Kamau Brathwaite (1930) da Diritti di passaggio Poesia caraibica in lingua inglese – cura e traduzione di Andrea Gazzoni Roma Edizioni Ensemble 2014 (Parte I Prima traduzione in italiano)

isola dei Caraibi

isola dei Caraibi

isola dei Caraibi

isola dei Caraibi

Nato nel 1930 a Bridgetown, sull’isola di Barbados, Kamau Brathwaite è non solo un poeta di fama internazionale ma anche uno storico, un critico, un editore e un organizzatore culturale che ha segnato mezzo secolo di letteratura caraibica in lingua inglese (della quale è tra i grandi padri fondatori insieme ad autori come Derek Walcott, George Lamming e Wilson Harris) e di cultura postcoloniale. Emigrato in Inghilterra con una borsa di studio per gli studi universitari, si è formato come storico, e ha scritto importanti saggi sulla creolizzazione della cultura caraibica e sulle sue origini africane. Dopo alcuni anni in Ghana, tornato nei Caraibi pubblica tra 1967 e 1969 la trilogia The Arrivants, composta dal poema della diaspora (Rights of Passage), da quello della riscoperta alla radici (Masks) e da quello del ritorno al Nuovo Mondo (Islands). Fonda il Caribbean Artist Movement ed è uno dei fautori di uno scambio culturale sempre più intenso tra i Caraibi anglofoni, francofoni e ispanofoni.

Kamau Brathwaite

Kamau Brathwaite

Come poeta e critico Brathwaite difende le ragioni della voce e dell’oralità, radicate nel nation language, l’inglese parlato e creolizzato dalle genti delle isole. A cavallo tra gli anni ’70 e ’80 scrive la seconda trilogia, Ancestors, con Mother Poem, Sun Poem, X/Self.  Sia in poesia che in prose narrative che in saggi critici Brathwaite trasporta la sua sperimentazione sull’oralità dentro alla materialità della scrittura, sviluppando il suo Sycorax Video Style, che produce testi come partiture visive. Composti in questa modalità all’inizio del nuovo millennio, i due volumi di MR (Magical Realism) sono la più grande sintesi del Brathwaite poeta-pensatore-lettore-critico, nonché uno dei più grandi, innovativi e profondi studi di letteratura comparata che si possano oggi leggere. Verso la fine degli anni ‘80 una serie di drammatici avvenimenti personali e collettivi danno inizio a quello che lo stesso Brathwaite ha chiamato il suo “tempo del sale”, che infine lo vede lasciare l’arcipelago e cominciare l’attività di professore di letteratura comparata alla New York University, dove in anni più recenti comincia un “secondo tempo del sale”. Brathwaite ha chiamato culural lynching, “linciaggio culturale” – memore di una storia antica di violenza – l’isolamento e il sabotaggio che lo hanno colpito fino a fargli lasciare il suo posto a New York, in particolare con la sottrazione di materiali dal suo archivio personale, che in mezzo secolo ha raccolto non solo il percorso di un artista e intellettuale ma le testimonianze scritte, orali, visive e materiali di una cultura, quella caraibica, che non ha musei o luoghi che preservino le tracce del suo passato. Piegato dalle fatiche e dalle frustrazioni, Kamau Brathwaite continua a produrre scritti che sconcertano per la loro radianza emotiva, intellettuale e visionaria.

andrea gazzoni

andrea gazzoni

[Per una più completa introduzione al quel grande continuum che è l’opera di KB, rinvio allo “Speciale Kamau Brathwaite” pubblicato sul n.2 della «Rivista dell’Arte», pp. 150-212, corredato di traduzioni di poesie edite ed inedite:

http://www.aliasnetwork.it/pdf_rivistaArte/pdf_N2_marzo2013/N2_marzo2013.pdf ]

[I seguenti testi sono tratti da Kamau Brathwaite, Diritti di passaggio, cura e traduzione di Andrea Gazzoni, Roma, Edizioni Ensemble, 2014. Dal tessuto continuo del poema si sono estratte alcune sequenze]

Kamau Brathwaite

Kamau Brathwaite

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Preludio

Tamburo pelle frusta
che batte, il sole padrone il suo
filo di lama
che scotta, le tese
superfici delle cose
io canto
io grido
io gemo
io sogno
di questo

Polvere vetro ghiaia
i sassi del deserto:
si spostano le sabbie:
per il mondo
riarso l’acqua cessa
di scorrere.
Marce
le carcasse
della carovana dalle ruote
roventi.
Sfatti i cammelli
nella stessa
loro merda
fanno risorgere far-
falle che
danzano a mezzogiorno
senza speranza
senza speranza
d’un mattino.

