Galappa Losa [grappa rosa, la notte al bar cinese]
(bsa)
Limpido il bancone mandarino,
saracinesche mai del tutto abbassate
nonostante la legge l’imponga. Giambellino
offre vaste gamme di osterie di nuova
generazione. Disperati arabi mai educati al bere
vomitano lame contro lo sguardo che li coglie.
Tranquilli i sudati sudaca con fiato di fuoco
chiacchierano sul caro Caribe. Pochi
gl’italiani superstiti, vivi forse, sicuro
poco vegeti. Agitati dalla calce che le nari
farcisce. La chiaman droga, poco pura azzera
i neuroni, ma non è buona.
Tintinna ininterrotto lo stillicidio colorato del videopoker che ritma la vita
dell’omino del sol levante.
Un meltin’pot della devastazione, nuova
la forma, sempre uguale la sostanza, da Bukowski in poi,
dei bar delle periferie babilonesi.
Leonardo Catagnoli
L’OSTERIA
Cumuli di grida
sussurri e fiati sfiorano
dimenticati ed essiccati
gli antichi buchi
del legno notturno
evaporano i padri
mentre inciampa nel buio
l’afa alcolica dell’infinito
un vociare di donna
gronda sudicia libertà
il godimento s’estenua
in attimi di nulla
le urla arrugginite
donano alle fatiche
l’insensatezza dello spirito.
Mattia Macchiavelli
OSTERIA COLOMBINA
Non v’è riparo per i raminghi del nord
sono folle volo le sinapsi di Atena
eterni gli appetiti su esauste rovine,
Wotan ha bruciato anche i corvi
smarriti i sillogismi nel buio selvatico
nessuno conosce la parola degli universi
sono tutti muti i pellegrini di Earthsea;
è oasi di sangue e sperma l’Osteria Colombina
porte di marzapane per lo sparuto avventore
la mia bisaccia culla nebbie di princisbecco,
regna la Venere dai sette difetti
un sorriso mirandolino in trenta denari d’argento
del fumo non sa che farsene,
nel malchiuso portone indovino il panettiere
autotrofe le certezze del braccio bianco
pingue e atroce il verbo dell’assenza:
la Luisona ha natura altamente metafisica;
un’orgia festosa nella sala dirimpetto
ebbra è la Luna che esilia Saturno
siamo tutti figli del serpente
m’offre Dioniso un cantaro d’edera:
– fatti bere dagli occhi della maschera
tuo è il tacco della Menade
sogno di cocaina la libido del satiro
mordi con me il pomo di Eris- ;
Ugo siede solo al bancone di cipresso
l’Ultima Dea tarda a tornare
mi bisbigliano profezie immortali le sue urne:
è canto dell’upupa l’abisso di memoria
sottrazione primordiale la lezione della mandorla
misura alchemica il segreto del papavero;
ho scelto la pillola rossa
splende un sole senza ritorno al di là dello specchio
Ananke culla il fuso con mani di caos e latte
nelle epifanie di Dublino sono la nuova Locandiera:
sa di vergine il gusto del Lete
Mariano Menna
OSTERIA
Brindiamo alla gente di questa osteria
che vi entra per caso e mai più va via,
che rifiuta illusioni e vana speranza,
che disdegna prestigio e fatua eleganza.
Brindiamo agli ubriachi tornati lucidi
perché, più di prima, saranno trucidi;
perché giureranno di smetter di bere,
per poi tornare a innalzare il bicchiere.
Brindiamo ai politici che sono corrotti,
ai falsi ribelli e ai loro finti complotti;
ai preti bigotti e ai maniaci brutali
che troppo spesso hanno abiti uguali.
Brindiamo alla crisi che regna perpetua,
alle tasse infinite che non danno tregua,
a chi si lamenta ed è pieno di soldi,
a chi non si veste nemmeno coi saldi…
Brindiamo a chi ancora sa credere in Dio,
a chi, alla sua fede , ha già detto addio;
a chi ama un altro del suo stesso sesso,
vuole sposarlo, ma non gli è permesso.
Brindiamo alle donne uccise per gioco,
perché debbano pianger ancora per poco;
all’eterno razzismo e ad un paese diviso,
a chi è stato abortito e non l’ha deciso.
Brindiamo alla morte sempre in agguato,
brindiamo alla notte e al tempo andato,
urliamo al silenzio che risveglia i pensieri:
non c’è più passato, solo vino e bicchieri.
Brindiamo al brindare che ci rende felici,
che ci unisce tutti, amici e nemici.
Brindiamo a chi legge le nostre parole:
potrà venirle a cantar quando vuole!
Valerio Gaio Pedini
TOSSICA OSTERIA
M’impermei di sconfitte radicali,
disarcionandomi da ciò che vale,
f-attualmente niente di cui si può parlare
niente di ciò che esiste
nella terra delle terrazze meningitiche moral-mortali:
una sconfitta di suoni obesi
e di pensieri anoressici:
non si può andare avanti, se non sai cosa significhi “indietro”:
vai solo indietro, ti picconi, e poi ti fermi, liquidandoti in una società da poco:
in una diarrea primordiale
che di avveniristico ha solo il funerale.
Mi si torcono le budella, lo sfintere, il colon ed i coglioni
Soffrendo l’ammontare dei coglioni che mi fa male:
è un’eutanasia:
una lobotomia frontale, dove il fatto è una cacosissima denigratoria apatia emozionale:
è la mediazione dei calabroni che ti pungono di fiele
seppellendoti in inferno,
perché tu lo vuoi.
Io non so far altro che recitar questa disposizione dispotica
Di una terra caotica
Che sarcasticamente mi stimola
Uno svisceramento potente:
una scoreggia
che spero soffochi qualcuno,
al più presto.
Che spero soffochi me così che il buon senso dei finti buoni non trafigga la disposizione astrale dei miei coglioni,
che si sa sono polvere di stelle:
un’esplosione.
Buhm!
Morte!
Fine del divertimento,
del dipartimento,
della nazionale,
della nazione,
della latrina,
dell’obesità,
dell’anoressia,
del mio mal di stomaco,
dell’ansia spasmodica,
del lirismo apocalittico,
del sadismo e del crepuscolarismo,
del neo-capitalismo e del populismo,
del postmoderno e del classicismo:
fine di tutto:
fine di niente:
fine di me!
Ivan Pozzoni
ALL’OSTERIA DELL’AMORE SOLIDO
Piccolo amore mio, solido, tu, oggi, cadevi
e io non c’ero, a sostenerti, coi miei bicipiti aggressivi
di barbaro delle foreste del Nord, la faccia dipinta di azzurro,
distesi nello spasmodico berserksgangr del bere dal cranio dei vinti,
inizia tutto con un tremolio, il battere dei denti e una sensazione di freddo,
rabbia immensa e desiderio di assalire il nemico.
Piccolo amore mio, fragile, tu, oggi, cadevi,
e c’è un’osteria dietro casa nostra, tutta brianzola, il tuo nuovo mondo,
c’è un’osteria che serve cento e cento tipi di risotti
da spalmare sulle tue ferite e sulle tue ginocchia sbucciate,
dove io, uomo tassativo, riesco ancora ad interpretare ogni oscurità ambrata
nei tuoi occhi da bimba saggia, a manipolare il caleidoscopio delle tue iridi,
scoprendo, volontariamente, il fianco alla daga della tua artica lucidità.
Se non è un’osteria, il nostro amore, ci assomiglia: mangiamo e viviamo,
retribuendoci, a vicenda, vittorie e sconfitte, hôtellerie, viavaiamo e mangiamo,
finché l’oste Godan, il dio dei «poeti» ostinati, sbattendo un boccale di idromele sul tavolo
non ci inviti a danzare al Walhalla, Mocambo a contrario, danzare lontani, alla fine dei mondi,
tu tornerai alla freschezza semplice del tuo mare, ondivaga Sirena caetana di sabbia,
e a me non graverà sullo zinco la terra umida di nebbia della valle senza salite o discese.
Nelle antiche osterie dell’amore solido continuano a mescere nebbia e acqua-di-mare,
fuori temporaleggia, fulmini e tuoni, liquefatto dal nubifragio tutto si stinge,
e noi, mangiamo e viviamo, viavaiamo e mangiamo, al riparo, nella nostra riserva di felicità,
consapevoli che, restando sospesi nell’aria, a lungo andare,
i cristalli di ghiaccio brumosi confluiranno nel mare.
La fine della «modernità» è marcata dalla crisi della nozione tradizionale di comunità. Tardomodernità, nella rilettura socio-filosofica di Z. Bauman, è vittoria assoluta, nello scontro secolare tra libertà e sicurezza [Z. Bauman, Ponowoczesność. Jako źródlo cierpień, (trad.it.) Il disagio della postmodernità, Milano, Mondadori, 2002, XI], del valore della libertà, incarnata dal trionfo di meccanismi di costante riduzione dello Stato sociale e massimizzazione delle richieste alle modeste energie dell’individuo («[…] gli uomini postmoderni hanno perso una dose della loro sicurezza in cambio dell’aumento della probabilità o della speranza di felicità. Il tipico disagio della modernità derivava dal fatto di dover pagare la sicurezza restringendo la sfera della libertà personale, e quindi dal non poter impostare la vita sulla ricerca della felicità.
Il disagio della postmodernità deriva invece da una ricerca del piacere talmente disinibita che è impossibile conciliarla con quel minimo di sicurezza che l’individuo libero tenderebbe a richiedere […]» [ivi, cit., XII]); contro teoriche dichiarazioni di «morte dell’io», il corso della storia si è orientato verso una eccessiva celebrazione dell’energia individuale, destinata a sostituire doveri assistenziali e ufficio inclusivo della comunità: «[…] l’avvento della società liquido-moderna ha segnato la fine delle utopie incentrate sulla società e, più in generale, il tramonto dell’idea di società buona. Se mai la vita liquida possa ispirare un interesse per la riforma della società, tale riforma postulata mirerà soprattutto a spingere ancor più la società ad abbandonare, una dopo l’altra, tutte le rivendicazioni di un valore proprio che non sia quello di una forza di polizia che vigili sulla sicurezza degli io che si autoriformano […]» [Z. Bauman, Liquid life, (trad.it.) Vita liquida, Roma-Bari, Laterza, 2008, XX].
