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EDISON di Vítĕzslav Nezval (1900-1958) POEMA IN CINQUE CANTI a cura di Antonio Sagredo

Vítezslav NEZVAL , pí. BRETONOVÁ , André BRETON , Paul ELUARD ,Josef SŠÍMA , Adolf HOFFMEISTER

Vítezslav NEZVAL , pí. BRETONOVÁ , André BRETON , Paul ELUARD ,Josef SŠÍMA , Adolf HOFFMEISTER

Il poema in cinque canti Edison del poeta ceco Vítĕzslav Nezval (1900-1958) fu concepito nell’autunno del 1927. Fu pubblicato per la prima volta a Praga nell’estate del 1928. Nel 1930 fu inserito assieme ad altri poemi nel volume Básnĕ noci (Poesie della notte) dedicato, non a caso, alla memoria del poeta moravo Otokar Březina.

      Nezval ha un avvio poetico danzante, giocoso, spumeggiante, rutilante, spensierato, così come i suoi compagni di strada che si riuniscono in un gruppo denominato Devĕtsil (farfaraccio, chè una pianta con foglie grigiastre e pelose e fiori piccoli di color rosa o bianco).

      Il Devĕtsil esalta la poesia proletaria, poiché l’eco della rivoluzione russa ridesta nuove forze creatrici che percorrono tutte le generazioni europee. Perciò il Devĕtsil attinge a mani spiegate dalle avanguardie artistiche straniere il culto della tecnica e della elettricità, della macchina e del movimento, e pure dagli sperimentalismi pittorici (cubismo) e da quelli poetico-linguistici (parzialmente dal futurismo italiano con Martinetti nel 1921 e molto dal futurismo russo tramite Roman Jakobson a   Praga nel 1920).

   Si esalta questo gruppo di poeti per il cinematografo muto, per  il western americano e il circo (come i russi), e per i nuovi toni musicali e architettonici e infine per la scultura tutta fondata sul moto continuo della forma. Ma è che tutte le arti sono esaltate.  Il Devĕtsil è formato dunque da poeti, pittori, scrittori, registi, saggisti, caricaturisti, critici d’arte e letterari, architetti, ecc.

Vitezslav Nezval con Soupault 1928

Vitezslav Nezval con Soupault 1928

  La poesia ceca contemporanea nasce dalla poesia Zone di Apollinaire (che fu a Praga nel 1902) tradotta da Karel Čapek:. La pittura, invece, tramite il gruppo Osma – che si rifaceva a Munch – si accosta a Picasso e Braque con i pittori  Filla, Kubišta e Zrzavý. Nezval, dunque, visse questa iniziale fase ottimistica e ardimentosa – e pure vitalistica perché protesa verso il sociale – che indifferentemente riuniva maestri come Rimbaud (colore-parola) e Jarry (le stramberie circensi) e gli esperimenti del dada.

      Questi entusiasmi trovarono le atmosfere adatte nei caffè praghesi, specie allo Slavie, dove infatti nacque il Poetismo, nel 1924, che mise fine all’epoca del Devĕtsil, il quale s’era dimostrato fin troppo “programmatico, pesante gioco, qualcosa come una pratica ascetica e una grave regola che escludeva dalla  gioia della vita i suoi mali assortiti adepti” (F. X. Šalda). E allora i poeti e gli artisti cominciarono a “trascurare la tematica sociale e l’elemento didascalico e concentrarono la loro attenzione sulla forma e sul puro gioco delle metafore” (A. M. Ripellino).

   Questo nuovo orientamento era straordinariamente confacente allo spirito di Nezval, e perciò ecco scaturire dal suo canto le irrefrenabili e rutilanti metafore, i giochi acrobatici tra parole, associazioni da vertigine e analogie impensabili; in tutto questo circo delle parole la pantomima nezvaliana è felicemente pazza, non si decanta, è perennemente in moto; e poi, ancora, come cascate di fuochi d’artificio l’uso ossessionante delle anafore (che già Březina  usava) che stordiscono il lettore e lo conducono in paesi lontani, esotici, in una sorta di piani sovrapposti, musicali e colorati; e come in una scatola magica: visioni inesprimibili e indicibili.