Presto
la roccia
la pelle
d’elefante dei massi
trascinati in letti
di fiume ora
secchi, valli
di morte.
Qui la creta
il carbone fresco si attacca
al vetro, crea
tintinnii, lampi di silice,
figli di stelle.
Qui la fresca
rugiada cade
la sera
i corvi chiudono
gli occhi li aprono
sul ceppo
del tronco violato
dal fuoco
guastato dal suo
oro.

Kamau Brathwaite "Diritti di passaggio"

Kamau Brathwaite “Diritti di passaggio”

Innalza ora
i nuovi
villaggi, tu
devi mischiare sputo
con sporco, sterco
a saliva e
sudore: muri
rotondi di fango si ergono
nell’alba domani
città cinte di mura
sorgono
dalla savana e
dal letto di roccia del fiume:
O Kano Bamako
Gao

Ma popolazioni di mosche
sorgono dalle città
del bestiame: succhia
sangue il Try-
Panosoma. Caglia
il latte in
mammelle in
capezzoli in
bocche. Le mosche
mordono e piagano:
compatti con dorsi
d’argento gli sciami che portano
silenzio, l’esile
proboscide del marcio.
Nell’harmattan
rovente

Kamau Brathwaite 4corpi morti si posano
e tremano
ceduti alla coltre
che ricopre e riscalda
contro il calore dell’ultimo
freddo; fino a che a un tratto scoppiate,
le zone nere che ronzano che sono
state silenzio, roteano attraverso la
luce, lasciata a de-
comporsi la carne che hanno coperto
di canali e di buchi come polvere
sotto gocce di pioggia, terra
sotto la pioggia.

Ma non c’è
pioggia che venga
mentre marcisce
la carne, mentre sciamano
mosche. Ma più in là delle
viscere secche del letto
del fiume, guarda!
Gli alberi
sono freschi, laggiù
le foglie sono
verdi, laggiù
brucia il sogno
di una fontana,
giardino di odori,
teneri vicoli.

Così innalza innalza
ancora i nuovi
villaggi: tu
devi mischiare sputo
con sporco, sterco
a saliva e
sudore, per fare
la malta. Intrecci
di foglie per il
tetto e tralci
di vite.
Ma le strutture compatte
si spaccano, il legno
marcisce, anche la morbida
malta rimane mortale,
in trappola nel suo sale,
nelle sue fondamenta instabili d’acqua.
Così concedici, Dio,
che questa casa resista
ai quattro venti
alle stagioni che cambiano
al verme che esplora.

Concedici, Dio,
liberazione sicura da chi ruba
e rapina e da chi sparge congiura
e veleno mentre intinge
nel piatto con noi.
Concedici, anche, fuochi caldi, buone
mogli e figli grati.

Ma il fuoco troppo caldo divampa.
Le fiamme bruciano, seccano, spaccano,
divorano le foglie secche della casa
rovente. Le fiamme ingannano le stagioni,
i vermi, i tradimenti dei nostri vicini,
i nostri catenacci, le nostre sbarre, le nostre preghiere,
i nostri cani, il nostro Dio. La fiamma,
quell’idolo rosso, è il fabbro
del nostro potere: la fiamma dà forma al legno; con le polveri,
al ferro. Allungato il ferro
in spade si stende,
in lance, in punte brunite
che domano le terre selvagge, gli occhi, i nitriti.

La fiamma è il nostro dio, la nostra ultima difesa, il nostro pericolo.

La fiamma brucia il villaggio, lo abbatte.