L’avventura della polis, intesa come evoluzione di un modello statale indirizzato ad incrementare coesione interna e chiusura esterna, sul limitare del XX secolo ha subito un’allarmante inversione di rotta nel mondo occidentale, essendo stata messa in discussione, nel tardomoderno, la funzione stessa di città: «Nan Ellin […] sottolinea come la protezione del pericolo sia stata “uno dei principali incentivi alla costruzione delle città […]”. Le mura, i fossati o gli steccati segnavano il confine tra noi e loro, tra l’ordine e la natura selvaggia, tra la pace e la guerra: i nemici erano coloro che si trovavano fuori […] Oggi le nostre città, con un singolare capovolgimento del proprio ruolo storico e contro le intenzioni e le aspettative originarie, si stanno rapidamente trasformando da riparo contro i pericoli in principale fonte di pericolo […]» [ivi, cit., 75]; l’inclusività, tratto naturale della nozione occidentale di comunità, è sostituita da un orizzonte di esclusione in cui si dibattono disorientati individui in cerca di sicurezza e di un momento di sollievo dall’ansia («Un aspetto fatale della trasformazione è stato rivelato in tempi relativamente precoci e da allora è stato accuratamente documentato: il passaggio di un modello di comunità inclusiva, ispirato allo Stato sociale, a uno Stato esclusivo, ispirato alla giustizia penale o al controllo della criminalità» [Z. Bauman, Wasted lives. Modernity and its outcasts (trad.it.) Vite di scarto, Roma-Bari, Laterza, 2007, 84/85]).
Sulle tracce della nozione di esclusività Bauman arriva ad assimilare nozione di «comunità minima» (stato minimo nozickiano) del tardomoderno e modello del reality show («Ciò che i reality ci aiutano a scoprire è che le nostre istituzioni politiche, su cui avevamo imparato a fare affidamento quando eravamo nei guai, e che ci era stato insegnato a considerare garanti della nostra sicurezza, formano – come ha osservato John Dunn- un congegno al servizio dell’“ordine dell’egoismo”, e che il principio fondamentale su cui è costruito tale ordine è la “scommessa sui più forti e sui più ricchi […]”» [Z. Bauman, Liquid fear (trad.it.) Paura liquida, Roma-Bari, Laterza, 2009, 26]), coniando l’immagine teoretica di «comunità guardaroba» («Tali comunità offrono in pratica una tregua temporanea dalle agonie delle quotidiane lotte solitarie, dalla stressante condizione degli individui de iure persuasi o obbligati a risolvere da soli i propri problemi. Le comunità esplosive sono eventi che rompono la monotonia della solitudine quotidiana, e come tutti gli eventi ricreativi fanno defluire la pressione accumulata e consentono ai festaioli di sopportare meglio la routine […] uno degli effetti prodotti dalle comunità guardaroba/carnevalesche è quello di impedire il condensarsi di comunità reali che esse mimano e promettono (ingannevolmente) di replicare o di creare dal nulla.
Esse disperdono l’inutilizzata energia degli impulsi socializzanti […]» [Z. Bauman, Liquid modernity (trad.it.) Modernità liquida, Roma-Bari, Laterza, 2008, 237/238]), idonea a sostituire uffici e funzioni della nozione tradizionale di comunità. Nel tardomoderno le c.d. «comunità guardaroba», basate su istanze di spettacolarizzazione assoluta e ree di «impedire il condensarsi di comunità reali», hanno rubato la scena sociale a modelli di comunità tradizionali, influenzando anche i «non-luoghi» riservati alla cultura: «La sensazione è che il canone a partire dagli anni cinquanta, avendo smarrito quasi ogni contatto con le linee-guida offerte dalla tradizione, entri in crisi o, più esattamente, si dirami in modo rizomatico, cioè non gerarchizzato, non strutturato, in una miriade di micro-canoni poco comunicanti fra loro e incapaci di durare nel tempo» [P. Giovannetti, Modi della poesia italiana contemporanea, Roma, Carocci, 2005, 151]; e il ruolo stesso dell’artista: «Il poeta, in altri termini, più esattamente l’istanza enunciativa che fonda la poesia, sente di parlare entro, e da, una condizione priva di legittimazioni forti, anzi sempre più incline a trascolorare verso il non-senso, verso lo smarrimento di ogni tipo di coordinata» [ivi, cit., 149].
Messa al bando la nozione tradizionale di comunità dal concetto di «comunità guardaroba», non cessano, nei centri «marginali» di resistenza e sovversione, i tentativi di costruire nuovi modelli di comunità, ricavati dall’intersezione tra etica ed arte: «L’attività dell’artista postmoderno consiste in un eroico sforzo di dare voce all’ineffabile, di rendere tangibile l’invisibile, ma anche nel dimostrare indirettamente che non esistono una sola forma e una sola voce, e nell’invitare a prendere parte a un interminabile processo di creazione di senso» [Z. Bauman, Ponowoczesność. Jako źródlo cierpień, (trad.it.) Il disagio della postmodernità, cit., 116]. Se, a detta di A. Cortellessa, «sarà solo a partire dal pluralismo dialogico dei linguaggi (declinati al plurale, vissuti pluralmente) che si rivelerà ancora possibile […] un’ipotesi di poesia» [A. Cortellessa, Per una parola liminare. Alcune direzioni di operatività nell’ultimo quarto di secolo, in A.Cortellessa – F.Ermini – G.Ferri (a cura di), Verso l’inizio. Percorsi della ricerca poetica oltre il Novecento (1945-1995), Milano, Mondadori, 2004, 282], e, con F. Curi «Immerso nella propria vita psichica e nella propria immaginazione linguistica, e partecipe al tempo stesso della langue e dell’esistenza degli altri, egli [il poeta] produce un idioletto poetico che è sempre anche un socioletto, dà forma a una poesia alle cui radici sta una dialettica di identità e di alterità» [F. Curi, La poesia italiana nel Novecento, Roma-Bari, Laterza, 2001], vivendo in simbiosi con l’universo morale, il mondo dell’arte sarà centro di irradiazione d’una weltanschauung democratica.
Contro la morte dell’etica tradizionale («Se la burocrazia dell’era solido-moderna adiaforizzava attivamente gli effetti densi di significato morale delle azioni umane, la tecnologia emancipata dei nostri tempi liquido-moderni ottiene effetti analoghi attraverso una sorta di tranquillizzazione etica. Essa offre evidenti vie di fuga per gli impulsi morali e soluzioni di pronto intervento per i dilemmi etici, sollevando al tempo stesso i soggetti dalla responsabilità degli uni e degli altri, trasferendola ad artefatti tecnici, e, a lungo andare, dequalificando moralmente i soggetti stessi e mettendo a tacere la loro coscienza morale, rendendoli insensibili all’effetto completo delle sfide morali e complessivamente disarmandoli sul piano morale quando si trovano a dover fare scelte che richiedano una certa dose di negazione e di sacrificio di sé») [Z. Bauman, Liquid fear (trad.it.) Paura liquida, cit., 112], una nuova etica; contro l’eccesso d’una cultura industriale e di massa («Se l’emancipazione, obiettivo ultimo della critica sociale, punta a “sviluppare individui autonomi e indipendenti, capaci di giudicare e decidere consapevolmente per proprio conto”, essa si oppone alla gigantesca industria culturale, ma anche alla spinta della moltitudine che quell’industria promette di gratificare, e più o meno illusoriamente gratifica, nelle sue aspirazioni») [ivi, cit., 214: tale citazione è riferita ai Critical models di T.W. Adorno], una nuova arte. Fuse in una innovativa estetica normativa, simile all’estetica normativa del Barocco [N. Gardini, Storia della poesia occidentale, Milano, Mondadori, 67 e E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Torino, Einaudi, 2000, II, 196] e intesa come mezzo massimo di auto-determinazione individuale e di dialegesthai comunitario («Potrebbe sembrare un luogo comune, e si potrebbe facilmente controbattere affermando che una collaborazione tra artista e pubblico, tra pubblico e opera d’arte è necessaria sempre.
Ma l’ipotesi di lavoro dei nuovi artisti implica […] che l’opera d’arte sia soltanto in parte la definitiva creazione dell’artista, ed abbia invece bisogno d’essere completata e definita attraverso il processo fruitivo e ricreativo») [G. Dorfles, Ultime tendenze nell’arte oggi, Milano, Feltrinelli, 2009, 86], nuova etica e nuova arte collaborano a contrastare i valori nomadi delle élites dominanti: «La nostra è un’epoca ricca di impulsi artistici […] Il fatto che codesti impulsi non sempre siano coordinati, e non siano regolati da un principio unitario non deve far specie: la nostra società è condizionata da una situazione del tutto particolare, dovuta, da un lato, all’avvento della macchina ed alla situazione consumistica che da questa discende; dall’altro, alla velocità dell’informazione, pure questa originata dalla meccanizzazione dei mezzi comunicativi.
Si aggiunga a ciò la presenza, nella nostra epoca più che in ogni precedente civilizzazione, d’una commercializzazione di taluni valori che agisce in maniera del tutto negativa; dando forza e vigore a esperimenti epidermici e velleitari e non permettendo un evolvere autonomo di esperienze vitali, svincolate dall’elemento economico e commerciale […] Fintanto che la società capitalistica continuerà a mercificare le opere […] non sarà possibile liberarsi da questi inciampi; come, d’altro canto, non sarà possibile farlo fintanto che, nei paesi apparentemente non capitalistici, si continuerà a imporre dall’alto un determinato credo estetico ben lontano dalle esigenze creative del singolo e delle masse» [ivi, cit., 191], incitando all’auto-determinazione e alla collaborazione.
La democrazia lirica, come arma dei centri «marginali» di resistenza e sovversione contro i valori nomadi delle élites dominanti (vita trendy; teatralizzazione e massificazione della cultura; consumismo), nasce dall’incontro teoretico tra un’estetica normativa, incentrata sull’antiformalismo artistico e su una metaetica emotivista, e l’ideale dell’epigraficità della cultura, nell’intento di rifondare la nozione critica di comunità, al di fuori della diffusione del modello di «comunità guardaroba» emblematico del tardomoderno.