       Furono questi poetisti “cavalieri dell’immagine” che vollero vivere la vita come era effettivamente nei loro sogni immagnifici, e non vollero subirla affatto; e tutto ciò che era stato vitale nel Devĕtsil fu ripreso, non per dire e affermare con parole teoriche e vuote, ma per vivere concretamente con atti, con gesti, con reali viaggi (il poeta Biebl, p.e., si recò a Giava).

Vitezlav Nezval al Louvre

Vitezslav Nezval

Nei versi di Nezval  c’è tutto questo amore, passione per il corpo in giro per il mondo, come l’elettricità che collega, comunica con l’America, con Parigi, con l’Africa… così nel suo teatrale  Depeše na kolečdkách (Dispacci a rotelle), che una compagnia teatrale universitaria (gli Skomorochi) mise in scena nel 1971, a Roma,  al teatro Abaco – diretta dal Ripellino.

   Ma, al contrario di quanto pensava il teorico del gruppo Karel Teige, questi avventurosi spostamenti, mascheramenti, questi indiavolati viaggi – vere e proprie metafore geografiche (stupende quelle di Majakovskij), assillanti peregrinazioni reali o immaginarie – nascondono una certa angoscia, angustia, timore, perdita della quiete… e il poeta Halas detta: muffa, putrefazione, ossa, atmosfere meste, dolorose, insanguinate.

      A tre anni, dunque, dalla nascita del Poetismo, il poema Edison “poesia d’incubi”(?) , costringe  Nezval ad accostarsi alla prigione lunare – romantica/byroniana – di Karel Hynek Mácha, al canto cosmico di Otokar Březina, alle ballate indicibili e paurose di Karel Jaromír Erben.  È che Nezval ha bevuto troppo alla coppa dell’ebrezza, ma la sua metafora non perde vigore, efficacia, invece assume una più pesante corposità: è martellante come prima, ma non è più spumante, e diviene un  gravido e denso vino rossastro, che in controluce genera fluttuanti colori non più vivaci, e quindi: il viola, il marrone, il verdastro, il bianco spettrale e lattescente, un grigiastro mercurio: è il nuovo immaginoso congegno del poeta che stavolta smaschera, incide, deforma la realtà. La  sua visione è adesso la fuga, un non ritorno.

      L’Edison  è tutto questo: una  macchina senza moto, elettricità che è trucco e non più gioia: fa male comunicare: troppe tragedie in atto; e allora non più la felicità universale, ma il vacuum cosmico. La pantomima di Nezval s’incrina e s’avvia ad incontrare la poesia funebre e metafisica boema di secoli prima, ma che proprio dal 1927 (anno dell’Edison) al 1945 celebrerà di nuovo, come una volta, ancora i suoi fasti.

      L’Edison è una stralunata, beffarda ombra, suicida e assassina allo stesso tempo… è simile al reale fittizio, che senza requie vela e disvela, del poeta russo Alexander Blok! – La città di Praga è una “baccante di neve” che si specchia vanamente nel suo fiume, nero, la Vltava, poiché non si riconosce se non come ubriaca prostituta, vomito variopinto di luci riflesse, viandante insensato che fissa una stella… inebetito… impiccato che oscillando vuole cantare versi, ma strozzati!

        Praga-America-Praga… e il viaggio è compiuto – se viaggio c’è stato – finito in un bicchiere d’alcool sui banchi umidi dei bar, sulle stelle avvelenate, sulla neve non più candida… e sotto i ponti di un fiume oramai torbido e desideroso di nuovi suicidi.   Il caleidoscopio coloratissimo delle forme barocche – ma come viste da una vetrata gotica – dell’Edison  è macchiato dai sogni impossibili di chi è destinato a divenire l’ombra di una pantomima che si strazia e si tortura.