Grace Nichols 6

 

 

 

 

 

Prelude

Drum skin whip
lash, master sun’s
cutting edge of
heat, taut
surfaces of things
I sing
I shout
I groan
I dream
about

Dust glass grit
the pebbles of the desert:
sands shift:
across the scorched
world water ceases
to flow.
The hot
wheel’d caravan’s
carcases
rot.
Camels wrecked
in their own
shit
resurrect butter-
flies that
dance in the noon
without hope
without hope
of a morning.

Soon
rock
elephant-
hided boulders
dragged in now
dry river
beds, death’s
valleys.
Here clay
cool coal clings
to glass, creates
clinks, silica glitters,
children of stars.
Here cool
dew falls
in the evening
black
birds blink
on the tree
stump ravished
with fire
ruined with its
gold.

Build now
the new
villages, you
must mix spittle
with dirt, dung
to saliva and
sweat: round
mud walls will rise
in the dawn
walled cities
arise
from savanna and
rock river bed:
O Kano Bamako
Gao

But populations of flies
arise from the cattle
towns: blood sucking
Try-
Panosoma. Milk
curdles in
udder in
nipple in
mouth. Flies
nibble and ulcer:
tight silver-
backed swarms bringing
silence, the slender
proboscis of rot.
In the hot
harmattan,

dead bodies settle
and quiver
given up to the blanket
that covers and warms
from the heat of the final
cold; until suddenly burst,
the buzzing black zones that were
silence, swirl through the
sunlight, the left fest-
ering flesh they had covered
runnelled and holed like dust
under raindrops, soil
under rain.

But no
rain comes
while the flesh
rots, while the flies
swarm. But across the
dried out gut of the river-
bed, look!
The trees are
cool, there
leaves are
green, there
burns the dream
of a fountain,
garden of odours,
soft alleyways.

So build build
again the new
villages: you
must mix spittle
with dirt, dung
to saliva and
sweat, making
mortar. Leaf
work for the
roof and vine
tendrils.
But square frames
crack, wood
rots, smooth mortar
too remains mortal,
trapped in its own salt,
its unstable foundations of water.
So grant, God
that this house will stand
the four winds
the seasons’ alterations
the explorations of the worm.

Grant, God,
a clear release from thieves,
from robbers and from those that plot
and poison while they dip
into our dish.
Grant, too, warm fires, good
wives and grateful children.

But the too warm fire flames.
Flames burn, scorch, crack,
consume the dry leaves of the hot
house. Flames trick the seasons,
worms, our neighbours’ treacheries,
our bars, our bolts, our prayers,
our dogs, our God. Flame,
that red idol, is our power’s
founder: flames fashion wood; with powder,
iron. Long iron
runs to swords,
to spears, to burnished points
that stall the wild, the eyes, the whinneyings.

Flame is our god, our last defence, our peril.

Flame burns the village down.

 

Kamau Brathwaite

Kamau Brathwaite

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tom

Così tanti semi
produce il cotone

di così tanti semi
i nostri padri han bisogno.

Crescete, terre
del cotone

andate fino alle terre
lungo il fiume

dove la cassava
cresce veloce

dove la schiena
malata si secca, dove nessuno

sa se è vivo
o se è morto.

Suona
blues del cotone

le rugiade
si seccano al sole

sul verde
sull’erba
sul pascolo

e qualcosa che hai visto
sull’umida erba
sul pascolo fresco

richiama il sogno salato
le onde gialle distese
sulla nostra riva

Annega le urla, riva
dai fresco alle piaghe da frusta,
quel sogno conservalo puro

perché noi che niente abbiamo conquistato
lavoriamo
noi che niente abbiamo innalzato
sogniamo
noi che tutto abbiamo dimenticato
danziamo
e osiamo ricordare

i sentieri che non ricorderemo
di nuovo: Atumpan che parla e i rami del rac-
colto, tutte le tribù degli Ashanti a sognare il sogno
di Tutu, Anokye e il Seggio Dorato, innalzato
in Paradiso per la nostra nazione con il lavoro
del fulmine e dell’ascia lucente: e ora niente

Kamau Brathwaite copertinaniente
niente

così lascia che io canti
niente
ora

lascia che ricordi
niente
ora

lascia che io soffra
niente
per ricordarmi ora

dei miei figli perduti

ma lascia
che sorgano
o uomo
o dio
o alba che sale

lascia che i figli miei
sorgano
nel sentiero
del mattino
in piedi e avanti
per la strada
del mattino
percorrano i campi
nel sole
del mattino,
vedano l’arcobaleno
del Paradiso:
richiamo
del lutto
curvo di Dio.

