…
Compagno, bada!
Attento!
2
Passeggia il vento, vola la bufera.
Va dei dodici la schiera.
Le nere cinghie dei fucili,
Intorno – fuochi, fuochi, fuochi…
Berretto sgualcito, tra i denti – un mozzicone,
Sembran fuggiti dalla prigione!
Libertà, libertà,
E la croce via di qua!
Tra-ta-ta!
Che freddo, compagni, che freddo fa!
– Vanja e Katja sono insieme…
– Nella calza i soldi tiene!
– Ricco Vanja è diventato…
– Era con noi, adesso è soldato!
– Vanja, figlio di puttana, suvvia,
Prova a baciare la mia!
Libertà, libertà,
E la croce via di qua!
Katja con Vanja è occupata –
Ma che fa, che fa?…
Tra-ta-ta!
Intorno – fuochi, fuochi, fuochi…
A tracolla i fucili…
Il passo sia rivoluzione!
Il nemico è pronto all’azione!
Compagno, coraggio, il fucile agguanta!
Spariamo sulla Russia Santa –
Vetusta,
Contadina,
Satolla!
E la croce via di qua!
3
Oh partirono i ragazzi,
Per servir la guardia rossa –
Per servir la guardia rossa –
E finire in una fossa!
E tu, amara sventura,
Vita gentile!
Lacero il cappotto,
Austriaco il fucile!
Per la sorte dei borghesi
Mille fuochi sono accesi,
Fuoco e sangue nel cuore –
Oh, proteggici, Signore!
4
Neve. Grida il vetturino,
Vanja con Katja vicino –
La luce del fanale
Sulle stanghe…
Ah, ah, crepa!…
Nel cappotto militare
Un balordo egli pare,
Torce e alliscia senza sosta
il baffo nero,
E scherza a cuor leggero…
Vanja è così – forte e tenace!
Vanja è così – assai loquace!
La sciocca Katja abbraccia,
E a parlare attacca…
Getta indietro la testolina,
Denti come perline…
Oh, Katja, m’è sempre piaciuta
La tua faccia paffuta…
5
Sul tuo collo, Katja,
Lo sfregio d’un coltello.
Sotto il petto, Katja,
Hai un graffio novello!
Balla un po’, amore mio!
Che gambe, santo Dio!
Biancheria di pizzo portavi –
Portala ancora!
Con gli ufficiali trescavi –
Tresca, tresca anche ora!
Eh, eh, tresca adesso!
Il cuor sobbalza in petto!
L’ufficiale, Katja, rammenti –
Non evitò una coltellata…
L’hai scordato, accidenti?
La memoria s’è offuscata?
Eh, eh, non mentire,
Con te voglio dormire!
Ghette cenere avevi,
Solo dolci raffinati,
Tra i cadetti tu sceglievi –
Ora scegli tra i soldati?
Eh, eh, pecca pure, dai!
Più leggera ti sentirai!
6
Di nuovo passa come furia
Il vetturino: vola, urla, ingiuria…
Fermo! Andrjej, da’ una mano!
Corri dietro a quel marrano!…
Tra-tarara-ta-ta-ta-ta!
Quanta neve s’è levata!…
Scappa Vanja – il bellimbusto…
Alza il cane! Mira giusto!…
Tra-tarara! Or vedrai…
……………………………….
Le donne altrui più non avrai!…
E’ scappato! Aspetta, carogna,
Finirai in una fogna!
E Katja dov’è? – Morta ammazzata!
Ha la testa crivellata!
Katja, sei contenta? – Taci…
Come una bestia giaci!…
Il passo sia rivoluzione!
Il nemico è pronto all’azione!
7
Va dei dodici la schiera,
Con passo deciso.
Il povero assassino
Nasconde il suo viso…
Più veloce, senza fiato
Corre come un ossesso.
Lo scialle sul collo annodato –
Mai più sarà se stesso…
– Oh, compagno, sei afflitto?
– Hai la faccia smarrita!
– Pjetja, sembri un relitto,
Vorresti Katja in vita?