(pubblicato nella rivista “L’Ozio” 3, gennaio-aprile 1987, traduzione di Antonio Sagredo) -(D.P.A.)

vitezlav nezval cartolina

vitezslav nezval

1° Canto

Le nostre vite sono tristi come il pianto
Una volta, verso sera, usciva da una bisca un giocatore
nevicava, fuori, sopra gli ostensori dei bar
l’aria era umida poiché si avvicinava la primavera
ma la notte sussultava come una prateria
sotto le granate dell’artiglieria delle stelle
le ascoltavano sugli umidi tavoli
ubriachi curvi su bicchieri d’alcool
donne seminude con penne di pavone
malinconici come i tramonti

Ma c’era qualcosa di opprimente che straziava
tristezza lamento e angoscia della vita e della morte.

Ritornavo a casa passando per il ponte delle Legioni
cantando in segreto un motivetto
ubriaco di luci notturne delle barche sulla Vltava
il duomo di Hradčany sonava le dodici esatte
mezzanotte di morte la stella del mio orizzonte
in questa umida notte di fine febbraio

Ma c’era qualcosa di opprimente che straziava
tristezza lamento e angoscia della vita e della morte.

Chinandomi dal ponte io vidi un’ombra
l’ombra del suicida che cadeva negli abissi
ma c’era qualcosa di opprimente che piangeva
era l’ombra e la tristezza di un giocatore d’azzardo
gli dissi signore per carità chi è lei
con una voce triste mi rispose nessun giocatore
ma c’era qualcosa di triste che taceva
ed era un’ombra che sporgeva come una forca
un’ombra che cadeva dal ponte gridai ah, no!
voi non siete un giocatore! no, voi siete un suicida
Andavamo tenendoci per mano, salvi
andavamo mano nella mano trasognati
fuori città, verso la periferia di Košiře
ci salutavano da lontano ventagli notturni
danzavano gli alcools sui chioschi della tristezza
andavamo mano nella mano insieme taciturni

ma c’era qualcosa di opprimente che straziava
tristezza lamento e angoscia della vita e della morte.

Aprii la porta e accesi il gas
portai a dormire la mia ombra della strada
dissi signore per noi due questo è sufficiente
ma non era più l’ombra del mio giocatore
era soltanto un fantasma o una illusione?
me ne stavo solo nel mio solito cantuccio

ma c’era qualcosa di opprimente che straziava
tristezza lamento e angoscia della vita e della morte.

Mi sedetti dietro un tavolo sopra un cumulo di libri
dalla finestra osserva come cade la neve
osserva i fiocchi come s’intrecciano in ghirlande
con la loro chimerica nostalgia
ubriaco di ombre inafferrabili
ubriaco di luci affondate nelle ombre
ubriaco di donne che inseguono sogni e serpenti
ubriaco di donne che seppelliscono la loro giovinezza
ubriaco di avventurose crudeli belle donne
ubriaco di voluttà e di schiume insanguinate
ubriaco di tutta la crudeltà che istiga e tortura
ubriaco di raccapricci e di lutti della vita e della morte

Mi dissi dimentica già le ombre
sfogliando giornali vecchi di una settimana
scorsi il grande ritratto di Edison
che affogava nel fetore della nera stampa
c’era accanto la sua più nuova invenzione
sedeva nel talare come un sacerdote medievale
ma c’era qualcosa di bello che straziava
coraggio e gioia della vita e della morte

Vitĕzslav Nezval

Vitĕzslav Nezval

2° Canto

Le nostre vite spiccano come carcasse.
Una volta, verso sera, tornava un rapido
fra il Canada e il Michigan
attraverso gole di montagna di cui non so il nome
camminava lungo i corridoi un piccolo fattorino
col berretto calcato sugli occhi
ma c’era qualcosa di bello che straziava
coraggio e gioia della vita e della morte

Suo padre era sarto calzolaio e spaccalegna
mercante di grano aveva una capanna una soffitta una cantina
ed un eterno girovagare che tanto ci seduce
morì di malinconia per la sua terra e di giovanile tristezza