Ma senza
aiuto i figli miei sono
catturati senza
guida sono
istruiti senza
senso e senza
frutto e
con dolore

o stanca
la fiamma
amari
i fiori schiusi
sbocciati
lungo il sentiero
cieco

E io
il timido Tom
loro padre
loro fabbro
con il piede che è in fallo

dichiaro
la loro vergogna
il loro potere
che manca

ma stanca
o stanca
non c’è crepa
che si apra
nella catena
non c’è fiamma
amara
che marchi
la mia furia.

Così io che non ho creato
niente, solo queste erbacce senza
valore e questi semi senza
intenzione, lavoro;
io che ho innalzato
solo su fango, solo su sabbia,
solo su sale senza fortuna,
sogno;
io che tutto ho dimenticato
muovo le labbra “Padrone, sì
Padrone, sì
Capo, sì
Boss”
e tengo in mano
il cappello

per nascondere
il cuore

sperando che gli occhi dei figli
imparino un giorno

non il verde soltanto
non l’Africa soltanto
non la tenebra soltanto
non la paura
soltanto
ma Cortez
e Drake
Magellano
e quel Ferdinando
il marinaio
che fino a questa terra ha perforato i mari salati.

foto di Nihal Mathur

foto di Nihal Mathur

 

 

 

 

 

 

 

Tom

So many seeds
the cotton breeds

so many seeds
our fathers need.

Grow on, cotton
lands

go on to the bottom
lands

where the quick
cassava grows

where the sick
back dries, where no one knows

if he lives
or dies.

Blow on
cotton blues

sun
dries the dews

on the green
on the grass
on the pasture

and something seen
on the wet grass
the cool pasture

recalls the salt dream
the yellow waves awash
on our shore.

Drown the screams, shore
cool the lashed sore,
keep the dream pure

for we who have achieved nothing
work
who have not built
dream
who have forgotten all

dance
and dare to remember

the paths we shall never remember
again: Atumpan talking and the harvest branches,
all the tribes of Ashanti dreaming the dream
of Tutu, Anokye and the Golden Stool, built
in Heaven for our nation by the work
of lightning and the brilliant adze: and now nothing

nothing
nothing

so let me sing
nothing
now

let me remember
nothing
now

let me suffer
nothing
to remind me now

of my lost children

but let them
rise
O man
O god
O dawning

let my children
rise
in the path
of the morning
up and go forth
on the road
of the morning
run through the fields
in the sun
of the morning,
see the rainbow
of Heaven:
God’s curved
mourning
calling.

But help-
less my children are
caught leader-
less are
taught fool-
ishness and use-
lessness and
sorrow

O weak
the flame
bitter
the flower-
blossoms blown
in the blind
path

And I
timid Tom
father
founder
flounderer

speak
their shame
their lack
of power

but weak
O weak
no crack
in the chain
starts
no bitter
flame
marks
my wrath.

So I who have created
nothing but these worthless
weeds, these need-
less seeds, work;
who have built
but on silt, but on sand,
but on luckless salt,
dream;
who have forgotten all
mouth “Massa, yes
Massa, yes
Boss, yes
Baas”

and hold my hat
in hand

to hide
my heart

hoping my children’s eyes
will learn

not green alone
not Africa alone
not dark alone
not fear
alone
but Cortez
and Drake
Magellan
and that Ferdinand
the sailor
who pierced the salt seas to this land.