L’idea stessa di Osteria, hôtellerie, «luogo» di costante dialegesthai simposiale tra artisti «nomadi», caratterizzato dalla resilienza delle relazioni inter-soggettive, è verosimile alternativa teoretica alle comunità «guardaroba» e «sciame» del tardomoderno, basate interamente sul binomio connessione / sconnessione.
Mi è stato chiesto che senso ha pubblicare poesie di giovanissimi che rivelano indifferenza per il linguaggio letterario e per i linguaggi in generale, visti con sospetto oltre che con ostracismo e avversione.
Bene, ritengo che compito della letteratura (intesa come istituzione) sia quello di gettare dei ponti di comunicazione tra le generazioni, operare dei confronti e delle mediazioni, in tal senso il blog intende muoversi, nella direzione di un confronto a tutto campo. Io alla mia età non scriverei mai nello stile degli “arrabbiati”, ma non perché sia meno arrabbiato di loro ma per via degli anni; cionondimeno sono molto interessato a che i giovani più indipendenti e liberi si interessino alla poesia senza fare calcoli di convenienza o di opportunità.
Il blog non è né Einaudi né la Mondadori, e non può fare nulla per avviare i migliori presso il cosiddetto “successo” di vetrina. Del resto non ho mai amato molto i giovani che si aggregano ai poteri forti, ai grandi nomi, non ho mai avuto simpatia per questa genia.
Il blog è aperto anche e soprattutto ai giovanissimi, purché sanamente arrabbiati di come va il nostro paese oggi. Occorrono delle riforme anche nel comparto poesia, e la prima da fare è quella costituzionale: per esempio tagliare uno dei due corni del bicameralismo perfetto che regna anche in poesia, tagliare il numero dei parlamentari (leggi dei faccendieri) impiegati nel settore cultura, tagliare i rifornimenti (budget) alle istituzioni letterarie governate come cosa privata e non come beni pubblici…
Ben vengano quindi giovani arrabbiati, anzi, ancora più arrabbiati, perché come diceva Sartre: “Ribellarsi è giusto”.
Sono, sinceramente, incredulo, che esista gente così mediocre da scrivere a Giorgio «che senso ha pubblicare poesie di giovanissimi che rivelano indifferenza per il linguaggio letterario e per i linguaggi in generale, visti con sospetto oltre che con ostracismo e avversione». Penso che sia la tendenza del momento: ai giovani, niente lavoro, perché ci sono settantenni che ancora devono fare i consulenti stra-pagati e occupano tutti i ruoli di management aziendale; ai giovani niente cattedre, perché ci sono baroni universitari che a ottant’anni ancora insegnano; ai giovani niente spazi culturali, perché ci sono i settantenni insoddisfatti che ancora devono uscire con Mondadori, temendo ogni forma di concorrenza; ai giovani, niente spazio politico, perché un giovane deputato ha cinquant’anni e un giovane senatore sessanta. Questa è la fregatura: una generazione di pensionati del lavoro, dell’accademia, dell’arte, della politica che non si sposta e non insegna – scientemente- niente, non trasmette niente (trasmettere dall’alto in basso, come verità colate, è non trasmettere niente), semplicemente perché ha il terrore di perdere la scena. E, quindi, smonta, critica, ostracizza, banna, blocca, recrimina, come sono soliti fare molti anziani oramai “rimbambiti” che, del tutto ignari dei casini che hanno combinato in Italia negli ultimi cinquant’anni, sentenziano su tutto. Come se l’uso del «linguaggio letterario» (?!) fosse appannaggio di una sola generazione. Poi, cos’è il «linguaggio letterario»? Chi stabilisce il «linguaggio letterario»? Chi si arroga il diritto di distinguere tra «linguaggio letterario» e «linguaggio non-letterario»? (Pensionati non disinteressati // arriverete mai a intuire // che esistono diversi «linguaggi letterari» // essendo sul mercato un centinaio di vocabolari?//). Poi, sia chiaro: ai giovanissimi, diciamo, ogni giorno, fly down, zio, non ti montare la testa, diseducati con giudizio. Però, sinceramente, non ho mai visto uno dei ragazzi scrivere, o affermare, che il «linguaggio letterario» dei pensionati sia da chiudere in un museo (come, in realtà, è ora che accada). Se ne stanno calmi, serafici, ad attendere di maturare, ai margini della discussione: sono indifferenti allo sparare sentenze (e cazzate); sono indifferenti alle verità colate dal cielo; sono indifferenti a Einaudi e/o Mondadori. Semplicemente, scrivono: è questo il loro enorme vantaggio. Le cazzate le lasciano sparare a me, loro fratello maggiore, nato in una generazione “dimenticata” da tutti (1970 – 1980).
penso che quello che c’era da dire per introdurre i testi di questi ragazzi sia già stato espresso da Linguaglossa e Pozzoni.
questi giovani “arrabbiati” sono semplicemente ragazzi che scrivono e leggono (fortunatamente aggiungo) loro non chiedono altro che un minimo di attenzione e la possibilità di crescere, ma se quelli che dovrebbero aiutarli a farlo non lo fanno (per paura di essere sorpassati?) in Italia si rimarrà sempre allo stesso punto, con un linguaggio antiquato che non tenta neppure un minimo di cambiamento, per la semplice paura di perdere qualche immaginaria “poltrona”.
” per paura di essere sorpassati?” (Ambra Simeone)
Un tempo i maligni erano i vecchi. Ora pare che si siano invertiti i ruoli.
La “poltrona” poi? Ma quando, ma dove!
Giorgina Busca Gernetti
“un’immaginaria poltrona”!!!(Giorgina Busca Gernetti)
Che fosse “Immaginaria” lo avevo capito, sa! La dove, ma quando, ripeto ancora!
Giorgina Busca Gernetti
Errata corrige: Ma dove, ma quando, ripeto ancora.
GBG
Esattamente dove e quando c’e’ una poltrona immaginaria che non si vuole mollare!!
Ovvietà! GBG
a domanda retorica…
“a domanda retorica…”
Le domande retoriche sono molto diverse. La mia è una domanda reale.
GBG
Sì, “ribellarsi è giusto”
diceva Sartre l’augusto.
Ma non trovare il modo giusto
per farlo
crea solo trambusto.
Sì, “bisogna trovare il modo giusto”
diceva Ennio Abate con estremo gusto.
Logico è che il famigerato “modo giusto”
è un suggerimento abatiano che non contenga nessun apax,
cioè il modo esclusivo che, duecento anni fa, suggeriva Marx.
AUGURI
Cercano gli apax?
Si accontenteranno dei tampax!
(Della serie : Si nasce incendiari e si finisce pompieri. (da Pitigrilli parla di Pitigrilli)
il problema è che i pompieri vogliono fare ancora gli incendiari!
e pretendono che i nuovi incendiari facciano i pompieri!
Un po’ di rispetto per i pompieri-vigili del fuoco !
Sig. ra Giorgina Busca Gernetti qui non si è irrispettosi di nessuno, si sta solo dicendo la propria! Non mi sembra il caso di fare del moralismo, si parla per metafore e non si generalizza, non commettiamo questo errore, per favore! 🙂
Chiedere rispetto per i vigili del fuoco non è moralismo! Metafora!? La prof.ssa Simeone forse suppone che io non la conosca. Tuttavia si può mancare di rispetto anche con le metafore.
gentilissima Sig. ra io non sono una prof.ssa, tuttavia (sarà per questo forse) non capisco perché lei sia così indispettita e arrabbiata molto più dei giovani poeti 🙂 io non ho mancato di rispetto a nessuno, il sig. Abate parlava per metafore e io rispondendo a lui (e a nessun altro) gli ho risposto per metafore!
Grazie, caro Ennio. Io auguro a questi giovani di trovare la loro strada, i loro “linguaggi”. La frase: “Si nasce incendiari e si finisce pompieri”, me la ripeti, a intervalli costanti, dal 1983, quando avevo 7 anni. Non è che ti è venuta la sindrome da nonno Simpson? 🙂
Apprezzo molto lo spirito aperto e generoso di Linguaglossa. Ma, in maniera breve e icastica, mi sembra che Abate abbia colto il non-senso della cosa. Che può essere diversamente riassunta con una domanda: basta un manifesto per fare una poesia (o qualsiasi altra cosa)? Mi sembra che storicamente la risposta sia no. Ma diamo tempo al tempo, non si sa mai.
L’amico Ennio è bravissimo a cogliere non-sensi. Contro-domanda: basta una poesia per fare un manifesto? Domanda e contro-domanda, essendo due non-sensi, si elidono a vicenda. Diamo tempo: chiusi i vecchi stili in musei, dovremo ripopolare il mondo d’arte viva, no? 🙂
Ricevo una bellissima email di Antonio Sagredo, che incoraggia i ragazzi, che “hanno la sua simpatia”, e dedica loro un testo:
POEMA (DI UN) IDIOTA
Una luce
una gemma rischiara
su una pietra tombale
un ossicino
d’un bambino levigato d’aceto
traccia dolore noia e disprezzo.
Potente l’aurora
non si turba della notte serena
e scopre la gioia
nascosta nell’insieme dei cocci
come sterco nei cuori
che fiocca sincero.
Sono un personaggio tarlato
diverso per un frac di pelle
dall’attore sincero
come un gatto per il pelo dal cane
con due palpebre rossicce.
Sono buchi i miei occhi
e i fori del naso
a pezzetti dai fori del maso
la mia poesia barcolla.
Sono fori più cupi e profondi
i tremori e i timori dell’anima incerta
di diversa natura
di diverso potere d’acchito.
Il teatro, come me, la mia casa diviene
come un pesce fresco di poco
o come una marmellata balorda.
Sono fori nella gente
le mie parti
come occhiate di vetro
le mie a battute arrugginite
e i gesti stracciati per forza
e le voci serrate
come bianco su nero.