Papà tu sapevi cos’è l’eterno struggimento
oggi di te non c’è che cenere stella o lampo
papà, tu sapevi che dovunque ci sono dei villani
fra i santi e i tagliaboschi
tu hai conosciuto i vagabondaggi e la fame
vorrei morire come te anche giovane e insolente
ma c’era qualcosa di opprimente che straziava
tristezza lamento e angoscia della vita e della morte

Io non so dove e se hai una tomba
è rimasto del tuo sangue soltanto un orfanello
guarda già in Canada sillaba i tuoi libri
guarda già si rallegra di andare a vedere le corse
guarda già legge le biografie famose
l’enciclopedia e le antiche epopee
guarda è già adolescente guarda come il tempo passa presto
guarda non gioca più: legge libri di chimica

Anch’io spesso da bambino sono stato un eroe
anch’io leggevo i libri di Darwin
anch’io giocavo più seriamente degli altri
con l’acido solforico nel piccolo laboratorio scolastico
col catalizzatore e l’ammoniaca con la bobina rumkorf
ma perché volevo essere anch’io un suonatore d’arpa
ma perché amavo anche l’organetto
ma perché giocavo anche alle favole
che mi è rimasto qualcosa di opprimente che straziava
tristezza e lamento della vita e della morte

Tommaso tu non eri un homme de métier
tu hai letto “l’analisi della malinconia”
anche tu hai conosciuto il dolore la tristezza il lamento e l’amore
nei libri, a Detroit, fra migliaia di volumi
anche tu hai sognato di viaggi per mare
nel tuo primitivo laboratorio
che hai agganciato alle carrozze di un treno merci
in cui hai arricciato le ali di uccelli di carta
GRAND TRUNK HERALD! VELKÝ VESTNÍK in carrozza!
Componi! Stampa! Guerra! Scontri! Erosione!
Gridi appena uscito! Comprate! Nuove notizie!
Incendio in Canada e Piccolo corriere di Giava

ma c’era qualcosa di bello che straziava
coraggio e gioia della vita e della morte.

Una volta ti sei gettato d’un tratto sotto le ruote
neppure un’anima viva tutt’intorno
ma già trascini il fanciullo tra i repulsori
hai salvato la sua vita e ricevi i miei ringraziamenti

Eccoti al lavoro nel calzaturificio
le macchine schizzano fuoco come vesuvi
su ogni scarpa quanto hai sospirato
so che hai ereditato l’inquietudine di tuo padre vagabondo

Giri come un facchino da un cortile all’altro,
una volta te ne sei andato deluso da New York
errando in questa metropoli americana
eri deciso a gettarti su qualsiasi cosa
forse allora giocavi a carte forse bevevi anche
forse là hai lasciato il meglio delle tue forze

ma c’era in questo qualcosa di bello che straziava
coraggio e gioia della vita e della morte

Vitĕzslav Nezval

Vitĕzslav Nezval

3° Canto

Le nostre vite sono come circoli viziosi
una volta se ne andava per New York un avventuriero
era un pomeriggio col sole tiepido di maggio
un passante si fermò in silenzio su Broadway
davanti al palazzo West Union Telefraph
dove fischiava come su un quadro di distribuzione
era questo uno strillone e un grande inventore

Mille inventori hanno fatto crack
le stelle non deviarono dalle eterne traiettorie
guardate come vivono serenamente migliaia di uomini
no questo non è lavoro neppure energia
questa è un’avventura come sul mare
a chiudersi in un laboratorio
guardate come vivono serenamente migliaia di uomini
no questo non è lavoro questa è alchimia

Piccola domenica ah quanti rintocchi di campane
centralina senti i campanelli telefonici
i vostri orecchi ascoltano gli amanti
i defraudatori che discorrono di cambiali
i banditi californiani e i notturni assassini
i discorsi telefonici della Grande Praga

Il mondo gioca col vostro timpano
siete divenuto zampillo elettrico
fotomotori di uccelli meccanici
se ne vanno verso le stelle da dove vi ritornano
come dall’uccellatore all’angolo della periferia
annunciando la vostra gloria dai cartelli,
sonnecchiate cinque ore al giorno questo vi basta
in questo somigliate al giocatore d’azzardo

