Umberto Simone
La baia delle femmine
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Se non un uomo fossi di creta grossolana,
ma una spiaggia piuttosto di sabbia calda e fina,
l’estate intera avrei su me, gioia sovrana,
donne dischiuse al sole, chi prona chi supina,
e nonostante il grezzo telo di mezzo, come la cortina
importuna di un harem, lo stesso avvertirei quell’aurea grana
di curve, e tratterrei l’orma divina
dei grappoli dell’Eden, o dei gemelli della luna piena.
Ma se da me piombassero malcapitati incauti rozzi maschi,
di colpo diverrei spuntone, scoglio, sprone, scheggia, spina,
e senza pietà alcuna marchierei, se giacessero di schiena,
chiappe angolose e irsute con lividi e con raschi,
e se di pancia – diamine, mi comporterei peggio dei tedeschi
nel Terzo Reich coi libri: uno sfracello, una carneficina
farei, di quei volumi! e si lamenterebbero, i fuggiaschi,
con voci bianche come un coro della cappella Sistina.
La Baia delle Femmine … il gineceo tabù, dove a ciascuna
risorge dal bikini srotolandosi la coda di sirena,
dove il liscio col morbido in modi sempre nuovi si incatena
e la somma qui è bionda, e più in là è rossa, e più in là ancora è bruna,
e ogni ora si dipana piana come un’arcana cantilena …
se solo fossi rena! se solo fossi duna!
e non la goffa sagoma, non questo tizio dall’aria un po’ strana
che con le belle non ha più fortuna.
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La pastora
Flabelli di papiro, pappi di cardo, granulosa ed irta
l’aria, a cunei il respiro, a prismi in fiamme
la luce, e crema blu lo stagno – ma di corsa si tuffarono
i boscaioli, giovani, sei, sette, e tutto diventò all’istante
agape da palestra, festa di guerra, rude paradiso.
Quello che mi scoprì, “ Bella, gridò, tu non lo senti, il caldo?
Sei timida, o non nuoti? Scendi, che t’insegniamo. ” Gli altri risero,
lui sorrideva e basta, e s’accostava già alla riva, uscendo
dall’acqua, come acciaio dalla fornace, a blocchi rutilanti:
la testa, che scrollò spruzzando fino a me, o mi parve, stille
aspre come tizzoni – la gola, con la biscia d’una ciocca
in bifido abbandono – e poi, a lingotti sempre più crudeli,
grondanti e lisce come masse corrusche all’acme d’una rapida,
spalle, e petto! e le braccia! con vene, tese, come gomene! e accecata
fuggii, povera cerva! ma non appena fuori visuale
mi fermai, per udire se venivo braccata, o minacciata, o canzonata, o invece
pregata di restare … Breve lo scatto, eppure ansavo, madida,
con frane come d’alghe o come d’aghi
a dolermi nell’osso – e con la cicatrice quasi d’una
ditata sporca d’oro sulla spugnosa bilancia del cuore.
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Derviscio sovrappeso
Leggeri gli altri ruotano, librandosi a occhi chiusi,
disincarnati quasi dall’estasi e dal ritmo,
con la veste che all’orlo sboccia in cerchi allargati di ninfea,
ma in vita si restringe come il gambo del narciso:
io soltanto, derviscio sovrappeso,
io l’obeso, io il deriso, resto il sudato parallelepipedo,
la libellula quadrupla, la mongolfiera condannata a terra
da un surplus di zavorra.
Eppure a volte ospito un cuore che
ben oltre i miei più floridi diametri si dilata,
tanta dolcezza monta in me che penzolo
come una gocciolona di manna sul creato,
mi sento il vino che rimane fino
persino nella tozza damigiana,
e in me stesso volteggio! – e giro! e giro! come quella chiave
per cui le serrature fatte in serie sono strette.
Antonio Sagredo
Più quadri, per te, Cassandra!
E tu vedrai i miei trionfi sulle Vie dei Canti,
come sulle consolari un tripudio di epitaffi
in cenere fissa il Tempo alla sua rovina
e dìssipa dietro le quinte lo spirito dei gesti.
Non avrai nemmeno un cantuccio per amare l’Arte
perché come un apostolo libertino l’umile potere
hai travisato per un’oncia di invidia bizantina:
il piacere del lutto hai vinto per un ignobile retaggio!
La lettura volgeva al tramonto di uno stile il vaticinio
di una lingua tòrtile, come una colonna asmatica
che dal leggio al calice celebra la sua caduta,
lo stupore di uno scacco e l’applauso di una metafora.
E non potrai mai scrivere un necrologio al mio pensiero:
ti manca la giostra dei numeri e dei sogni, le idiozie
degli arcani che sul Tempio dei Miraggi discutono
del fato, del destino, ma non sanno le destinazioni !