Sono fori i capestri
e i topi di fogna
e le bandiere inzuppate d’eroi
sono fori le mie parole
e le mie poesie
i miei pensieri lasciati in disparte.
Sono un personaggio tarato
come un essere bucato
ma come posso assaltare
cattedrali
altari impazziti di santi
di veglie arzille
di lancette spezzate
di case e casermoni infinocchiati
se, come un verme fischiato,
mi si dice son fatto?
Lavori di rime
come tergicristalli sulle note
straboccano
come diavoli e angeli in gara.
Le mie voci
come lanterne vissute
per le lodi hanno voglia
di smorfie blasfeme.
Come vermi lucidi
come rotaie fredde al tatto
dai fori del naso
come un coro d’edere gioiose
la sozzura s’avvinghia.
Come l’inferno migliore
sono io
il personaggio tarato
come una marionetta baciata dal caso.
La mia miopia sul male
è una torcia
di ferro picchiare
la gente per bene
col ruvido metallo.
Come un tappo che schizza
la metafora abbozza
disegni infantili
come un pazzo inciso
disegna
cristalli precisi
e lo spirito aguzza
attento il segnale
acuto d’accento
uscito affogato
come a rotta di collo.
L’attore
l’uomo precorre
come l’azzurro del cielo
le scene
mutate d’incanto
e un canto carino carino
insinua una parte verace
e grida:
un azzurro di cielo io voglio
come piogge d’ottobre
ma sono in dicembre!
Anche l’amore
è un ricordo tarlato
come carni pezzate di gioia
come baci pietosi dati alla vita
ma una penna
è l’unica cosa
di vivere intera
come la mia parte di sempre sincera.
Libertà anche
all’attore si vende
e giustizia… è fatta!
Ricordiamo
settembre novembre lirici
mesi una volta all’anno.
Squallide rime
inventarono per loro i poeti:
in verità sono mesi di vita
in verità una fragile ventura
ma caddero in dis-grazia.
Come nodi al pettine
spine
le transizioni:
migliori tempi
per essere poeti migliori
il tempo rise
come una goccia impiccata.
Una voce detta: gridare
sputare sangue
come poesie a fiotti
segnare il passo
infinocchiare i tempi
possenti
come tappi aperti di champagna!
Una rima strozzata
la noia raccomanda
di stare all’erta – poeta
bandito dai poeti.
Il genio s’infischia
lo volete capire!
coma una metafora dipinge
sui tetti
il silenzio
in fretta
in fretta…
Come paura nata da pace
la merce si vende
come forma battuta:
signori
prezzi bassi
per un’asta variopinta!
Di tutti i colori
la poesia
in vendita
vaneggia
straordinari scampoli
come frasi fatte per intenderci
meglio!
Le mani al soldo dell’idea
sono filistei appiattiti
come tane orfane di bestia
come beffe incanutite
gli eretici serpenti!
Nessuna meraviglia
se dopo gli attori casti
spuntano con le corna gli iconoclasti:
di certo i migliori tra i peggiori
di certo i positivi fra i negativi.
Sulla vetta dei turaccioli
come omini ai vertici del punto
il cammino
bianco traccia
la vanità solina
e abbraccia un bruciante soliloquio:
la vita la morte più non teme
la gioia la tristezza più non vede
una nenia assale la noia
il raglio hanno rubato all’asino
e il canto di un foglio volteggia… solo
come un pazzo che ha smarrito la follia!
E canto io
come l’albero maledetto che non ha foglie
né musica
né vita
né morte.
E canto io
l’apatia mostruosa
come un verme in posizione naturale
nessuna potenza
ma assenza convenienza conoscenza…
È possibile un vivere così
a dispetto di chi troppo ha vissuto
a dispetto di chi s’inalbera a fiocchetto
a dispetto di chi dipinge se stesso sconosciuto.
Ma
abbassate
abbassate quei fiocchi e controfiocchi
quei rami irranciditi
quelle braccia articolate
quelle steppe putrefatte
come vostri paradisi!
A chi
a chi dare retta?
E sventolate fagiani-filistei i colori naturali
e sventolate sbadigli incoraggianti che la massa v’è davanti
e sventolate drappi
nastri
bandiere d’eroi mozzati
e sventolate città
i vostri pianti
le vostre scuse rapide e distratte!
Ma non sventolate
la carogna che vi è dentro
la purezza indegna sulle labbra
la compassione sciatta
che vi strozza!
Basta pensare
alle frasi fatte
avviluppate di vergogna
alla ruvida bagascia che v’immerge
strozzini filistei
iconoclasti e casti
nel vecchiume
arido
consunto
conservato putrefatto!
Come un inchiostro imbarazzato
davanti a rigidi disegni
punteggiati da ruvidi consensi
la pietà
ha fame
di amori stomachevoli
di onorati buffoni
di gente in incognita contenta
di personalità indigeste
di incesti cristiani.
E la rabbia è nel corpo
di uccelli oratori con becchi difesi da muraglie
di galline con le cosce storpiate da infiniti amplessi
di tipi altolocati sulle picche delle masse
di sciacalli
di cani
sulle bocche dei serpenti!
La rabbia è perfino nel corpo
dello schifo che schiamazza
onoranze funebri
per un uomo più insetto strisciante.
A voltare pagina
le armi bianche
fischiano catrame
nerofumo
fumo di Londra…
Sul tavolo della vita
lettere e penne di gallina
busti come boschi
pavoni
bicchieri
mimi
carte da gioco
buchi
contraccolpi
missioni
fantasie
scrivani barattoli di salsa
poeti
sale piccante
pepe salato.
Far poesia è lirico
ammaestrar le arti.
Far poesia
è lirico… quando
il verde serpeggia
dove il pudore non ha cani
da sbattere
con sputo di pagliaccio.
Cos’è poesia?
Non è forse
orgogliosa
vogliosa combinazione
di numeri intrecciati
come pezzi infiniti di ricambio?
Non è forse
spumosa messe di parole
divise in classi
gerarchie
sottostrati?
Che ordine costrutto
come sorci
sull’ATTENTI!
Un motivo sobbalza
strabocca numeri a catena
disordine ribellione
la forma impazza
tentenna il contenuto
la parola dominante
invoca
ispezioni!
comanda
arrotini!
affila
sgranocchia
consuma
lo sperpero ridotto a grande effetto
ma la poesia
per contrasto abbaia
con muso
da strapazzo!
Ai sogni infantili
lasciate i ricordi
cucire
colori su colori
palazzi su palazzi
cucire i sogni
sui grandi e piccoli poeti
come toppe false
sulle chiappe!
All’antica ragione
prestare fantasie…
Bruciare i canti sazi
stanchi del poeta
e leccate la calvizie
di teste coronate
in serie
come gaie capre nei recinti.
Sulla punta del naso
le pastoie
e un gruppo di cavalli
una groppa di poeti
un ruvido canto
solfeggia
come fari tisici nella notte.
Senza senso
la metafora
accorcia
e allunga
paragoni
d’ogni sorta indovinati
come metafore impazzite
rifiutano il già detto.
Fare rima col sogno
pare buffo
prendere sul serio
cose arcane
ma il vantaggio è superbo
districa i rotti singulti
e i rimorsi del tempo
come navi uncinate di passaggio.
Dispensa il poeta
le parti invidiose
d’accenti burleschi
meschini li pensa
come comici colori dappertutto.
Il sangue torreggia bandiere
come sogni puri
a gente che impazza
per voglia di droghe
puri sogni
come albe stupite dai tramonti.
Giallo sui tetti
percepiscono insetti
rosso su tutti
l’immagine accenna
di fianco ai bastioni
fortezze!
Forse
io vedo
nella vita
tutto un qualcosa
di profondamente bislacco
come una palude percorsa
da stupidi
martiri
e santi.
Il nuovo
come una batosta
da attaccare
la vita al muro
il linguaggio ad altro polo.
Dove le parole
e gli oggetti
e i sogni
struggono il poeta
il letterato saccente
trova annoso
finalmente
critico sputo fendente.
E la rima
che fatica!
rimare è trovare
scavare
il linguaggio più duro del faggio
saperlo come si dovrebbe
almeno usare
ci vuole coraggio
a volte come un saggio
si rivela pedante
accademico scolastico
perciò bisogna rivoltarlo
e violentarlo
stanare il fondamento
scacciare la ripetizione
sfogliare
ricacciare la sintassi
ripudiare i sacrosanti passi.
La posizione giusta
come il benessere
è un dato di fatto
non lo dovete scordare!
Come rose scarlatte
i dettati dall’alto.
Cadono città palazzi
come ciocche di capelli.
Le metafore non giungono
come… come… come…
per nutrire la gloria
di teste granate.
La metafora è un’arma a doppio taglio
sintesi a priori
di un certo bagaglio
ha due significati
puzza come l’aglio
o può servire
da comodo bagaglio.
Per botte da orbi
flaccidi sciacalli
schioccano
come pelli frustate
le masse in mutande
come prese di mira
da un gioco banale
e come fantoccio stordito
il servo passeggia
sui freschi miraggi
usciti dai forni
dei grandi capoccia.
Oh
i grandi capoccia
dicono questo
speculate
speculate
speculate
speculate sui vostri consensi!
speculate sui vostri rimorsi!
speculate sulle vostre disgrazie!
Come rose scarlatte
i dettati dall’alto
e le città
i palazzi
cadono
come ciocche di capelli.
Ed io ho visto un lago
grande
lassù
umano!
come una goccia tra i monti
che cade estesa
stecchita!
Grazie a Antonio.
cari interlocutori,
comprendo le vostre riserve, ma Vi chiedo: non è forse vero che interi movimenti artistici delle avanguardie storiche come il Futurismo non hanno prodotto una sola pagina di alta poesia?, EPPURE L’IMPORTANZA DEL FUTURISMO è NOTA A TUTTI ED è ORMAI IN TUTTI I LIBRI DI STORIA DELL’ARTE EUROPEA E OCCIDENTALE.
Quello che si richiede ad un movimento spontaneo e dal basso come questo degli “arrabbiati” è di essere se stessi, di non somigliare a nessun altro, tanto meno ai modelli maggioritari imposti dalle istituzioni che contano, di provare a rompere le file dei beneducati nipotini del post-minimalismo.
