TRE POESIE di IVAN POZZONI – “I destini dell’arte: dall’Atelier, alla «filiera»” e una pseudo poesia di Lorenzo Pezzato

Ivan Pozzoni Patroclo non deve morire    canciani

 Christopher William Bradshaw Isherwood; Wystan Hugh ('W.H.') Auden by Louise Dahl-Wolfe

Christopher William Bradshaw Isherwood; Wystan Hugh (‘W.H.’) Auden by Louise Dahl-Wolfe

L’estenuante richiamo, introdotto da ogni sorta di «autore», nell’area dell’editoria, alla teoria dei c.d. diritti d’autore mi obbliga a un breve tentativo di analisi dell’insensatezza e dell’anacronisticità di tale atteggiamento «alienato». Già nel moderno, «il grande successo mondano e di mercato dell’arte contemporanea rischiava di neutralizzare e imborghesire le tensioni più vitali delle ricerche d’avanguardia. Contro questa tendenza reagiscono le nuove avanguardie del dopoguerra […]» [F. Poli, Il sistema dell’arte contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 2008, 18]: il «[…] successo commerciale e mondano dell’arte d’Avanguardia esplode negli anni Venti […]» [ivi, cit., 15], mettendo in crisi il modello medioevale e umanista di individualità dell’«opera d’arte»; nella definizione di «opera d’arte» cade il riferimento esclusivo al binomio artista / pubblico («La funzione del pubblico […] ha un grande peso per quello che riguarda il consolidamento e allargamento del successo di artisti e opere, ma non incide per nulla nella prima fase di selezione e affermazione dei nuovi artisti e delle nuove tendenze, dove contano solo gli addetti ai lavori e il pubblico ristretto del microambiente artistico […]» [ivi, cit., 49]). Col tardomoderno – come sostiene B. Rosenblum – il modello stesso dell’artista come unico autore dell’«opera d’arte» si sgretola, «alienando» l’artista contemporaneo, liminalizzandolo: «La situazione paradossale dell’artista contemporaneo è che, da un lato, la sua figura viene per molti versi mitizzata, in funzione dell’ideologia dominante, in quanto simbolo e paradigma “assoluto” della libera creatività individuale […] dall’altro lato, per poter emergere, affermarsi ed essere riconosciuto a livello socioculturale e socioeconomico, deve accettare, in misura più o meno pesante, di adeguare la sua produzione ai condizionamenti “normalizzanti” del sistema, con effetti indubbiamente alienanti» [ivi, cit., 175/176]. L’«opera d’arte» diviene «sistema», à la von Bertalanffy, o, meglio, «filiera», interazione feedback tra «agenti» diversi (artista / mediatori culturali / editore / tipografia / distributori / corrieri / depositi / negozi / destinatari): «[…] dalla nostra prospettiva di analisi sociologica, l’artista obiettivamente non risulta essere l’unico creatore dell’opera d’arte, ma solo uno degli agenti nel processo di realizzazione di questo specifico prodotto allo stesso tempo culturale ed economico, di questa speciale “merce culturale”» [ivi, cit., 175].

salman-rushdie-arriva-a-londra-nel-2011-con-amica

salman-rushdie-arriva-a-londra-nel-2011-con-amica

  Che senso ha, se non a scopo parassitario, come anacronistico sindacalista di diritti defunti, il reclamare e berciare dell’artista volti ad avocare interamente a se medesimo i diritti d’autore su una determinata «opera d’arte», trascurando, nella sua condizione di alienato, o, nella maggioranza dei casi, di disinformato totale sullo stato sociologico della sua stessa arte, di ricordare i c.d. doveri d’autore?         L’«opera d’arte» come «filiera» di interazioni feedback tra «agenti» diversi ha urgenza di riscoprire la sua natura contrattuale socialista, contro ogni forma di capitalismo, contro ogni logica di mercato, contro ogni incidenza assistenzialista; artista, mediatori culturali, editore, tipografia, distributori, corrieri, depositi, negozi e destinatari sono immersi in una vicendevole relazione di diritti e doveri.