E se dici parola non ti consiglia l’Oracolo una visione
per divinare una sgraziata profezia… e ti disprezza,
e ti racconta frottole e menzogne se non hai valore,
e l’ispirazione credi vera, ma solo per la tua meschinità!
(Vermicino, 11 marzo 2009)
madrigale ve(le)noso
Il capezzale di una donna non amai fittizia alcova o reale
solo l’insana malattia di una melancholia carnale mi sedusse.
Liberai commosso i carnefici esiliati dai rastrelli della mente.
Il castello dei merli fu più di una malattia ascetica: una quinta!
La fuga generò una kermesse di cinque voci e semitoni,
una carezza della nemesi celebra ossessa atti indicibili,
il procardio vomitò esausto il cromo di straziate note:
vola -su –seno-doge … vola-su-seno-doge… vola-su…
Con gli occhi dei liuti ho cantato i carmi di un Orazio esterrefatto,
le mie labbra normanne gonfie come nere vele dal favonio,
pentagrammi di artigli e ombre assolate sul leggio infame.
La mia vita fu santa, sublimata dall’inchiostro, e dai delitti!
Flavio Almerighi
Marco Emilio Lepido
La mente di Marco Emilio, primitiva
efficace, i romani a quel tempo sorridevano
mostrando da sempre denti forti e aguzzi
non silenzi e ombre come i cristiani,
collegare, respingere galli e cartaginesi
prima della partenza dei goti verso sud.
Ogni rotonda scaraventa dintorni
barbari ovunque sembrano te,
solamente un pazzo poteva concepire così
l’ideale fluire di una visione,
vestaglia e pelle d’oca capelli lasciati al caso
addormentata lungo il grigio luna sull’asfalto.
Per questo la Via Emilia è stretta
venne tracciata a fil di spada,
oggi tanta ferrovia le cammina a fianco,
costituiti da almeno venticinque edifici
gli abitati accampano rimpianto e nebbia
per sempre amanti senza braccia.
Umberto Simone è nato nel 1949 a Monfalcone, in provincia di Gorizia, da padre pugliese e madre istriana. Ha trascorso in Puglia infanzia e adolescenza , quindi si è trasferito a Padova, dove si è laureato in medicina . Attualmente vive a Pisa. Ha pubblicato le raccolte: L’isola delle voci (2001, premio “Diego Valeri” 2002) e Il sacco del curdo (Il Ponte del Sale, 2008, premio “Massa città fiabesca” 2010, premio “O. Pelagatti” 2012).
Antonio Sagredo. Dicono che sia nato nel Salento decine di anni fa… a pochi chilometri da Giulio Cesare Vanini (a cui ha dedicato un poema mirabile), da Carmelo Be-ne e Eugenio Barba; il primo lo frequentò con discrezione somma, e gli de-dicò versi immortali. Fu frequentatore assiduo di quei teatri d’avanguardia romani e non, di cui conobbe autori e attori; recitò in due spettacoli teatrali: nei drammi lirici del poeta russo Aleksandr Blok e in uno spettacolo del poe-ta praghese Vitězslav Nezval, che inneggiava ai progressi della scienza della comunicazione. Sagredo studiò e visse a Praga calpestando gli acciottolati insieme ai poeti praghesi e a Keplero. I suoi primi componimenti, a 14 anni, in un vagone di terza classe (seppe tempo dopo che Pasternak e Machado viaggiavano nella stessa classe, componendo); distrusse i primi versi, i secondi e seguirono altre rovine; trovò un impiego di ripiego per nascondersi; poi raggiunse una forma inclassificabile tendente al sublime che gli permette di vivere di eredi-tà auto-postuma. Un amico poeta spagnolo, M. Martinez Forega, lo spinse a pubblicare due piccole raccolte di poesia a Zaragoza: Tortugas (Lola edito-rial, 1992) e Poemas (Lola editorial Zaragoza, 2001); sulle riviste: Malvis (n. 1) e Turia (n. 17). Poi nulla più, fino a che da New York, la scorsa estate, gli giunse una proposta di pubblicazione con Chelsea Editions.
Flavio Almerighi è nato a Faenza il 21 gennaio 1959. Sue le raccolte di poesia “Allegro Improvviso” (Ibiskos 1999), “Vie di Fuga” (Aletti, 2002), “Amori al tempo del Nasdaq” (Aletti 2003), “Coscienze di mulini a vento” (Gabrieli 2007), “durante il dopocristo” (Tempo al Libro 2008), “qui è Lontano” (Tempo al Libro, 2010), “Voce dei miei occhi” (Fermenti, 2011) “Procellaria” (Fermenti, 2013). Alcuni suoi lavori sono stati pubblicati da prestigiose riviste di cultura/letteratura (Foglio Clandestino, Prospektiva, Tratti)