Comunque, ci sono dei momenti storici nei quali è più viva e sentita la spinta alla ribellione contro il formalismo e il conformismo dominanti. Ritengo che questo sia tipico il nostro tempo: la tendenza a conformarsi ad una feroce omologia.
Ben vengano quindi le ribellioni della giovanissima generazione, pur con tutte le loro contraddizioni e insufficienze, sempre meglio che lo spettacolo untuoso delle scritture fatte ad imitazione dei modelli maggioritari.
E poi non credo che lo scritto di Ivan Pozzoni voglia essere un manifesto, mi sembra piuttosto una riflessione a latere, un tentativo di razionalizzare quello che accade dal punto di vista sociologico.
I «manifesti», con la dissoluzione dei grandi métarécits, non hanno senso di esistere, nel tardo-moderno. Non mi metterei mai a scrivere un «manifesto»: mica sono Marx. Lasciamo i «manifesti» alle campagne elettorali e ai cartelloni delle reclame: marciranno come carta straccia, appesi ai muri.
Mi fa piacere constatare l’entusiastica adesione a questi giovanissimi da parte di un poeta come Antonio Sagredo:
«Basta pensare
alle frasi fatte
avviluppate di vergogna
alla ruvida bagascia che v’immerge
strozzini filistei
iconoclasti e casti
nel vecchiume
arido
consunto
conservato putrefatto!»
Un paio, Machiavelli e Catagnoli, sono interessanti, altri meno sono più in formazione. Mi sorge spontanea una domanda, sono davvero necessarie queste operazioni di genere? E una volta ci sono i poeti dell’Asse Adriatico (lo giuro! un pomeriggio di zanzare al dibattito di un convegno di poesia a Riccione nel 2006), e un’altra quelli chiusi in Milano (fateli uscire, stanateli, fategli capire quanto sono cazzoni!), questa volta il tentativo è rivolto ai giovani arrabbiati alla Nutella. Francamente rimango assai perplesso, non c’è creatura più individualista ed egoista del poeta, e la scapigliatura è deceduta da 120/130 anni circa.
Caro Flavio, Leo e Mattia (Macchiavelli), non dispiacciono a te. Valerio, non dispiace a Sagredo. Mariano – non dovrei azzardare- non dispiace, nei limiti di alcune tematiche, a Giorgio. Bsa, sinceramente, con la nostra Milano meltin’pot, non dispiace a me. Ciascuno non dispiace a qualcuno. Qui non si tratta di un’operazione di genere. Qui si tratta di un mio progetto di dis-educazione dei giovani che Giorgio, a comodità categoriale, ha definito “giovanissimi arrabbiati” (in realtà, il nome del progetto è New.co Poetry). Sto inserendo in un gruppo, due a due alla volta, giovani – a mia opinione- molto validi, con il desiderio di “costringerli” a misurarsi su temi sociologicamente difficili in maniera dis-conformista. Giorgio – da grande ospite- sta dando visibilità al progetto, che impegnerà decine di giovani poeti. Se la scapigliatura è deceduta, inventeremo una lozione idonea a ravvivarne le chiome.
Fai benissimo, Ivan, a favorire i giovani, questi poeti meritano attenzione e un ascolto un po’ più attento di quello solito.
E ringrazio Giorgio Linguaglossa che, con l’inserimento nel suo spazio, dà loro voce e a noi possibilità di conoscerli.
Giuseppina: io ringrazio la tua sensibilità e intelligenza (abbracianti): tu arrivi sempre, con squisitezza, dove altri non arrivano o arriveranno mai. Spacchi il guscio della metafora, e ammiri il frutto. Chapeau!
Caro Ivan, nel non senso, a proposito di sveglie, come dice Antonio Sagredo e per altri versi, data l’ora, Giuseppe Panella, qui una mia, per te e i ragazzi:
*
Ho incontrato il tuo orologio nel cortile,
nel quadrante del silenzio di un vetro rotto
nella stura di un fiato mozzo.
«Chi c’era, / chi è stato, a farmi svegliare?»,
gridava l’ultimo arrivato. E nessuno intorno.
«Sarà stato il vento!», rispondeva il saggio.
« Il vento?».
«Sì, proprio lui, il mare
nella calca di un attimo, nell’inseguire l’inguine della riva,
il mare ha dato manforte al vento, da farlo scoppiare».
Pardon: Panetta.
Leggo in un articolo del blog “La presenza di erato” un articolo di tale Rocco Fioravanti il quale scrive: «impotente fisico e mentale», locuzione indirizzata ad un ignoto interlocutore.
Ciò premesso, invito il signor Fioravanti (presumo nome di comodo adottato da qualcun altro) a non schermarsi dietro l’anonimato, ma, se ha coraggio, lo dimostri scrivendo il nome e cognome dell’ignoto destinatario dell’insulto, così potrà fare i conti con una denunzia per ingiuria e diffamazione.
Lanciare il sasso e nascondere la mano è un gesto ancora più ignobile che lanciarlo.
Apprendo oggi, 9 luglio, 2014, che il signor Rocco Fioravanti è un assessore comunale del comune di Roseto Capo Spulico (Calabria) luogo di nascita di tale Dante Maffìa (candidato al premio Nobel con delibera dello stesso Consiglio Comunale).
Mi sembra che qui il cerchio si chiuda: abbiamo capito con chi abbiamo a che fare.
«Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa» (Dante).
Se rimanete perplessi, ve lo dico, con una cordialità bukowskiana, potete benissimo leggervi Faletti e la Spaziani, crepando nel loro imbroglio…e qui non diffamo nessuno. La maturazione è teorizzazione. Ad oggi allora possiamo leggere ogni avanguardia dicendo “erano in maturazione”,benché un poeta non maturi, al massimo appassisca e si sgretoli-o cambi direnzione (considerando che anche Montale veviva considerato copiato di Valery). Ed un consiglio: leggetevi un po’ di poesia slava, poi comprenderete chi deve maturare.
Non diffami nessuno perché – ahimé!- sono morti.
Rispetto per i morti! “Deorum Maniun iura sancta sunto”!
GBG
rispeto per i morti, ma non per chi li idolatra. L’impero egizio si è concluso da millenni.
*rispetto per i morti
La Spaziani e Faletti erano morti da pochi giorni. Proprio ieri il funerale di Faletti. No comment !
Dio, patria, famiglia. Rispetto verso i morti, rispetto verso i morti vivi, rispetto verso i vivi morti. Il rispetto non è un dovere: è un onere (se vuoi x …. allora fai y).
Dio, patria, famiglia. Rispetto verso i morti.
Questi sono veri valori per me, non le battute futili che aggiunge lei. Se lei avesse visitata in un Paese straniero una tomba/sacrario in cui giace suo padre caduto in guerra a soli trent’anni, qualche mese prima che lei nascesse (periodo ipotetico dell’irrealtà), forse avrebbe più rispetto non solo per i morti, ma anche per li rispetta, come me.
Se il presunto manifesto di voi giovanissimi consiste nell’irrispettosità, preferisco essere vecchia. GBG
Ci aggiungerei, anche, un eja eja alalà! Poi Panetta dice che io sono un fascista ! Rispetto verso chi merita rispetto: il rispetto non è un dovere universale. Pure Hitler, Stalin e Pol Pot sono morti: di loro non ho nessun rispetto, nessuno. Mai mi permetterei di discutere, o di entrare, nei tuoi casi di famiglia: il dolore sì – a mia opinione- è degno di rispetto. Preferiamo anche noi che tu sia anziana! 🙂
Ma come si permette di dire che preferisce che io sia anziana! Anzi, che VOI preferite… Branco di ineducati!
Giorgina Busca Gernetti
E se qui sono stato crudo, mi scuso, ma sono “arrabbiato”. La maturazione è naturale nei limiti della maturazione stessa. Chi dice che l’uomo matura?
ed altra scopertona, il linguista lo riformula il linguaggio: perché l’unica forza dello scrittore è saper contrallare e formare il linguaggio. Il linguaggio non è fisso, è in costante movimento, come la società. Ergo è praticamente insensato, se non del tutto ridicolo parlare di abilità linguistica.
Ah, vorrei ringraziare, come al solito, l’amico e “padre artistico” Antonio Sagredo, per la simpatia mostrata.
“[…]rivelano indifferenza per il linguaggio letterario e per i linguaggi in generale, visti con sospetto oltre che con ostracismo e avversione.”
Ripropongo la domanda di Ivan senza presunzione di alcun tipo: esiste un linguaggio letterario? Tutti i poeti, da quando esiste la poesia, hanno sempre scritto nello stesso modo? Perchè questa persona detentrice di sapienza, invece di nascondersi, non ci viene a spiegare IL linguaggio letterario? Cosa vorrà intendere il misterioso sapiente con “indifferenza per i linguaggi in generale”? Quel “generale” incute timore!
Mi pare sia più “Manifesto” la poesia di Sagredo che non la nota di Pozzoni. “il linguaggio più duro del faggio
saperlo come si dovrebbe
almeno usare
ci vuole coraggio
a volte come un saggio
si rivela pedante
accademico scolastico
perciò bisogna rivoltarlo
e violentarlo
stanare il fondamento
scacciare la ripetizione
sfogliare
ricacciare la sintassi
ripudiare i sacrosanti passi”.
peccato solo chq quando finì la scapigliatura, ci fu il futurismo e quando tramontò il futurismo negli stati uniti ci fu la Beat e in italia il gruppo del ’63 😉
Abbiate criterio quando giudicate, perché l’ignoranza mascherata da saggezza è una malattia grave. Come disse Nietzsche: “sia consapevoli di ciò che sapete, ma soprattutto di ciò che non sapete”.
*siate
CI FU il futurismo CI FU il Gruppo 63 e poi? Sono passati cinquant’anni, cosa c’è stato? Francamente i polli d’allevamento hanno molto meno sapore di quelli ruspanti.