Ogni volta vivere di nuovo e avere una mania
una volta avete scorto in Pennsylvania
la notte e la lampada ad arco da Baker
avete provato la tristezza così come me ieri
sull’ultima pagina del mio romanzo
come un acrobata che attraversò la corda
come una madre che partorì il bambino
come il pescatore che tirò la rete gonfia
come l’amante dopo la dolce voluttà
come l’incedere dei cavalieri dopo la battaglia
come la campagna nell’ultimo giorno della vendemmia
come la stella che si spegne all’alba
come l’uomo che in un attimo perse la sua ombra
come Dio che ha creato la rosa, la notte e il giusquiamo
come Dio che desidera creare le nuove parole
come Dio che deve creare sempre di nuovo
impastando col suo respiro nuovi calici
fa precipitare la nuvola gonfia d’acqua sui campi arati
ma c’era in questo qualcosa che straziava
coraggio e gioia della vita e della morte.
Una sera ai primi di ottobre di quell’anno
misuraste sconfortato il vostro grave passo
lungo il laboratorio del celebre Menlo-Park
fra i regali e la sua corrispondenza
fantasticando girando i pollici per abitudine
avete mescolato a caso i fili di carbonio
l’uccello delle nostri notti con cui a lungo vegliamo
la frusta dei fantasmi delle ombre con cui li cacciamo
i luminosi chirotteri delle passeggiate fantastiche
l’angelo sopra gli stemmi dei cantoni e dei portoni
la rosa dei ristoranti dei caffè e dei bar
le fontane sul viale nell’oscurità della notte
i rosari sopra i ponti dei fiumi delle metropoli
aureola di prostitute di strada
le corone sopra le ciminiere dei piroscafi
lagrime che stillano dalle altezze sopra i piani
sopra il catafalco delle città che le reprime
sopra gli edifici dei templi vecchie mummie
sopra i caffè dove vi sono anime scipite nel fumo
sopra gli specchietti dei vini, sopra il loro eterno inverno
sopra il catafalco della città di languide esalazioni
sopra la mia anima una chitarra scordata
su cui come un accattone delle luci dei sogni e dell’amore
suono e piango cambiando le maschere
con la passione del trovatore io principe e re vagabondo
di una città lussuriosa la famosa Balmoral
dalla sua celebre porta entro sempre nel sogno
attraverso il nero cordone dei miei sudditi e dei carcerati
dei principi delle stragi e delle isteriche carmagnole
delle fiacchere della pazzia e di ruote rabescate
di sadiche passioni per cui suonano le campane
di chimere volanti dai letti sopra i balconi
ubriaco di crudeli avventurose belle donne
ubriaco di voluttà e di schiume insanguinate
ubriaco di tutta la crudeltà che istiga e tortura
ubriaco di raccapricci e di lutti della vita e della morte

Vítězslav Nezval cop

4° Canto

Le nostre vite sono senza ritorno
agonizziamo nei rottami delle illuminazioni
come l’effimera e come i fulmini dei tuoni
già si librano le luci tra le foglie degli alberi
già freme nella neve il filo elettrico
già si avvicina il tempo delle passeggiate luminose
già cercheranno le anime sotto i raggi rontgen
come gli ittiosauri sotto il neogene
già si avvicina all’alba la lancetta d’oro
già siamo testimoni della cinematografia
già per noi schiacceranno gli interruttori
le spettrali ombre del giocatore d’azzardo
già risuonano i gridi e gli applausi
già Edison s’inchina ai suoi ospiti

Già è di nuovo triste l’anima dopo la festa
già siete nello studio e non ci sono più ospiti
quanti inventori hanno fatto crack
le stelle non deviarono dalle eterne traiettorie
guardate come migliaia di persone vivono serenamente
no, questo non è lavoro né energia
questa è un’avventura come sul mare
a chiudersi in un laboratorio
guardate come vivono serenamente migliaia di uomini
no questo non è lavoro questa è poesia

Questa è una intenzione e un po’ il caso
diventare il presidente del proprio popolo
diventare il poeta che superò tutti voi
diventare l’allodola che ruba il seme duracino
essere sempre un fortunato giocatore alla roulette
essere lo scopritore del settimo pianeta.