warhol_marilyn

warhol_marilyn

Non essendo «autore» dell’«opera d’arte», l’artista non alienato e non ignorante, deve assumersi il dovere di concorrere ad essa, come tutti i restanti «agenti» della «filiera», in tutti i fattori di «produzione» (creatività, lavoro e finanza). Nel tardomoderno, con l’affermarsi del dato sociologico della collettività dell’«opera d’arte», è alienazione dell’intellettuale inattuale che, benché immerso in contesti di partnership estesa di creazione dell’«opera d’arte», continui a delirare, con sicumera o aggressività, di diritti d’autore, ignorare la nuova categoria socioeconomica del dovere d’autore, smarcandosi, con arroganza parassitaria, dai costi della (anche) sua attività. Col riconoscimento del dovere d’autore è finalmente in grado di nascere e sopravvivere, in editoria, contro i cartelli della macro e necro editoria, una reale microeditoria socialista, incentrata sui valori dell’equità e della solidarietà.

(Ivan Pozzoni)

Ivan Pozzoni

Ivan Pozzoni

 

 

 

 

 

 

 

Ivan Pozzoni

MALA TEMPORELLA CURRUNT

Mala temporella currunt, i tempi dell’artista raccomandato,
senza ricevuta di ritorno ad uno stile insanguinato,
i tempi delle crocchie editoriali, degni epigoni del cucchismo,
– Cucchi esordì all’Inter nel lontano 1982- un maestro d’antan-(agonismo),
i tempi delle sensuali scrittrici in versi, prostituite alla sintassi
versate, inoltre, con editor, redattori, dirigenti, a collaudare materassi,
i tempi delle riviste nazionali aperte a cooptazioni
almeno io mi vendo a tutti a 20€, senza rotture di coglioni.

O temporella, o mores! Le mie Catilinarie post-moderne
annoierebbero persino Cicerone, se non Catone,
novello uticense utente, vittima di un’editoria latente,
distinta in microeditoria, condizione di scarsità di risorse,
e macroeditoria, causa aggregata di scarsità di sonetti,
e, ultimamente, in necroeditoria, bene ipse dixit Ceronetti.

Mafia tempora currunt, et temporella fugit,
Marchesi se ne avvide in tempi di repubblica,
il Cavaliere se ne avvede in tempi di monarchia,
mafie, camorre, ndranghete s’agglutinano anche nell’editoria,
l’Atelier è dell’artista alla moda, dell’artista sbarbato,
io, sempre vestito da barba, non verrò mai apprezzato,
non mi ruga sul collo il cartellino del prezzo
come Fantozzi, azzurro di sci, a Courmayeur (credevate, a Cortina D’Ampezzo?).

Mala temporella currunt, i tempi dell’artista ermetico
che non incellofana i suoi libri insieme a tubetti d’anti-emetico,
i tempi del tutto gratis, del tutto dovuto, del tutto diritto
tutto diritto, ci pensa Rocco a pub(bl)icare il manoscritto,
dimenticando, senza commenti, che anche Dante Alighieri
dové leccar molti sederi, nel reperir finanziamenti.

andy warhol campbell-tomato soup parmesan cheese-chilli

andy warhol campbell-tomato soup parmesan cheese-chilli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA REPUBBLICA DEL PORNASIO

Finalmente, l’Italia è diventata un Pornasio,
l’amore di battere (sui tasti) ha adescato il cittadino medio,
la borghesia ex democristiana si spintona nelle redazioni di Atelier,
epigoni, a branchi, pascolano sui monti d’Elicona,
sui blog ipertrofizzano critici non degni di Nota,
sono diventati tutti vati, arroganti e maleducati,
l’attempato scrittore del ‘92 ci richiama,
con insulti d’ogni genere, alla deferenza,
lontano kilowatt dal capire che esser usciti con due plaquette
da 1000€ è indice di mera deficienza,
vallo a far intendere che la democrazia lirica non è la democrazia dei dilettanti,
non basta saper mettere una croce sotto un testo a diventare Cavalcanti.