Se non lo sapete voi, che c’eravate… 🙂
Richiamo Valerio ad usare toni consoni al blog di Giorgio Linguaglossa e a non cadere nelle provocazioni. Ragazzi, voi non siete i ciuchi del circo equestre, o nani/ballerine, o istrioni: non vi fate strumentalizzare, non vi fate registrare come Franti. Siete Franti, non siate affranti, e mantenete sempre un certo savoir faire. Non cadete di stile: lasciate cadere ogni stile. Consiglio da barbaro aggressivo e feroce.
Mantenete sempre un certo savoir Frant!
cari Giorgina e Ivan,
il modo corretto di impostare il problema secondo me non è quello della distinzione tra anziani e giovani ma tra le istituzioni forti occupate da quelli che Berardinelli chiama “impiegati della cultura”, quello di cui c’è bisogno in Italia è che i comportamenti corrispondano agli atti, che si dismetta l’abito del gesuitismo e della partita doppia che è molto presente nel mondo della “poesia”. Il problema vero è che bisogna rinnovare profondamente la poesia italiana, rinnovare le sue classi dirigenti (che tra l’altro hanno fallito vista l’estinzione del pubblico della poesia).
Rifondare la poesia con la buona poesia.
Caro Giorgio,
bei discorsi i tuoi, ma non consoni agli scontri gratuiti avvenuti intorno a questo post sulla giovanissima generazione.
Io sono sempre stata rispettata da colleghi di lavoro, allievi, altri poeti nei convegni letterari, altri membri di Centri culturali come il Pannunzio di Torino o Novecento Poesia di Firenze. Solo qui, in un blog che è iniziato con un livello alto, mi vedo sbeffeggiata e insultata da “ragazzotti” che cercano la notorietà usando gli insulti come mezzo di ascesa.
Pretendo rispetto, altrimenti non accetterò più nessun invito a inviare poesie o a collaborare al blog
Meglio soli che in compagnia di interlocutori dall’incerta educazione.
Un caro saluto
Giorgina BG
“Preferiamo anche noi che tu sia anziana! :-)” mi ha scritto il tuo Ivan Pozzoni, con quell’emoticon finale che si usa tra giovani.
Giudica un po’ tu se possa o non possa permettersi di scrivermi così, ridendoci sopra con l’emoticon (faccetta che ride).
Giorgina
Perché, anziana è un insulto?!? L’emoticon 🙂 , tra i non anziani, è simbolo di sorriso bonario, mai di derisione. Colleghi di lavoro (eri una dipendente), allievi (erano dipendenti tuoi), intellettuali del dopolavoro ferroviario (eri socia) erano costretti, formalmente, a rispettarti: in questa sede, il rispetto, sostanziale, si g-u-a-d-a-g-n-a. Perché non ti “rispetto” (nel senso etimologico di “aver attenzione”-, cioè re-spicere)? Quando imparerai a scendere dalla cattedra, e a stare in mezzo a noi, a smettere di sputare giudizi e sentenze su ogni cosa, di correggere tutti, di lamentarti costantemente, costantemente, costantemente, su ogni mio sacrosanto intervento nei tuoi confronti (senza comprendere la differenza tra un’accesa antipatia e una bonaria scherzosità), non avrai mai il mio “rispetto” morale, cioè non avrai nessuna attenzione. Quando tu insegnavi italiano e latino al Liceo delle Artigianelle Incoronate e Flagellate sul Golgota a Gallarate, dopo una laurea in niversità Cattolica (privata), il c.d. “ragazzotto” che cerca notorietà, a 30 anni, insegnava Kelsen, Ross e Hart in Statale a Milano; riabilitava Mario Calderoni e il pragmatismo analitico italiano; scriveva i suoi primi volumi, che, attualmente, trovi, nelle biblioteche universitarie di mezzo mondo, da Harvard a Yale, da Cambridge a Berlino, dalla Sorbona a Toronto, da Barcellona a Helsinki; introduceva, in rivista internazionale, i suoi studi, molto anomali e innovativi, di storia della teoria del diritto antico; gestiva tre magazzini da 20.000 mq ciascuno. La tua unica monografia degna di nota, dopo centocinquant’anni di insegnamento è: “Itinerario verso il 27 agosto 1950. Cesare Pavese”, del 2012, edita Youcanprint. Il c.d. “ragazzotto” in cerca di notorietà collabora continuativamente con riviste come Epistemologia (int.), Novecento, Il Contributo, Información Filosófica (internazionale, sono il direttore esecutivo), Aquinas (int.), Foedus, Modelli & Teorie, Il Protagora (int.), Per la Filosofia, Notizie di Politeia, Itinerari (int.), Filosofia oggi, Otto/Novecento (int.), Libro Aperto, Rivista Rosminiana (int.), Complessità (int.), Arenaria, Fermenti, Forum Italicum (U.S.A.), Incroci, Italian Poetry Review (U.S.A.), Campi immaginabili, Opera Nuova (Svizzera), Il Segnale, Il Caffè (belgio), Kuq e Zi (Albania), La battana (Croazia), Il lettore di Provincia, Gradiva (int.) e altre sessanta riviste minori; tu su Pomezia Notizie e Sentieri molisani. Il c.d. “ragazzotto” in cerca di notorietà ha realizzato maggiori cose lui in tre anni, che tu in trenta. Mo’ basta (…, id est espressione colorita giovanile indicante eccessivo battimento uretrale): r-i-d-i-m-e-n-s-i-o-n-a-t-i! Possibile che ogni volta che vai a mettere in discussione pseudo-autori, con pagina Literary, d’una certa età, salta sempre fuori ‘sta storia del “ragazzotto”? Ma studiate bene le mie monografie, andatele a recuperare nelle Università delle vostre città, e dateci una stramaledetta occhiata! Qualcosa, magari, imparerete (come io sempre imparo dagli altri e mai insegno)! Stasera m’hai trovato nervoso: capita. Niente smile.
“Quando tu insegnavi italiano e latino al Liceo delle Artigianelle Incoronate e Flagellate sul Golgota a Gallarate, dopo una laurea in niversità Cattolica (privata)” (Pozzoni).
CORRIGE: “Liceo classico “Giovanni Pascoli”. L’Università Cattolica di Milano non regala le lauree!
Il saggio “Itinerario verso il 27 agosto 1950” è stato inserito negli “Annali del Centro “Pannunzio” di Torino nel n. 2008/2009, pubblicato a Torino nel 2009; dopo (2012) l’ho fatto pubblicare in volume individuale dalla casa editrice che me lo ha stampato in una settimana (ne avevo bisogno)..
Ho pubblicato “qualcosina” in più, una anche prefata da Paolo Ruffilli, cui è dedicato un bel post proprio oggi. Questo per amor di verità.
I miei libri sono legalmente depostati nelle Biblioteche Nazionali di Roma e di Firenze, inoltre quattro in quella Nazionale Universitaria di Torino, uno in quella Universitaria di Bologna, uno in quella di Urbino, uno in quella di Pisa; inoltre si trovano in altre biblioteche italiane (Verona, Piacenza e molte altre).
Queste notizie solo come ERRATA CORRIGE di inesattezze del sig. Pozzoni.
Giorgina Busca Gernetti
Sempre ERRATA CORRIGE per il dr. Pozzoni
“Colleghi di lavoro (eri una dipendente)”: dipendente del Ministero della Pubblica Istruzione, oggi M.I.U.R. (…),
“intellettuali del dopolavoro ferroviario (eri socia) “: ero socia del Centro “Pannunzio” di Torino (lo sa bene il dr. Loris Maria Marchetti) e di vari altri che con le ferrovie non hanno relazione se non per i viaggi.
Giorgina Busca Gernetti
Sempre ERRATA CORRIGE o chiarimenti per il dr. Pozzoni
“non avrai mai il mio “rispetto” morale, cioè non avrai nessuna attenzione”
Studi, dr. Pozzoni, i sinonimi e li usi a proposito, con proprietà di linguaggio, lei che insegnava già a 30 anni ( io a 23 anni).
Della sua “attenzione” non ho alcun desiderio, anzi!
Giorgina Busca Gernetti
TRECCANI
rispetto /ri’spɛt:o/ s. m. [lat. respectus -us “il guardare all’indietro; stima, rispetto”]. – 1. a. [sentimento e atteggiamento fondati sulla consapevolezza dei meriti, dei diritti, del decoro altrui: avere r. per (o verso) i genitori] ≈ considerazione, ossequio, osservanza, riguardo, riverenza. ↑ deferenza, devozione, venerazione. ‖ soggezione, stima. ↔ indifferenza, mancanza di rispetto, noncuranza, sufficienza. ↑ disprezzo, impertinenza, insolenza, (lett.) spregio, (pop.) strafottenza.
*
DIZIONARIO DEII SINONIMI E CONTRARI
rispetto: (di opinioni, diritti, meriti, ecc.) deferenza, riguardo, stima, attenzione, considerazione, devozione, ossequio, adorazione, venerazione, omaggio
GBG
E a differenza di molti della tua generazione: io non sono di nessuno («il tuo Ivan Pozzoni»?!?). Io non mi sono mai venduto o regalato. Poi: «Preferiamo anche noi che tu sia anziana!», ha fatto ridere tutti, tutti tranne te. Ci sarà un motivo? (…)
Giorgio, il problema vero, a mia opinione, è anzitutto distinguere chi è in grado di comprendere un discorso razionale, fatto di metafore e ironie, e chi non è in grado (giovani o anziani). Poi, fatta «piazza pulita» di chi non è in grado (giovani o anziani), esprimere, col sostegno di chi è in grado (giovani o anziani), l’ardito tentativo di rinnovare la classe «dirigente» (o digerente) [intellettuale] italiana. Se si cerca di invadere la Grecia dall’Albania in groppa ai ciucci, ci disperderanno immediatamente a colpi di carote! Ipse duxit. Firmato: il tuo Ivan (?!?)
caro Ivan,
io ritengo di tenere fermo un solo punto e attorno a quel punto far ruotare tutto il resto. Il punto è questo: riunire le migliori intelligenze oggi rinvenibili nel paese (penso alle intelligenze ancora presenti in poesia). La vera distinzione quindi non è tra giovani e anziani (anch’io ho una certa età ma mi ritengo più giovane di tanti giovani che si comportano da vecchi timorosi). Il vero discrimine è tra gli impiegati della cultura e i disoccupati della cultura, tra i mediocri abituati a commercializzare il loro scarso talento con dubbi comportamenti e chi è invece portatore di un valore. Detto in altri termini, il vero punto attorno al quale far ruotare tutto il resto è l’onestà intellettuale. Personalmente non ho più molto tempo ed energie da sprecare nei commerci con i commercianti della medietà e della mediocrità. Per questo motivo negli ultimi tempi ho tagliato molti ponti. Ponti che non portavano da nessuna parte se non nei porti dei faccendieri e dei commercianti di merci taroccate..
alla cara Giorgina va tutto il mio rispetto per la sua storia di docente di materie letterarie e per il suo impegno di vita nella educazione dei giovani. Anche i grandi filosofi hanno spesso sbagliato, ma non dobbiamo crocifiggere Benedetto Croce o Lukacs perché a loro non piacevano Mallarmé, Baudelaire e Valéry, dobbiamo invece capire per quali ragioni anche loro hanno sbagliato giudizio.