Migliaia di mele caddero sul naso del globo
e soltanto Newton ha saputo approfittare del suo bernoccolo
migliaia di uomini hanno avuto l’epilessia
e soltanto san Paolo vide i sacramenti
un migliaio di sordi vaga senza nome
e soltanto in uno di loro trovammo Beethoven
migliaia di pazzi già si trascinano verso l’oltremare
e soltanto Nerone seppe incendiare Roma
migliaia di invenzioni ci arrivano in un anno
soltanto in una di loro c’era già quella di Edison

Già di nuovo non dormire già di nuovo non avere certezze
già di nuovo bruciare tutto ciò che arriva alle mani
carbonizzare la iuta il pelo scimmiesco il bastone
le secche foglie delle palme le corde sulla viola
già di nuovo vagare nella propria incredulità
sopra il bambù del ventaglio giapponese
ahimè signore ahimè è questo un ventaglio d’amore
una volta ne avete ricevuto uno da una maschera sconosciuta
quando da giovane con lei vi incontraste al ballo
chi era ah signore rammentatevi
vi congedaste col suo profumo sul ventaglio
ah già di nuovo bruciare tutto ahimè già si contorce
forse era una delle vostre parche –
già di nuovo caricare la sveglia per la notte
già di nuovo con l’alambicco già di nuovo essere Colombo
già di nuovo organizzare la caccia fra i bambù
girare il mondo in lungo e largo
alla ricerca del magico legno del suo ventaglio
come un uomo che cercava quattro capelli d’oro
come un palombaro le perle fra le ombre delle alghe
come Cristo fra le tenebre della via Appia
come un cercatore della felicità tra le nebbie dell’oppio
come l’ebreo errante alla ricerca di una casa
come una madre che vaga dietro il cimitero
aspettando la voce dei bambini dell’oltretomba
come il lebbroso della sua malattia
come l’eremita assetato che cerca Iddio
come gli dei la propria morte quando hanno sete di epoche
come il poeta cieco il suo vero volto
come il viandante lo sguardo sull’aurora boreale
come il pazzo durante l’ultimo giorno del giudizio
come un bambino l’allodola impastando la zolla

Se ne sono andati in Brasile
in Giappone terra di belle magnolie
all’Avana a morire di malaria
come muoiono i missionari
signore avevate di certo un sorriso sul volto
la morte in agguato sotto il bambù
già si presentano per voi dodici sostituti
già si preparano i loro zaini
Mac Gowan trascorse là quasi due anni
si diresse verso il grande Rio delle Amazzoni
le sue acque non hanno né principio né fine
lottò per la vita spesso avventurosamente
sulle rapide di acque mortali
si batté al coltello con avidi cercatori d’oro
arrivando a New York sparì senza lasciare tracce

Come amarvi strade senza meta
voi notti tropicali ubriache di sole
voi luce delle luci voi notti del dolore
voi luci annegate in fondo al mare
voi che morivate così allegramente
divenite voi ora angeli di bambù
io vi ricordo ma chi ancora piange
già di nuovo produrre nuovi interruttori
già di nuovo immergersi in fondo agli alambicchi
già di nuovo avviare una nuova elica
guardate invecchiamo e il tempo passa così veloce
già di nuovo cercare gli elementi per la nuova alchimia
guardate invecchiamo e voi avete ottanta anni
guardate i vessilli come ai raduni dei sokol
le vostre pallide mani come un bianco gesso
no ah questo non è ancora un funerale

ancora vedersi sempre davanti la propria ombra
ancora scomporre gli elementi con gli acidi
ancora di nuovo in brandelli la pelle delle mani
ancora trovare un congegno per le strade verso l’oltretomba
ancora cantare e non avere mai pace
ancora l’ago magnetico per lo spirito umano
ancora dimenticare tutto ciò che strazia
tristezza e angoscia della vita e della morte

