
antonio sagredo teatro abaco1971 skomorochi con A.M. Ripellino
Antonio Sagredo. Dicono che sia nato nel Salento nella prima metà del novecento… a pochi chilometri da Giulio Cesare Vanini (a cui ha dedicato un poema), da Carmelo Bene e Eugenio Barba; il primo lo frequentò con discrezione somma, e gli dedicò versi immortali. Fu frequentatore assiduo di quei teatri d’avanguardia romani e non, di cui conobbe autori e attori; recitò in due spettacoli teatrali: nei drammi lirici del poeta russo Aleksandr Blok e in uno spettacolo del poe-ta praghese Vitězslav Nezval, che inneggiava ai progressi della scienza della comunicazione. Sagredo studiò e visse a Praga calpestando gli acciottolati insieme ai poeti praghesi e a Keplero. I suoi primi componimenti, a 14 anni, in un vagone di terza classe (seppe tempo dopo che Pasternak e Machado viaggiavano nella stessa classe, componendo); distrusse i primi versi, i secondi e seguirono altre rovine; trovò un impiego di ripiego per nascondersi; poi raggiunse una forma inclassificabile tendente al sublime che gli permette di vivere di eredi-tà auto-postuma. Un amico poeta spagnolo, M. Martinez Forega, lo spinse a pubblicare due piccole raccolte di poesia a Zaragoza: Tortugas (Lola edito-rial, 1992) e Poemas (Lola editorial Zaragoza, 2001); sulle riviste: Malvis (n. 1) e Turia (n. 17). Poi nulla più, fino a che da New York, la scorsa estate, gli giunse una proposta di pubblicazione con Chelsea Editions.
Oriana
Se l’ignoranza è vita, che sarà
dell’ignoranza rinnovata dalla vita?
(parafrasi da V. Holan)
Questi putridi anni…
Non è un venerdì
viola – di passione nemmeno l’ombra –
non è un rauco presagio
un tremore di ghiaccio
uno sgomento marcito
uno stupore d’obitorio
è una liturgia questa tecnica lirica
una dissipazione…
Oh, Dio, perché non esisti davvero,
“ti amerei di più” – come disse un poeta –
ti accetterei anche incestuoso
coi tuoi parenti vicini e lontani,
ma il fatto è che tu esisti davvero
e questa è la nostra tragedia!
Ma la tragedia è una farsa cucita coi nostri sogni pelosi
e non è ancora la Notte delle ceneri
una notte greca di vigilia
una notte di dettagli e di litanie
non è la notte del salmista
che recita:
Mi aspettava sulla torre più alta
sull’ultima torre dai merletti sinistri
mentre il falco rosicchiava l’orecchio destro
l’artiglio beccava le froge e l’occhio basedowico,
ma la vita non ama la risurrezione a richiesta
quando il suicida gioca d’anticipo sulla risposta
e avverte le gazzelle che il salto è più esteso dell’essere!
Cosa ne è del corpo quando finisce il sogno?
Il nodo è: se diligenza o freccia rossa…
va a finire come la favola… scorsoio o gordiano?
ma è più veloce e gradito lo zoccolo duro del suono!
Il necrologio non ama gli addii,
gli sventolii dei nastri funebri
o i lamenti mestruali delle puttane
quando il cavatappi giudaico si muta in rasoio.
È quel prima e quel dopo,
quel tic-tac metafisico
che sconcerta la carezza scimmiesca… e la domanda:
c’è un qualcosa o un qualcuno con cui giocare
a nascondino con l’immortalità
o discutere sui tarocchi con l’eternità?
Ma non è così…
E così cadono i frutti dell’essere,
come Luciferi!
La Natura c’era prima che uscisse dal cilindro
umano di Dio.
O era un coniglio?
Non certo una colomba,
e se bianca l’azzardo è una farsa.
Ma i corvi, allora?
– A Dio manca l’anima – disse il Poeta-
non vede se stesso, ha paura…

teatro Politecnico 1974, Antonio Sagredo
Lo specchio s’incurva prima del Tempo!
I frutti distruggono il giardino, delizie…
Pure è incarnato l’albero, e il patibolo
geme come una banderuola di sughero su tumuli e cipressi! Continua a leggere