Al caro Giorgio
la mia gratitudine per il rispetto della mia professione (non “materie letterarie”, ma “lingua e letteratura italiana e latina” nel triennio. Le “materie letterarie” si insegnano alla scuola media).
Il successivo discorso sui gusti letterari di Benedetto Croce e di Lukacs (a me ben noti) non so in che modo mi riguardi, in relazione ai numerosi insulti del dr. Pozzoni che si sono aggiunti a quelli dei precedenti giudizi. Sono in attesa di parole più chiare in proposito, visto che il suddetto ha ridicolizzato me come persona, le mie scuole e la mia Università, la mia professione, i miei scritti, le riviste su cui scrivo (dimenticando le più importanti!!!).
Ho stampato il tutto con uno scopo ben preciso: querela per ingiuria e diffamazione a mezzo internet (art. 594 e art. 595 del Codice Penale).
Giorgina Busca Gernetti
Al caro Giorgio,
anche tu hai riso a questa battuta del dr. Pozzoni?
«Preferiamo anche noi che tu sia anziana!», ha fatto ridere tutti, tutti tranne te. Ci sarà un motivo? (…)
Gradirei una risposta. Grazie
Giorgina Busca Gernetti
«Ha fatto ridere tutti, tranne te, è un modo di dire!!!» Ma, insomma… Non c’è una congiura contro di te!!! Qui si stanno superando i limiti. Chiedo un intervento netto del moderatore del blog.
E’ quello che ho chiesto da ieri!
GBG
Vorrei ricordare a tutti i collaboratori e commentatori del blog che questo è uno spazio pubblico e non privato, e sollecitare tutti a rimanere sul piano degli argomenti e delle tesi esposte. Anche perché le questioni private o le idiosincrasie personali non interessano a nessuno. Spero che questo invito non rimanga inascoltato.
Ok, io obbedisco al moderatore, e smetto, se Giorgina si impegna a fare la medesima cosa.
Io metto in pratica la giusta esortazione di Giorgio Linguaglossa senza aggiungere condizioni vincolanti (= se…) per la parte avversa.
Porre condizioni dà l’impressione di non essere convinti della giustezza di un’esortazione. Il blog è letterario e tale deve restare.
Giorgina Busca Gernetti
L’obbedienza, anche «contro voglia», rimane obbedienza: io mi considero offeso; tu ti consideri offesa. Se lo desideri, dando segno di civiltà, chiariamoci via email, con massima serenità, e smettiamo, entrambi, di introdurre minacce, ingiurie, ironie, battute, sul blog di Giorgio, che non merita il nostro continuo battibeccare (battibecchiamo entrambi). Se tu sei d’accordo, io considero chiuso l’incidente, e mi impegno a smettere di commentare i tuoi commenti (se è una cosa che ti offende e ti innervosisce). Però vorrei che lo facessi anche tu! Siamo offesi e innervositi entrambi, non eccediamo, manteniamoci nei limiti del dialogo sincero. Le minacce di querela – come ci suggerisce l’amico Panetta non fanno onore a nessuno: né a me, né a te. I delinquenti, in Italia, sono altri: non siamo noi, che, alla fine della fiera, siamo due individui specchiatamente onesti! Quindi, su mediazione di Giorgio, ti chiedo: basta, smettiamo, e impegniamoci a non battibeccare sul blog. Per una volta, sei d’accordo con me? C’è un “giovane” (insomma, ho 38 anni), diciamo c’è un ex-“giovane” che ti tende la mano. Sei un’educatrice: la stringi?
Credevo che tu avessi solo trent’anni! Tuttavia trentotto sono sempre una giovane età. Ero un’educatrice di ruolo e, benché non più in servizio, continuo ad esserlo spiritualmente, eticamente. Non posso non stringere la mano a un giovane che me la offre in segno di tregua.
Alla domanda: “La stringi?” rispondo di sì.
Giorgina BG
Ma che ingiuria, che diffamazione? Commette il reato di ingiuria (art. 594 c.p.) «chi offende l’onore o il decoro di una persona presente» (non ho offeso nessun onore o decoro); commette invece il reato di diffamazione (art. 595 c.p.) «chi offende l’altrui reputazione in assenza della persona offesa» (non ho offeso altrui reputazioni in assenza di nessuno). Ricordo – da giurista e consulente legale- che, secondo Corte di Cassazione: «Come ha avuto modo di evidenziare la giurisprudenza di legittimità, non ogni espressione “forte” o pungente che crei disappunto è automaticamente offensiva ai fini della responsabilità penale nei delitti contro l’onore; la sussistenza di un reato non può essere ancorata alla sensibilità della (presunta) parte offesa. Ciò che rileva, nei delitti contro l’onore, è la obiettiva capacità offensiva, da giudicarsi in base al significato socialmente condiviso delle parole, delle espressioni utilizzate (Cass. Pen., sez. V, sentenza 16 febbraio-14 marzo 2011, n. 10188)». Io non ho ingiuriato nessuno, e non ho diffamato nessuno. Da giurista, ho la coscienza tranquilla. Mi sono limitato a registrare fatti, in maniera ironica. Risponderò, ad ogni eventuale denuncia, con una denuncia per ingiuria (art. 594 c.p.) e per calunnia (art. 368 c.p). Sono stufo di chi minaccia denunce penali perché non è in grado di sostenere un dialogo pubblico!!! La vittima dell’offesa/ingiuria sono io, chiamato pubblicamente «ragazzotto in cerca di notorietà usando gli insulti come mezzo di ascesa» e «branco di ineducati”» (ciò è DAVVERO lesivo del mio decoro e del mio onore), e, senza offese – riportando un curriculum vitae della Gernetti reperito su internet (salvato e documentabile)- ho risposto ad un’offesa. Mi sottolinei la Sig.ra Gernetti dove stanno le mie offese, che devono essere e farò immediatamente pubblica ammenda: ha insegnato a Gallarate, si è laureata in Cattolica, ha espresso un’unica monografia nel 2012, è anziana, ha collaborato con Sentieri molisani e Pomezia notizie, è socia di alcune – a me sconosciute- associazioni culturali. Dove è l’ingiuria (la diffamazione non esiste)?!! Io sono stato chiamato: “ragazzotto in cerca di notorietà” e “branco di ineducati”. E non ho ridicolizzato niente e nessuno. Cosa c’è di ridicolo nell’insegnare a Gallarate, nel laurearsi un un’Università cattolica e privata, nell’esprimere un’unica monografia in un’intera vita? Salvo tutto, e inoltro al mio avvocato: se arriveranno querele, risponderemo, vinceremo, e chiederemo i danni. Adesso basta!
“nell’esprimere un’unica monografia in un’intera vita?” (Pozzoni)
.
Il mio legale troverebbe (ha trovato) qualcosa da ridire su questa affermazione non veritiera!
Giorgina Busca Gernetti
Ma che reato è?!?!?
Gentile prof.ssa Giorgina Busca Gernetti, emerita collega, Le assicuro che nessuno ha riso delle battute di Pozzoni nei Suoi riguardi, o meglio abbiamo tutti (?) “sorriso” sia di quelle di Ivan che delle Sue risposte. Questi scontri non fanno male a nessuno, non dovrebbero far male a nessuno, si può rispondere per le “rime” o lasciar cadere la cosa e ignorare gli attacchi.
Pozzoni è un intellettuale serio e capace quando argomenta e teorizza la sua “nuova visione della poesia italiana”, ma è anche capace di stringerti in un angolo e darti tanti pugni “virtuali”, e ne incassa anche tanti. Lui si difende così. Forse dovrebbe dormire qualche ora in più visto che posta i suoi commenti alle 4 di mattina: quando il mondo dorme o si è appena svegliato per tirare la carretta, lui butta fiamme e credo non ci siano pompieri in grado di domare questi incendi che ritengo spesso geniali. Anche io mi sono scontrato/scottato. Non ci sono né vinti né vincitori ed è questo il bello.
Siamo tutti sulla stessa barca, giovani e vecchi, e a chi vorrebbe impostare il discorso sullo scarto generazionale rispondo che a mio parere in poesia si è giovani per poco, pochissimo tempo. Discutiamo nel merito della qualità dei testi, argomentiamo sulla validità di certe posizioni letterarie, ricerchiamo “l’onestà intellettuale” di cui parla Giorgio, lasciamo le “querele” ai politici, loro sì che hanno da difendere uno status quo immobile e affaristico.
Giuseppe: sentirsi minacciati, ogni santa volta, di querela, è delegittimante. Questo è veramente offensivo. Se io ti scrivessi, ad ogni tua provocazione ironica, “zitto o ti minaccio di denuncia”, come ti sentiresti? Dimmi la verità.