Mettiamoci una croce sopra, dai!, e una fossa sotto,
a vecchi rincoglioniti blateranti con lo stile di Zanzotto,
c’è un ritorno ad Omero, buon’anima, nella corsa al precipizio
delle giovani promesse della poesia contemporanea, settantenni da Odissea (nell’ospizio),
i dati sociologici ci dicono che s’è alzata l’aspettativa di vita artistica,
magari con pasticche di Viagra a sbloccare afflussi alla vena conformistica,
e noi, “generazione dimenticata”, a quarant’anni vagiamo rannicchiati in posizione fetale,
accompagnati da cinquantenni e sessantenni in piena crisi prepuberale.

Pornasio, l’arte italiana è diventata una Reggenza del Carnaio,
tutti arrapati a mettere bibliografie sui siti, come scambisti nel capannone d’un materassaio,
a chiedere recensioni, a scrivere recensioni, a vendere recensioni,
a sostenere, con burbanza, che collaborare ad antologie a pagamento è un gesto da cafoni,
salvo scoprire i medesimi, coerenti, a vender corsi e introduzioni a prezzi di mercato,
l’artista mestierante vuole essere appagato, o strapagato?, lasciando a fine corso, debito, certificato.

Chi non sa fare niente scrive, o cerca di candidarsi in assemblea
di condominio, rionale, comunale, regionale, nazionale od europea,
roba che a saperlo Giordano Bruno sarebbe morto di diarrea,
senza il fastidio di dover finire al rogo nel tentativo disperato di difendere un’idea,
sono stati inutili cinque anni d’università, tre di liceo, due di ginnasio:
se avessi fatto il baby squillo o l’enfant prodige della grammatica italiana,
avrei meritato maggiore stima nell’artistica repubblica del Pornasio?

Madonna_ft__Andy_Warhol_by_Coralulu

Madonna_ft__Andy_Warhol_by_Coralulu

ATELIER

Nel tardomoderno dell’antico mondo occidentale,
ogni Atelier ci si tramuta tra le mani, da bottega d’artigiano,
in vetrina di merci mediocri stile centro commerciale,
dove scrivere, in sfiziosi settenari, da novello cortigiano,
è esclusivo criterio mazdeistico del non essere anti-sociale.

Cocainomani della scrittura, nel 2014 scrivono, aha, ancora in settenari,
istituendo la costituzione del Pornasio, Biancaneve sotto i nani,
o sotto i nasi?, Finocchi venditor d’abbecedari
e locatori, ad ore, di sederi, i nuovi bottegai dell’Atelier han mille mani,
e un curriculum bibliografico tipo “Ventimila seghe sotto i mari”.

Come nelle catene della Grande distribuzione
il moderno Atelier è dotato di un ufficio C[ontrollo] / Q[ualità],
dove, con metodi di democristiana malversazione,
i redattori atelierani si arrabattano a confezionare verità,
asini santi e nuovi designati all’artigiana beatificazione.

Giuliano – o Valeriano (Publio Licinio Valeriano)?-,
finalmente un atto non democristiano
sacrificare una sincera amicizia decennale
al difendere l’interesse di una società di capitale,
imperatore oramai intronato da manie d’hypostasis
contro chi non accetta nessun tipo di proskunesis.