10 commenti

Archiviato in antologia di poesia contemporanea

10 risposte a “Kamau Brathwaite (1930) da Diritti di passaggio Poesia caraibica in lingua inglese – cura e traduzione di Andrea Gazzoni Roma Edizioni Ensemble 2014 (Parte I Prima traduzione in italiano)

  1. Così, a caldo, lasciare un commento dopo la lettura di questi due frammenti dell’epos di Brathwaite, mi sembra davvero poco. Ci proverò. Innanzitutto, la ritmica da tamburo con cui le parole sono trattate, il suono percussivo che ricorda i colpi dati sulla pelle del tamburo, e poi le sequenze interne, i ritorni dei ritornelli, le improvvise aperture, le brusche frenate, gli spazi che si intravvedono tra un verso e l’altro, tra una parola e l’altra… e poi il verso breve come è breve il respiro da cui proviene, il verso spezzato ma non il frammento, perché Brathwaite è un poeta che ama gli ampi spazi, le atmosfere, quanto i versi-nervi che sembrano riflettere la luce dei Caraibi (sarebbe interessante leggere nell’originale inglese queste poesie), la versificazione secca, precisa, eppure sfuggente che vuole sorvolare le cose e gli eventi, tornare indietro, dilatarsi, perdersi, ritrovarsi…

  2. Valerio Gaio Pedini

    io noto una visione quasi interamente visiva, con rapidi scossoni d’immagini grezze e d’immagini latinamente più delicate. Interessante è che nella primo frammento ho rivisto molta ritmica accostabile a picasso ed a altri artisti filoafricani. Come evidenzia Giorgio, ricorda i colpi sulla pelle del tamburo: sono versi serrati, che quando sembra che si dileguino, ricominciano a rintronare, per poi chiudersi di colpo.

  3. ho dimenticato una annotazione: si ha l’impressione di trovarci di fronte ad un primitivo che ha imparato la lingua inglese, si avverte il ribollio della rivolta e dell’insofferenza verso la lingua in cui l’autore è costretto a vivere e a respirare. Un caso di primitivismo di grande forza immaginativa.

    • andrea gazzoni

      una chiosa alla tua giustissima osservazione, Giorgio: lo sforzo della generazione postcoloniale caraiibica alla quale appartiene Brathwaite è stato di trovare il proprio inglese – in altre parole: di trovare una via d’uscita dall’inglese ufficiale dei colonizzatori (compreso l’inglese del canone letterario) verso la riscoperta di una storia, un’antropologia, un’esperienza linguistica, vitale e metafisica rimaste nascoste, clandestine come le tradizioni che gli schiavi e i loro discendenti si tramandavano. Tutto il modernismo che sta dietro alla formazione di KB viene piegato in una direzione antica e nuovissima. Nessun minimalismo. Una frase memorabile dal saggio di KB “History of the Voice” del 1984: “The hurricane does not roar in poentameters”. L’uragano non rugge in pentametri. Una poesia alla ricerca del ritmo, dunque.

  4. Certo, condivido in pieno l’affermazione di Andrea Gazzoni riguardo alla poesia di Kamau Brathwaite:
    “Nessun minimalismo. Una frase memorabile dal saggio di KB “History of the Voice” del 1984: “The hurricane does not roar in poentameters”. L’uragano non rugge in pentametri”.

    Negli ultimi tre decenni è invalsa in Italia l’idea che la poesia possa esprimersi con un linguaggio narrativo per narrare vicende del tutto private.

    Zagajevskij afferma che la sua poesia è «cronaca» degli eventi. Appunto, nel concetto di cronaca c’è spazio per la poiesis. In Italia i poeti invece fanno al massimo «cronaca del privato», fanno poesia in modo irriflesso, riducono la «tradizione» ad un campionario di oggetti retorici «privati» da saccheggiare; non si accorgono di indossare un abito manieristico, fanno del manierismo un bell’abito da indossare, si vestono a festa, vogliono ingannare il lettore mostrandogli i dettagli dell’abito, le sue (false) qualità, le sue (false) profondità, le sue (fittizie) quintessenze, le sue (presunte) insostanziali qualità auratiche e spirituali. Ma è kitsch.