Invito alla calma. Vi racconto questa storia. Siamo agli inizi degli anni ’90 del 900. Frequentavo assiduamente casa di Giorgia Stecher, la prima Poeta della mia vita a darmi consigli. Ci capitavano spesso a casa della Stecher Maria Luisa Spaziani e qualche volta Dario Bellezza, di passaggio verso i sui viaggi nel nord Africa. Bellezza aveva querelato Aldo Busi e vinto la causa. Con i soldi avuti da Busi, Bellezza pagò un viaggio in Tunisia a un gruppo di suoi amici siciliani. Io che ero un giovane curioso e molto silenzioso, ascoltavo i discorsi di questi “grandi” cercando di carpire i contorni della loro grandezza. Vi assicuro che ne dicevano di cotte e di crude su tutti ma se ne guardavano bene dallo scriverne. Annotai nel mio taccuino la seguente nota: “I Poeti non vanno conosciuti, vanno solo letti”.
io invece invito nuovamente a parlare dei “giovani arrabbiati” non si dovrebbe neppure parlare di querele (non ve n’è motivo) ma solo di discussioni culturali, magari accese (e che ben vengano in ambito culturale) visto che non siamo in un tribunale! condurre le divergenze culturali al fatto personale non ha senso e non è di nessuna utilità su questo blog! Alla frase di Giuseppe Panetta rispondo bonariamente dicendo che volendo può tranquillamente conoscere i poeti e non leggerli soltanto, perché conoscere le animate divergenze tra di loro equivale a conoscere la letteratura e l’arte che per loro essenza sono come la filosofia e la religione ovvero serie solo se implicano disaccordo e pericolo (cit. A. Danto)
questo per dire che avrei conosciuto volentieri D. Bellezza o altri anche se in perenne battaglia col mondo poetico, anzi forse proprio per questo l’avrei conosciuto con maggior piacere!
sono d’accordo con Giuseppe Panetta con il quale mi sono scontrata anch’io, eppure in questo momento sono d’accordo con lui, ciò è sintomo dei vari livelli di discussione che in questo blog si possono raggiungere! Sig. ra Giorgina Busca Gernetti, il senso del post era altro, per cui vorrei se possibile, tornare a parlare dei ragazzi e dei loro testi che sono da considerarsi importanti come segnale di una nuova generazione che esiste e vuole essere presente, studia e si confronta con la vecchia, purtroppo non si può pretendere che il confronto, sopratutto se votato al cambiamento (cosa auspicabile sempre tra una generazione e l’altra), sia sempre pacifico e/o indenne da discussioni accese!
Gent.mo Prof. Giuseppe Panetta,
La ringrazio per la sensibilità e la cortesia con cui sa argomentare e persino esortare i Suoi interlocutori. E’ un piacere averLa conosciuta
Giorgina Busca Gernetti
Giorgina: e, io, stringo, volentieri, la tua: come ti scrivevo, siamo tutti bravi individui, onesti. Nessuno di noi ha mai avuto una denuncia in vita sua. Non battibecchiamo tra noi onesti, con tutti i furfanti che vivono, liberi, in Italia. Riconosco, certamente, la tua dignità morale, e apprezzo il gesto dell’avere abbracciato una mano diretta, a fini di pace, alla tua. Questa Prof.ssa Giorgina Busca Gernetti la apprezzo molto, in tutta sincerità.
Anche per me è un piacere averla conosciuta, collega.
Bene, visto che pace è fatta, possiamo tornare ai “versi” e alle poesie dei nuovi poeti che navigano “nel mondo informe delle letteratura, novelli Sirio – mille timori, poche certezze- con quel bisogno indecifrabile del verso.”
Torniamo alle armi della dialettica pura.
Una cosa però la voglio dire a tutti, smettiamola di parlare di poltrone, qui non ci sono poltrone, ci sono solo muri radenti a cui appoggiarsi, per un po’ di riposo e di ombra.
Gent.mi,
buonasera. Mi permetto, nei limiti della mia ancora giovane cultura, di dare la mia opinione riguardo il discorso “arrabbiati”, facendone io stesso parte. Ebbene credo che lo “scontro generazionale” sia sostanzialmente una incomprensione. Mi spiego meglio, a parer mio, la distanza generazionale non rappresenta la variabile indicativa che fa di queste poesie il prodotto di un epoca differente dall’epoca vissuta dalle precedenti generazioni. Guardare attraverso una lente storica un prodotto artistico sicuramente aiuta a comprendere le cause della sua origine, ma non può offrire un quadro interpretativo sul desiderio che causa la produzione artistica nell’uomo, poiché il desiderio è irriducibile ad ogni variabile che non sia quella non conoscibile, poiché la causa di ogni desiderio è sempre ciò che non possiamo sapere. Questo è il punto d’unione generazionale, ciò che spinge l’uomo di ogni età, in ogni età, a fare ciò che può per qualcosa che non riesce ad avere. Con il rischio di cadere nel buco dell’iper-relativismo epistemologico la forma sembra evaporare di fronte alla potenza del desiderio-demone, che come una catena mostra un unico sentiero per dare un senso al caos dell’universo che la società del consumo e del godimento Thanatos incarna magistralmente.
Cordialità,
Leonardo Catagnoli
Lacan! 🙂
Lacan parlerebbe forse di un desiderio che serva da margine contro il rischio di cadere nella “fortezza vuota”, immagine, concordo bene con G.Corbellini, forse più delirante, del presunto “delirio” che la psichiatria e la psicoanalisi da anni cercano di convincerci abbia una consistenza epistemologica. In questi termini la poesia, anche se Khunianamente condivisa e paradigmaticamente riconosciuta, è intrinsecamente “ribelle”, nel senso che si pone come resto capace di coprire il buco dei significati che nel senso comune non riescono ad essere affrontati. Grazie per lo spazio.
Scusatemi se mi intrometto, ma constato la trasformazione del blog in un tribunale e, senza “accusare” nessuno (dato che non stiamo in un tribunale!), ritengo che ci si debba focalizzare nuovamente sul materiale del blog: le nostre “poesie” (mi sembra presuntuoso chiamarle così, preferirei usare la parola “versi”) potranno piacere o non piacere, le critiche potranno essere oggettive o soggettive, positive o negative, ma il fatto che si oltrepassi lo scopo del blog è una sconfitta, almeno secondo me.
Non dico questo per mania di egocentrismo e/o per caricare d’importanza le mie nostre/opere: sarebbe noiosissimo se tutti fossimo uguali e, inoltre, le differenze di età e concezione sono inevitabili, dato che il blog è aperto a tutti. Ben venga ogni tipo di critica inerente all’articolo, che sarà accettata o, al massimo, discussa con serenità, ma non è proprio il caso di oltrepassare la staccionata del contesto.
Purtroppo,in generale, le varie sfumature d’ironia su internet non sono facilmente leggibili (soltanto la voce di una persona le può far cogliere al meglio).
Mariano, apprezzo molto il tuo commento, molto sereno e distaccato. Mi assumo ogni responsabilità di avere commesso l’errore di usare il blog di Giorgio in maniera scorretta, danneggiandovi. Questo è un mio demerito. La scusante: ragazzi, voi sapete che tengo a voi, ai vostri testi, alla vostra maturazione, alla vostra crescita culturale. Giorgio, anfitrione modello, scuserà le mie intemperanze, dovute ai tratti battaglieri e arditistici del mio carattere. E, sono convinto, come sostiene Panetta, che è un gran negoziatore, che il battibecco, innocente e rientrato, tra me e la Prof.ssa Giorgina Busca Gernetti abbia involontariamente attirato massima attenzione, in termini di visualizzazioni, sui vostri testi. Siete ragazzi meritevoli: studiate, documentatevi, non smettete di combattere, siate sempre disponibili al dialogo e allo scontro. 🙂
Sono convinto che i ragazzi siano d’accordo con me su quel che ti dirò: tu non hai danneggiato nessuno! Non tutti impiegherebbero il proprio tempo ad aiutare giovani “poeti” e per questo NOI possiamo soltanto ringraziarti.
Nel mio caso, in particolare, ti ringrazio e ringrazierò sempre: è da più di sei mesi che mi fai praticamente “avvalere” della tua esperienza, senza chiedere nulla in cambio. Non so sinceramente quante persone lo farebbero! 🙂
Sono convinto che i ragazzi siano d’accordo con me su quel che ti dirò: tu non hai danneggiato nessuno! Non tutti impiegherebbero il proprio tempo ad aiutare giovani “poeti” e per questo NOI possiamo soltanto ringraziarti.
Nel mio caso, in particolare, ti ringrazio e ringrazierò sempre: è da più di sei mesi che mi fai praticamente “avvalere” della tua esperienza, senza chiedere nulla in cambio. Non so sinceramente quante persone lo farebbero! 🙂
e a proposito dei Morti di cui sopra ( è strano: loro che stanno sotto vogliono star sopra, a incontare ancora i vivi? – ma finiamola con questi vivi che si danno aria d’essere dei morti!)
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Svegliatemi dopo l’immortalità
Ho barattato i morti col (mio) sesso
non con l’amor cortese…
strana questa Euridice
così disponibile alla cecità:
non ha vagoni di gomitoli da tradurre
e sferraglia sale ovunque sui binari.
È gelosa di Lot, l’amante sodomita,
ma siamo noi un trivio universale!
Svegliate me solo, dopo l’immortalità!
—
antonio sagredo
Roma, 3 novembre 2004
Adesso non si capisce più chi è vivo e chi è morto. Io so solo che domani mi dovrò svegliare alle 6:30 e che spegnerò gli occhi in un wi-fi velocissimo, in un urlo di cloud, un magazzino di giga, in un piccolo orizzonte espandibile, e sarò assonnato sul treno delle 7:30
Buonanotte
Per forza: fai la marcia su Roma! 🙂
Gentile Panetta, mi dispiace per TE: si comprende bene chi sono i morti e i vivi: vi è in giro una distinzione da migliaia di secoli, e Lei non sa ancora distinguere! Questo è troppo, non per me, ma per se stesso! Si vada a ri-leggere le tavolette sumeriche, Gilgamesh, Omero, Dante, Lanciaspezzata,
ecc. Fai una marcia su Roma al contrario e vedrai che comprenderà chi in Lei è il morto o il vivo. Auguri
a. s.
Gentile Freccia, al momento non ho il tempo di leggere e rileggere tutto ciò che mi ripropone, ho da lucidare l’elmo. Porterò con me il Libro dei Morti, affinché mi protegga nel breve viaggio nell’aldiqua :-))
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