Non vi servirà a niente mandare i soliti cacciatori di taglia
oramai, carburo ad XXL nei fetidi cunicoli della vostra Itaglia,
ed essendo un barbaro feroce, nordico bandito, delle foreste,
attendo di infilzare, una a una, attorno al mio Atelier, le vostre teste.

campbell's soup cans andy warhol

campbell’s soup cans andy warhol

 

lorenzo pezzato

lorenzo pezzato

Lorenzo Pezzato

Riviera

pritti ghirla scieik it et bum bum da subwoofer molti bpm sparati fuori di cattiveria
vibrò il limone del gintonic nel boccale misto ghiaccio Questa è bella! lo trascinerà a centro pista con cannuccia e ombrellino in procinto di cadere
tra una porsche e le custom in area vip park l’albanese catarifrangente diresse chi in ritardo con gentile gioco di torcia [remembering Durazzo e i due figli che vi lasciò]; s’accenderà l’ennesima cicca
profumi di grigliata misto allegria di chi vorrebbe abolire il lunedì Altro giro bella gente c’mon all’alzo d’indice scattò il cameriere innamorato della barista [quella mora con due ciliege tatuate sul collo] Viva i sposi! urlerà qualcuno dal mic della consolle all’arrivo delle magnum
e la luna stronza brillava di più sopra quelle teste a tempo che in altri posti con buttafuori più morbidi: non c’era dubbio; warning door selection [il cartello rimbalzò una manciata di tedeschi imberbi]
ribollirà di mani al cielo alle prime di reggaetton quando intervennero le meticcie prezzolate to teach twerk ad impiegate piene come non ci fosse un domani; dal marittimo cadde una pigna sul tetto del furgone dei panini poco in là Porc!
molti bagagliai soffocarono borsoni beach in sintetico accalcati d’asciugamani sabbiosi Sto lightj è una bomba

32 commenti

Archiviato in antologia di poesia contemporanea, critica dell'estetica

32 risposte a “TRE POESIE di IVAN POZZONI – “I destini dell’arte: dall’Atelier, alla «filiera»” e una pseudo poesia di Lorenzo Pezzato

  1. “Scomodo” e incazzato quanto voi .
    Grazie
    leopoldo attolico –

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  2. Pingback: TRE POESIE di IVAN POZZONI – “I destini dell’arte: dall’Atelier, alla «filiera»” e una pseudo poesia di Lorenzo Pezzato | L’Ombra delle Parole | alessandrapeluso

  3. Penso che niente definisca meglio lo stato dell’arte di questo lavoro risportato sotto di Flavio Toccafondi, poeta misconosciuto, ma Poeta:

    POESIA PER IL MIO EDITORE (e per conoscenza a Sandra Mondaini)

    Caro editore,

    non posso dire davvero nulla sulla serata di letture di poesie,
    di libri fatti con le copertine chiare.
    Non posso dire nulla se non che non l’ho sentita mia
    e che per “mia” intendo la personale distanza
    dal modo di concepirla,
    la poesia.

    La poesia non è certo portarsi dietro la claque,
    la poesia non è certo affermare,
    senza scoppiare a ridere davanti a cento persone,
    che “il romanzo come potete notare è scritto in seconda persona”.

    Poesia non è certo firmare autografi
    con le maniche della camicia
    bianche.

    Vedi, mio caro editore,
    io mi diverto,
    o meglio,
    amo divertirmi
    e soprattutto non sopporto questo tipo di persone
    come tu,
    del resto,
    non sopporti quelli come me.

    Ma non è un dramma,
    credimi,
    sai che ti stimo
    e la cosa, almeno a me, basta.

    Sei un editore e fai i tuoi interessi,
    devi vendere libri.

    Io faccio il poeta
    e devo occuparmi di dar da mangiare ai merli.

    Sono due condizioni diverse
    e non offenderò la tua intelligenza
    spiegandotele.

    Faccio il poeta e scrivo
    e invento biscotti di cera
    seduto di spalle
    in un tavolo di legno massacrato dalle tarme,
    dal mio ticchettare nervoso
    ombre con le dita.

    Vivo di orli.

    Vivo asserendo che ogni poesia,
    per essere definita quantomeno bella,
    deve costare almeno due euro e ottanta.

    Vivo di ansie,
    di mutismi leggeri.