Vítězslav Nezval

Vítězslav Nezval

V Canto

Le nostre vite sono consolanti come il riso
Una volta di notte sedendo su un cumulo di libri
ho visto d’un tratto affogare nel fetore della nera stampa
la neve e un grande ritratto di Edison
fu dopo la mezzanotte d’un febbraio avanzato
che mi sorpresi a parlare con me stesso
come se mi fossi ubriacato con un forte vino
discorrevo con la mia ombra assente

Come risonava il refrain sempre qui con lo stesso tono
in punta di piedi m’avvicinai sino alla soglia del balcone
un mare di luci davanti a me palpitava in lontananza
sotto di esso gli uomini già dormivano nei loro letti
ma la notte sussultava come la prateria
sotto le granate dell’artiglieria delle stelle
ascoltavo in silenzio il rintocco delle torri
mirando da lontano le onde sui moli
ombre di suicidi per cui non c’è salvezza
ombre di vecchie puttane di strada
ombre di auto che hanno travolto ombre che camminano
ombre di miserabili che vagano senza tetto
ombre di gobbi ai crocicchi delle strade
ombre gonfiate di rosse ulcere sifilitiche
ombre di uccisi che vagheranno per sempre
intorno alle ombre della coscienza e alle ombre del delitto
ombre camuffate in divise militari
ombre di ubriachi sconvolti dall’amore
ombre di santi che diventarono poeti
ombre di coloro che invano hanno sempre amato
lamentose ombre di meteore di donne perdute
esili ombre di adultere principesse.

ma c’era qualcosa di bello che straziava
l’oblio sul lamento della vita e della morte.

Siate bella siate triste buona notte
più radiosa delle meteore e del loro potere
che un giorno abbiamo conosciuto nelle chiare notti canicolari
riflettori privi delle ombre come fruste
che ci fustigavano sino a una vertigine bruciante
arrivederci segnali che sulle rotaie
mi invitate alle lontananze come rose soffocanti
arrivederci stelle baci della mia anima
che mi aprite i bagni nei giardini
oscuri balsami e odore di garofani
viaggi sulle ali luminose degli aerei
arrivederci crudeli delizie di tanti Edison
sorgenti di pozzi petroliferi voi gloriosi razzi
nobili delle terra senza etichetta
arrivederci stelle che cadete dai bastioni
arrivederci ombre in lontananza sui lungofiumi
ombre del tempo per cui non c’è alcun rimedio
dolci ombre ombre di sogni e di ricordi
ombre azzurre del cielo negli occhi di una bella donna
ombre delle ombre delle stelle negli specchi di acque spumeggianti
ombre di sentimenti sinora senza nome
ombre fugaci come notturni echi
ombre pallide dal colorito opalescente
ombre di respiri di bambini non nati
ombre di madri che pregano per i loro figli
ombre di chimere lungo le città straniere
ombre di voluttà che turbano il sonno delle vedove
ombre di chimere e desiderio della propria casa
Siate bella siate crudele buon giorno
più bella delle meteore delle lagrime e dei giuramenti femminili
amore con cui siamo stati sulle vette delle montagne
raccogliendo i nidi delle stelle e le meteore
arrivederci più belle dei sogni e delle fate
già di nuovo caricare l’orologio per la notte
amico guarda quanti vivono serenamente
no questo non è lavoro questa è poesia

Già di nuovo cogliere nei sogni pallidi gigli
già di nuovo andare al café Slavia
già di nuovo sorbire il nero caffè quotidiano
già di nuovo avere nostalgia e piegare la testa
già di nuovo non dormire, non avere certezze
già di nuovo bruciare tutto ciò che arriva alle mani
già di nuovo udire i suoni di un pianto rattenuto
già di nuovo possedere l’ombra di un giocatore d’azzardo

Le nostre vite sono come la notte e il giorno
arrivederci stelle uccelli bocche delle donne
arrivederci morte sotto il biancospino in fiore
arrivederci addio arrivederci addio
arrivederci buona notte e buon giorno
buona notte
dolce sogno
Edison di Nezval: a. II, n. 3, gennaio-aprile 1987

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