– Oh, compagni, ricordate,
Quella pupa io l’amavo…
Notti buie, ubriache
Con la pupa io passavo…
– Con lo sguardo provocava,
Eran fuochi i suoi occhi,
Sulla spalla che mostrava
C’era un neo coi fiocchi!
Dietro a lei, povero me,
Mi son perso… ahimé, ahimé!
– Cane, vuoi sonare l’organetto,
Pjetja, sei forse una donnetta?
– O forse vuoi sputare
Tutto ciò che hai nel petto?
– Controllati!
– Sta’ dritto!
– Più nessuno ormai, fratello,
I tuoi mali curerà!
Oggi più grave è il fardello
Che ciascuno porterà!
E Pjetja ha rallentato,
Or più non s’affretta…
La testa ha sollevato,
Or di nuovo sembra lieto…
Eh, eh!
Goder non è peccato!
Serrate ben le porte,
Verran saccheggi e morte!
Aprite la botte –
Gli straccioni vanno a frotte!
8
Oh tu, amara sventura!
Noia mesta,
Funesta!
Il tempo
Passerò, passerò…
La testa
Gratterò, gratterò…
I semi
Sguscerò, sguscerò…
Il coltello
Userò, userò!…
Vola, passerotto borghese!
Il sangue voglio bere
Per la mia bella,
Per le ciglia nere…
Pace, Signore, per l’anima della tua schiava…
Noia!
9
Tace la voce della città,
Il gendarme più non cammina,
Tace la torre sulla Nevà –
Non c’è più vino in cantina!
Un borghese sta al bivio,
Cela il naso nel colletto.
Un pelo irsuto lo strofina –
E’ un mite cane reietto.
Come quel cane è affamato,
Tace, non fa domande.
Come quel cane, il vecchio mondo
Ha la coda tra le gambe.
10
E’ scoppiata la tempesta,
Ovunque sconquasso!
Non distingui più una testa
A distanza d’un passo!
Di neve un grande anello,
Di neve un mulinello…
– Gesù mio, che bufera!
– Pjetja, parla seriamente!
Da cosa t’ha salvato
Quel santume dorato?
Svegliati!
Libera la tua mente –
Di sangue sei macchiato,
Katja t’ha rovinato!
– Il passo sia rivoluzione!
Il nemico è pronto all’azione!
Avanti, avanti ancora,
Chi lavora!
11
…E vanno senza nome di santo
Dodici fanti.
Decisi sono a tutto,
Senza rimpianti…
D’acciaio l’armamento
Pel nemico nell’ombra…
I vicoli di pianto
La bufera inonda…
Nel soffice manto –
Lo stivale affonda…
Negli occhi ondeggia
Una bandiera.
S’odon passi
Nella sera.
Si desterà
Il feroce nemico…
La tormenta li inghiotte
Giorno e notte
Senza tregua…
Avanti ancora,
Chi lavora!
12
…Vanno con passo gagliardo…
– Esci dalla tua tana! –
Davanti – un rosso stendardo,
Infuria la tramontana…
Davanti – un cumulo gelato,
– Chi va là? Fuori, carogna!…
E’ solo un cane affamato
Che si gratta la rogna…
– Passa via, cane immondo,
O il mio ferro proverai!
Ti somiglia il vecchio mondo,
Passa via o perirai!
…Mostri i denti per la fame,
La tua coda nascondi,
Solo al mondo, senza pane…
– Chi va là? Ehi, rispondi!
– Chi è che regge lo stendardo?
– Oh, il cielo com’è scuro!
– S’ode un passo codardo,
Si cela dietro un muro.
– Fuggire ora che vale?
Meglio vivo restare!
– Ehi, compagno, finirai male,
Mi costringi a sparare!
Tra-ta-ta! – L’eco soltanto
Dalle case risponde…
La bufera ride intanto
Tra le candide sponde…
Tra-ta-ta!
Tra-ta-ta…
…E vanno con passo gagliardo,
Dietro – un cane affamato,
Davanti – con lo stendardo
Di sangue imbrattato,
Dai proietti risparmiato,
Con passo dolce e lieve
Tra mille perle di neve,
Il capo ornato di cisto –
Chi li guida? – Gesù Cristo.