    Vivo
    cercando la zona erogena dei gabbiani
    e dipingo di parole tutto quel che arrugginisce.

    Vivo di attese,
    di fiati sul collo
    e come una malattia
    sono spirito e carne,
    come ogni approdo
    sono un nome inciso
    come diamante.

    E non venirmi a dire
    di inceppare il mitra,
    di chiedere scusa,
    perché un poeta non ha scuse.

    Con stima.

    Flavio Toccafondi

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  4. forse mi ripeto: a mio avviso ogni generazione ha il diritto-dovere di ribellarsi, di fare tabula rasa, di formattare i linguaggi perifrastici di moda, di crearsi una propria identità, di contestare l’esistente, di contrastare l’esistente… mi fanno un po’ pena quei giovinotti che sanno stare al loro posto, in penultima fila, in attesa di essere chiamati al palco, di essere cooptati (se hanno le giuste benemerenze) nelle file dei beneducati e degli ammaestrati al conformismo…

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    • Ivan Pozzoni

      Più che diritti/doveri, riscopriamo, come ti scrivevo, la categoria deontologica dell’«onere», cioè la situazione morale, soggettiva, del –famigerato- soggetto che è tenuto ad un determinato comportamento nel proprio interesse, poiché in mancanza non si produrrebbe un effetto sociale a lui favorevole. Ogni generazione ha il c.d. «dovere libero», cioè onere, di ribellarsi, se desidera una società meritocratica. Se non si ribella, accetta scientemente la condizione sociale di generazione «schiava», con ogni sua conseguenza (non necessariamente negativa: cfr. arraffoni ai concorsi, onorificenze concesse a caso, Nobel da scalare come opa, etc…): e, come a te, anche a me ciò crea compassione (fuori dal senso etimologico, come sinonimo di schifo). Benché, noi nati dopo il 1970, siamo una generazione onerosa e onerata, siamo anche una generazione attenta ai diritti, disponibile a scansare ogni dovere (fluida), e, stranamente, dimentica della categoria deontologica dell’«onere». Absit iniuria verbis (in una traduzione liberissima: dal linguaggio stia lontana ogni offesa).

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  5. antonio sagredo

    “Con gli sciocchi non entrare in discussione” > Puskin

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    • Ivan Pozzoni

      Puskin, dopo aver detto questa ovvietà, si sarà sentito sciocco intelligente? Sarà entrato in auto-analisi o, sentendosi, a sua volta, uno sciocco, avrà rinunziato a entrare in discussione con se stesso? [Paradosso di Puskin]

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  6. antonio sagredo

    lo scritto di Puskin era a tuo favore. Poi non parlare a vanvera, poi che dietro questa sua affermazione (di Puskin, ovvietà) tu non sai cosa era successo.

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    • Ivan Pozzoni

      Anto’, stavo a scherzà, mannaggia a te!

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    • Gentilissimo Antonio Sagredo,
      ecco i versi di Puškin che lei ben conosce, di cui ha citato l’ultimo della composioione.
      Con stima
      Giorgina Busca Gernetti
      *
      Aleksandr Puškin.
      .
      Mi sono eretto un monumento non di opera umana…
      (Я памятник себе воздвиг нерукотворный…)

      Exegi monumentum
      Mi sono eretto un monumento non di opera umana,
      Non s’infesterà il sentiero che vi si avvicina,
      Con la testa indocile s’è innalzato più alto
      Della colonna alessandrina.

      No, non morirò del tutto – l’anima nella diletta lira
      Sfuggirà le ceneri, la putrefazione certamente –
      E sarò famoso, finché nel mondo sublunare
      Anche un solo poeta sarà presente.

      Parleranno di me in tutta la grande Rus’,
      E mi nomineranno nei loro propri linguaggi,
      Il fiero nipote degli Slavi, il Finlandese, il Tunguso
      E il Calmucco, figlio delle steppe selvagge.