    • Valerio Gaio Pedini

      come d’altronde lo è anche parte della poesia americana e francese. E’ un universo poetico Kitsch. Con il minimalismo poetico, già quello americano, si è entrati nei parametri di quell’io, che di intimo ha solo l’io, ma che in sostanza è un brutto anacronismo. Eppure sembra ancora che sia dilagante. Ma il minimalismo, per quanto discutibile, è pure accettabile, anche se fossilizzato nel suo mondo d’eutanasia digitale. Ma se andiamo a prendere “poeti” discutibili che fanno della speranza e della commiserazione (qualità che la poesia non può avere) le loro “qualità” allora che fine ci attende? Oramai vi è una poesia qualunquista e chiunquista: ed era un po’ la previsione terrificante di Baudelaire.

  5. Steven Grieco

    Con la sua poesia Brathwaite ci mostra uno degli aspetti più affascinanti della lingua inglese, quella lingua che nei secoli più ha colonizzato il mondo, ma che felicemente è rimasta vittima del suo stesso sopruso. Prima di andare avanti però non dimentichiamoci che l’inglese è a sua volta frutto di una colonizzazione, cosa che le ha dato un respiro che era già amplissimo al tempo di Shakespeare: una lingua che nel Cinque-Seicento era ancora in formazione, ma che già disponeva di potenzialità espressive impressionanti. Una lingua tutta in evoluzione, protesa a crescere, sempre crescere. Oggi l’inglese viene usato da tutti quegli ex-popoli sottomessi e dai loro poeti; appartiene ormai a loro in tutto e per tutto. Ma perché questo potesse avvenire, e l’inglese divenire la loro lingua in tutti i sensi, i poeti hanno dovuto volta dopo volta “romperla”, infrangerla, spezzarla, adattarla ai propri bisogni, ad esprimere la loro ira, la loro umiliazione, la loro perdita di originarietà per ritrovarne una nuova, identica ma anche per sempre cambiata. Da qui il fascino di un poeta come Brathwaite e di tanti altri poeti, caraibici, africani, indiani e via dicendo. Essi hanno aperto l’inglese a nuove insospettate potenzialità. Una cosa meravigliosa.
    Da notare inoltre che il numero impressionante di vocaboli ed espressioni che i padroni inglesi adottarono dalle lingue dei popoli subalterni, spesso non sono cambiate nella grafia, sono rimaste in qualche modo vergini, e dunque riescono ad evocare, nell’immagine e nella sonorità, la lingua e anche la cultura da cui provengono: e questo è un altro elemento che ha contribuito ad aprire l’inglese alla possibilità di diventare una meta-lingua. Nel bene e nel male, certamente. Perché la prepotenza da carro armato dell’inglese esige dalle altre lingue che esse sappiano inventarsi e re-inventarsi, che sappiano rispondere alla sua sfida di estrema flessibilità ed apertura trovando in se stesse gli strumenti per crescere, evolversi rapidamente (qualche volta anche, ahimè, dovendo tradire se stesse), insomma lasciarsi alle spalle ogni grettezza, ogni provincialità, ma non perdere mai, mai, la propria unicità.
    Questa stessa evoluzione sta succedendo oggi all’italiano, con qualche ritardo rispetto ad altre lingue europee. Sì, delle volte si tratta di un’evoluzione forzata, banalizzante, ma è soprattutto necessario andare avanti senza troppo badare a questo fatto.
    Non soltanto oggi nel mondo globalizzato, ma da sempre, le lingue letterarie si sono evolute non chiudendosi in se stesse, ma aprendosi alle altre. Insomma è importante ripetere che ogni influenza esterna felice su una lingua è quella che l’aiuta attraverso evoluzioni, trasformazioni e anche storture a ritrovare se stessa, a ritrovare la propria anima originaria.
    Non vogliamo che per l’italiano questo processo avvenga solo attraverso i canali consueti, attraverso il commercio e l’internet! Ed è proprio qui che abbiamo bisogno dei poeti. I poeti devono sì difendere la purezza della loro lingua, ma devono anche spalancarla alle suggestioni linguistiche di un mondo più grande.

  6. Pingback: Kamau Brathwaite, medaglia dalla "Poetry Society of America"

  7. Pingback: SEGNALAZIONI- Anna Maria Farabbi segnala…L’Indice | CARTESENSIBILI

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.