(Traduzione di Paolo Statuti)
Un dibattito sul nulla ha fatto passare inosservato il grande Aleksandr Blok. Un ringraziamento sentito A Paolo Statuti per l’ottima esposizione e l’opera di divulgazione.
Condivido le parole di Flavio Almerighi e mi pento d’aver perso tempo per nulla, senza ricavare un chiarimento ben preciso a un mio dubbio scaturito dagli interminabili commenti sul nulla. Ma certo non ne valeva la pena.
GBG
Condivido l’opinione di Flavio Almerighi. Ormai siamo talmente abituati a considerare poesia i versi sul phon che funziona male, sull’oblò della lavatrice che non chiude, sul rubinetto del lavabo che perde acqua, sulla doccia con abbondante acqua calda scambiata per lo scrittoio, etc.; dicevo, siamo così abituati a considerare poesia soltanto ciò che risponde ai canoni, non direi neanche più del minimalismo, ma al serbatoio di tutti quei temi che sono patrimonio comune del gergo internazionale che oggi viene scambiato in tutti i paesi dell’Occidente come poesia, che non siamo più in grado di apprezzare un autentico capolavoro della poesia simbolista russa come “I dodici” (splendidamente tradotto da Paolo Statuti), un poema drammatico plurale corale sulla rivoluzione russa. Forse è la mancanza della cognizione del senso storico dell’epoca che stiamo vivendo a favorire questo equivoco. O forse abbiamo perso i parametri di base per leggere la grande poesia del Novecento.
Come slavista sono stato sollecitato a commentare il poema “I Dodici” di A. Blok. Come slavista rispondo che un commento su questo poema richiede decine e decine di pagine, che, in primis, tengono conto delle essenziali pagine critico-poetiche che dedicarono i più grandi slavisti italiani (e non dico qui dei pochi slavisti non italiani dotati di gran talento), da E. Lo Gatto, Renato Poggioli, e per finire a A. M. Ripellino e alla traduzione di Paolo Statuti (credo tra le migliori, e più fedele al testo). Perché dunque nessun commento da parte di poeti-lettori di questo blog? (stesso destino per il poema “Edison” del poeta praghese V. Nezval, da me tradotto tantissimi anni fa). Credo di aver dato una risposta su questo blog riguardo al fatto che il provincialismo critico-poetico ecc. resta una costante negativa del lettore e poeta italiano. Provincialismo vuole anche dire sciovinismo comodo, cieco, oltre che voler ignorare l’apporto sostanziale ed essenziale, di una poesia, quella russa, che più d’ogni altra, europea, ha dato alla Poesia mondiale, dalla fine del secolo ‘800 fino ai primi 30 anni del secolo trascorso! Il gruppo teatrale di Ripellino mise in scena Roma, nel maggio del 1971 due opere teatrali: “ I dodici” (1906) di Blok” e “Dispacci a rotelle” (1928) di Nezval”… opere che segnano una stato di criticità della poesia europea: per restare al primo poema: la caduta di tutto il simbolismo-decadentismo europeo (da quello francese in poi) che fu beffeggiato atrocemente da Blok con il dis-velamento di tutto il ciarpame di simboli che il movimento si portava dietro senza una soluzione (soltanto Oscar Wilde poté affermare senza preamboli nella “Salomé”: non bisogna trovare simboli dappertutto”!). Fu dunque, Blok, l’unico poeta europeo a realizzare questa operazione critica dello svelamento, e a cui fu possibile farlo poi che la rivoluzione russa acuiva – come fatto storico-sociale-politico ecc. – rendeva sensibilissimo il cerebro d’un poeta che tra l’altro partecipò a modo suo accettandola come resurrezione o rinascimento e con a capo la figura di un Cristo socialista! (e non fu il solo poeta che la tratteggiò in questa accezione, pensate al poema di una altro russo, Andrej Belyj con “ Cristo è risorto” – e in seconda istanza Blok con la opera “Catilina: primo bolscevico romano” concluse le sue istanze!). Ma la figura del Cristo visto come capo di una