      E a lungo al mio popolo io sarò caro,
      Che in un tempo crudele ho lodato la Libertà,
      Che ho acceso i buoni sentimenti con la lira
      E verso i caduti ho invitato alla pietà.

      Ascolta, o Musa, il comando divino,
      Non temendo le offese, non chiedendo corone,
      L’elogio e la calunnia accogli indifferente
      E con gli sciocchi non entrare in discussione.

      1836
      .

      (C) by Paolo Statuti
      traduzione di Paolo Statuti

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      • Ivan Pozzoni

        Ascolta, o Musa, il comando divino,
        Non temendo le offese, non chiedendo corone,
        L’elogio e la calunnia accogli indifferente
        E con gli sciocchi non entrare in discussione.

        Però Puškin si riferiva ad una certa Signorina Musa, non al dr. Pozzoni!

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        • Una persona che sa leggere e capisce ciò che legge comprende che io ho trascritta per intero la poesia di Aleksandr Puškin di cui il prof. Sagredo aveva citato l’ultimo verso. Ai miei occhi medioevali è sembrata una cortesia, forse un omaggio, a uno scrittore che stimo. Cose tipiche di noi medioevali, forse incomprensibili, a quanto vedo, per la nuova generazione svelta di penna ma lenta di riflessione!
          Lei, poi, non mi aveva “bannata” rendendomi invisibile? Mi vede ora?
          Giorgina Busca Gernetti

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          • Ho dimenticato il mio titolo professionale: prof.ssa Giorgina Busca Gernetti

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            • Ivan Pozzoni

              Professoressa Giorgina, stavo a scherzà, mannaggia a te! Da quando Sagredo è diventato Professore? Posso diventare Professore anche io? 🙂

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              • Superi l’esame di Abilitazione all’insegnamento e i Concorsi a cattedre per l’insegnamento nei vari ordini di scuole e sarà professore anche lei.
                Quanto allo scrittore Antonio Sagredo, mi pareva d’aver letto da qualche parte “professore”. Se non lo è, torno a “dottore”. “Melius abundare quam deficere!”, anche in rispetto e in uso appropriato del linguaggio quando ci si rivolge a persone non appartenenti all”ultima generazione (“stavo a scherzà, mannaggia a te”). E non mi chiami con il solo nome, seppure preceduto dal titolo professionale, perché lei e io non abbiamo mai mangiato insieme!
                prof.ssa Giorgina Busca Gernetti

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  7. Ho scritto nella prefazione a “Patroclo non deve morire” di Ivan Pozzoni alcune cose che vorrei qui riproporre alla riflessione dei lettori:

    «… mi sembra che si tratti di una questione molto semplice: la scomparsa della poesia così come l’abbiamo conosciuta e praticata nel Novecento: l’affondamento del Titanic. Ivan Pozzoni trae tutte le conseguenze dal fatto che il locutore ha cessato di essere fondatore, e che il linguaggio ha cessato di essere la dimora dell’essere; che, insomma, l’essere, l’io e il linguaggio stanno tutti in una dimensione di galleggiamento dove presente e passato collimano con il futuro-passato. Una dimensione a-dimensionale. Ivan Pozzoni liquida la poesia così come liquida la filosofia del Novecento; tutto è affondato sotto i colpi di quel machete che è stato l’affondamento della Fondazione. Pozzoni risolve (a modo suo e con pieno diritto), la questione della «Poesia» facendo una «cosa» che, molto semplicemente, è fuori-della-poesia. La presa di distanze da ogni ipotesi di «retroguardia» come di ogni «avanguardia» è chiarissima nella nomenclatura che ne dà Pozzoni quando parla di «non-poesia» e di «neon-avanguardia», quell’avanguardia che è andata a farsi friggere non desta più alcun interesse al poeta di Monza, così come la «poesia» vista come istituzione stilistica è un concetto che non dice più nulla a Pozzoni.
    Pozzoni prende dunque atto che la poesia contemporanea è rimasta priva di referente, priva di un pubblico mandato sociale, priva di fondazione, priva di un tegumento stilistico, figlia legittima del tempo della stagnazione e della susseguente recessione economica, politica e spirituale, essa non può che girare a vuoto nel vuoto valoriale ed esistenziale. Ergo, il «poeta» diventa «non-poeta», la «poesia» diventa «non-poesia», è una quiddità non esistente, galleggia su di una materia non-materia, liquida, è parerga, fronzolo ricciuto e fronzuto, «neon». Direi che questo azzeramento mi sembra una operazione che ha i suoi risvolti positivi: una iconoclastia radicale, una dissacrante e arrembante distruzione di tutto ciò che pretenda di ergersi a mondo valoriale riconosciuto e riconoscibile, tanto è vero che Pozzoni riesce convincente quando abbandona la griglia formale in rime che nel suo corpo testuale diventa qualcosa molto simile alla non-rima, che riesce appunto telefonata in quanto prevista in anticipo, in quanto è già programmata nel software del Dopo il Moderno anche la sua mancanza. In quanto posti nel magazzino dei bagagli smarriti in anticipo, Pozzoni si sbarazza con funesta allegria di tutto il conglomerato delle retorizzazioni novecentesche. È l’affondamento della forma-poesia che qui ha luogo, senza nessun frastuono immersi come siamo nel rumore di fondo di una omologizzazione pervasiva e onnilaterale».

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  8. carlo freccia

    e il relitto ha un suo fascino!

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  9. Giuseppe Panetta

    “Ogni generazione ha il diritto di dire la sua sul mondo, sulla poesia e sullo stato dell’arte”. Ivan Pozzoni tocca le stesse corde toccate da “altri” prima di lui con dissacrante novità calata nel tempo odierno. Come a dire vecchi solfeggi per uno spartito nuovo. L’omologazione, a mio avviso, è iniziata negli anno ’80 del secolo scorso, come è iniziata, sempre a mio avviso, la battaglia tra editoria e poesia, una certa mafia, o meglio le associazioni a delinquere di stampo poetico. Io negli anni ’80 mi sono avvicinato alla poesia e già allora capii come andavano le cose, e nonostante tutto mi sono ritrovato intrappolato nelle maglia a spirale dell’ego smisurato. Leggere queste poesie di Pozzoni è come leggere del cane che si morde la coda. Sento una certa fascinazione, come se bevessi una bevanda conosciuta al mio gusto ma di cui non ricordo il nome. Pozzoni è bravo, distrugge con ironia. Ma io che sono vecchio a queste cose, nonostante il piacere puramente intellettuale, sapiente della scrittura, penso che la poesia non debba mordersi la coda, anche se anche io ho le mie colpe (fragilità a cui i poeti veri dovrebbero rinunciare). Neon-avanguardia? Interessante. Come anche “avan-pop”, sentito da un critico mio amico. Sì bene, ma i neon sono stati sostituiti dai LED e l’ava con gli avatar. Come la mettiamo? Come comunichiamo con i potenziali lettori che camminano incantati davanti a uno schermino, “smartphone”, consultando maniacalmente il proprio profilo Facebook? Di questo ce ne potrebbe parlare meglio Pezzato, no?

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    • Ivan Pozzoni

      «Sento una certa fascinazione, come se bevessi una bevanda conosciuta al mio gusto ma di cui non ricordo il nome». Suggerirei: cicuta… Neon-«avanguardia» ha un significato molto complesso, lontano dal tono dommatico e sfottente con cui mi ci ispirò – chiaramente a contrario- l’amico/compagno/marxista Ennio Abate: essere neon-«avanguardisti» significa essere né civili, né barbari, significa essere chorastici, volontariamente liminali (à la Jaspers), come unica alternativa ad una realtà che, fluidificandosi, ci incatena al suolo, schiavizzandoci. Fortunato colui che scambia le sue catene con radici: la tradizione sarà la sua maggiore schiavitù. Pezzato è un cane che non si morde la coda? E Panetta, un can che abbaia e non morde? L’arte contemporanea è in lenta trasformazione: da canone, a cane; da canale, a canile! Per l’aia, non meniamo i cani: meniamo i Kant.