rivoluzione-rinascimento è di antica data nell’umanesimo “slavo” (ma qui il discorso si allarga a dismisura e non è il luogo – il blog! – per dirne!); per restare all’800 russo, già si cominciano a vedere i sintomi con Gogol’, con Dostoevskij esplode letteralmente, si attenua verso la fine del secolo per ricomparire in tantissimi poeti e scrittori di vaglia (dà il suo apporto notevole la filosofia teosofica-misticheggiante-slavofila russa che trova una soluzione nella figura di Pavel Florenskij, il “Leonardo russo”). Ma l’avvento dei poeti cubo-futuristi segna la distruzione e la dsfatta del simbolismo tutto europeo: qui non basta la beffa di Blok, con Majakovskij la figura del Cristo viene fagocitata: lo stesso poeta si assume le sofferenze del Nazzareno, soffrendo più di lui, e come figlio di una nuova epoca si scaglia contro il padre-Dio che non ascolta i propri figli, e allora diviene “un incipiente deuccio”! – e qui mi fermo. E devo dire solo ai lettori di veder-ascoltare la declamazione (il “recitar-cantando” ereditato dal Toscanini) di Carmelo Bene, e si comprenderà meglio (si spera) il significato ultimo e estremo del poema blokiano.
A. S.
Il dibattito su Magrelli non è un dibattito sul nulla.
Blok (spero il correttore automatico non cambi in Block), che dire? Che si può dire se non che è un documento poetico altissimo per la Storia che esso rappresenta, per i simboli, per l’ideale…
Fischia il vento, urla la bufera… cantavo da ragazzino e quel “vento” lo ritrovo qui. Vento originario.
Chiederei a Blok, se fosse possibile, ti sei pentito di quell’affermazione “Oggi mi sento un genio”?
Ottima traduzione di Statuti.
Mi son fatto leggere l’originale in russo.
“Avanti ancora,
Chi lavora!”
Chi lavora?
Ma nonostante l’altissimo indubbio valore… cosa potrei aggiungere?
I Dodici, di Blok. è sicuramente un poema di forte impatto
emotivo, preveggente sulle sorti che segneranno la Grande Madre Russia, significativa in tal senso trovo la voce dell’anziana donna.
Ciò che non apprezzo per niente invece in questa come in altre poesie di altri autori più o meno coevi è l’immagine che si dà della figura femminile, paragonata a donna merce.
A proposito invece del poema Edison e sulle tue perplessità, il mio punto di vista, caro Antonio Sagredo, è che la mancanza di commenti non è indicativa del mancato apprezzamento che i lettori possono avere in merito all’autore proposto. Anzi. Per quanto mi riguarda, mi aveva invece interessato non solo il testo ma anche il legame tra Vítĕzlav Nezval e Breton, a cui fai menzione nella tua nota, al punto che mi ero andata a rivedere il libro sul poeta surrealista dove, in effetti, si parla di un legame importante tra i due. Difatti, nell’aprile 1935, André Breton tenne una mostra surrealista a Praga e in quella circostanza citò Vítĕzlav Nezval nel discorso di apertura della Conferenza (Posizione politica del Surrealismo).
Blok è il poeta russo che più ha esaltato l’Eterno Femminino: cara Di Leo sei fuori strada. Quanto riguarda “Edison” se dovessi scrivere i commenti al poema mi ci vorrebbe almeno un volumetto di 60 pagine. Dietro gli studi di ogni slavista serio vi sono decenni di infaticabile curiosità.e ai lettori si porge un piatto già pronto, ma il cuoco non improvvisa le sue ricette. Riguardo il buon Panetta.. ho esortato i lettori di andarsi a vedere e ascoltare la declamazione di Carmelo Bene (ci cui fui testimone oculare), che a un lettore che non conosce il russo è la migliore lezione. Blok disse di se stesso di essere almeno per quel giorno un “genio” al termine di una faticosa ripresa creativa… lo disse perché aveva compreso infine il senso di una rivoluzione in atto e di averne intuito la “Nemesi” (titolo di un suo poema)… rivoluzione che affermò nel suo taccuino che non era certo che lo fosse davvero!
E se non le dispiace anche io di me stesso ho detto anche più di un giorno la stessa cosa al termine di qualche opera: mi scusi… ma non è presunzione: è consapevolezza di aver in un giorno posseduto la chiave di una Poesia che è anche Storia, e il contrario. cordiali saluti.
Caro Antonio, a proposito di Edison il mio non era un appunto critico, bensì un merito che ti riconoscevo, quello cioè di avermi incuriosita ad approfondire il legame culturale che univa l’autore del poema a Breton.
E chissà che anche per lo stesso poeta surrealista non si possano fornire finalmente delle coordinate meno approssimative (dedicargli un post anche su questo blog) per meglio comprendere il lavoro enorme da lui svolto in ambito culturale (non solo francese), per ricordare che la tele-scrittura degli esordi rappresenta solo una e non l’unica delle sperimentazioni messe in atto nell’ambito della scrittura da lui e dal suo gruppo.
Su Blok. Intanto voglio premettere di essermi persino commossa durante la lettura del poema (l’avevo già letto sul numero di Poesia), proprio per la bellezza e per la forza dirompente che emana nella descrizione degli eventi paralleli alla rivoluzione in atto (e in questo un merito è sicuramente del traduttore, al quale faccio i complimenti).
Ma proprio per questi motivi mi è sembrata una nota stonata la rappresentazione della donna (la traditrice), in quanto a mio parere mal si concilia con l’idea di innovazione che come un fiume in piena sgorga altrove.
Né mi sento fuori strada: esaltare o denigrare, caro Sagredo, sono sempre degli eccessi.
Un caro saluto.
giuseppina
Cara Di Leo, ho ben compreso quel che hai scritto, e quel fuori strada non è un appunto negativo, poi che la Poesia stessa è un fuori strada… la metafora è appunto questo: è un qualcosa che va fuori per ricrearsi ed essere qualcosa altro di diverso e nuovo!
Il buon Panetta – non essendo entranbi specialisti – (lo siete di altro ) deve sapere che il giorno dopo Blok sul taccuino scrisse (sul sentirsi genio) : “ieri mi sono preso in giro”.
I poeti non bisogna prenderli sul serio, intanto sono dei burloni e fingitori, e dei tornei e giostre e specchi s’intendono, non si intendono di verità e di dei e di altra similare fandonia.
Antonio, il senso della mia domanda a Blok era altro, a Nemesi compiuta.
I poeti sono geni, ed io li prendo sul serio sapendo che sono burloni, fingitori e dis-onesti (nel senso di diversa onestà).
Potrei mai permettermi di discutere l’alto valore di Blok?
E’ vero non sono uno specialista, sono un lettore. Infatti, visito spesso il blog di Statuti.
Ti dicevo che mi sono fatto leggere il testo in originale da Maryna, una mia amica, perché a me interessa anche il suono, il canto. Maryna non è Carmelo Bene, ma io mi accontento.
Comprendo benissimo, caro Antonio, e forse forse, chissà, come per una logica dell’assurdo la ‘contraddizione’ della donna messa in scena da Blok potrebbe avere il tono di una studiata provocazione. I poeti quando vogliono, sanno essere imprevedibilmente imprendibili.
Non posso risponderVi in versi:, come è mia natura: mi è stato vietato, comunque è Bene che lo vediate, e ascoltatelo: non doveva essere molto dissimile da come lo recitava Blok agli amici.
mia correzione tardiva al 26 novembre 2017.
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Cari lettori, ho commesso per colpa di una memoria, la mia, sempre più debole, un errore imperdonabile, scrivendo :
“Il gruppo teatrale di Ripellino mise in scena Roma, nel maggio del 1971 :
“ I dodici” (1906) di Blok”.
Questo gruppo mise in scena due dei tre drammi lirici di Blok: il “BALAGANCIK” nel 1971 E ” LA SCONOSCIUTA” nel 1974.-
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scusatemi, Antonio Sagredo