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  10. Giuseppe Panetta

    Mai detto che Pezzato è un cane che si morde la coda. Mi pare di aver scritto qualcosa su Pezzato di cui ho molto apprezzato le cose che ho letto. Pezzato mi piace. A te però Pozzoni manca un poco di ironia. Io sarei per una nuova corrente la “fast-avanguardia”. Ma ne riparleremo.
    Saluti

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    • Ivan Pozzoni

      Se a me, che mi rifaccio all’ironisme di Derrida, manca l’ironia (aldilà che il destinatario del messaggio comprenda o meno l’ironia), è come se al cane che si morde la coda, mancasse la coda! Caro Panetta, se avessi davvero letto i miei due scritti “I destini dell’arte: dall’Atelier, alla «filiera»” o “Il dovere morale dell’intelle(A)ttuale neon-avanguardista di «guastare» i giovani” [titolo ironiste senza ritegno], avresti compreso, in senso etimologico, come essi siano scritti destinati a fare ingoiare rospi, e non mordere code.

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  11. Che coincidenze!
    Proprio ieri sera un amico, Tito Truglia di FAREPOESIA ha messo su FB il video completo di:
    Carmelo Bene – 1995 – Uno contro tutti (Completo) HQ
    Carmelo Bene in “Uno Contro Tutti” nel 1995. Finalmente completo.

    Ecco i commenti, che possono dire qualcosa a Pozzoni, Panetta e anche a Linguaglossa:

    1.
    Emanuele Tirelli: Nell’Olimpo.

    2.
    Ennio Abate: L’ho visto tutto. Un attore, sicuramente grande, istrionico colto irrazionalista e linguisticamente anticonformista , che sa recitare la parte di una belva dionisiaca, surreale e mistica. Dall’altra parte degli agnelli (tra cui alcuni scritturati ad hoc per fare l’ “opposizione intellettuale” fasulla del Genio) e che accettano di recitare la parte degli sbeffeggiati.
    Non è “uno contro tutti” perché nessuno gli va contro. L’unico che gli tiene testa e lo mette un po’ in difficoltà è quel …Guerra (uno degli ultimi intervenuti).
    Vi piace, sì? Ma non sentite la puzza di autoritarismo incontrollabile? E quel disprezzo vero (!) delle “plebi”?

    3.
    Tito Truglia: L’autoritarismo e il disprezzo delle “plebi” (pur evidenti) secondo me vanno contestualizzati “dentro” una personalità artistica che ha molte caratteristiche di “eccezionalità”. Piace soprattutto la sua veemenza anticonformista. Crea scompiglio. Potrebbe produrre pensiero, riflessione. Quantomeno spara sull’insulsa insignificanza del pubblico. Sui contenuti chiaramente si può essere d’accordo o no. E’ un pezzo da rivedere almeno una volta ogni semestre, ma senza idealizzare nessuno eh… Comunque alla “plebe”, gaudente di fare la parte della “plebe”, bisogna che qualcuno glielo dica che appunto è solo “plebe” (nell’accezione negativa del termine…).
    4.
    Ennio Abate: Purtroppo il risultato del giochino che va sotto il nome di “épater le bourgeois” lo conosciamo dai futuristi in poi. La “plebe” resta plebe gaudente (come nel film di Sorrentino), Bene diventa Genio e può permettersi di sputacchiare su tutte le Autortà, che glielo permettono dimostrandosi liberali. La plebe non gaudente o bastonata o affamata di questo teatrino neppure si occupa. E tutto continua così. Ti sta bene? Non c’è qualcosa che non funziona in questa avanguardia che resta nel suo brodino?

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  12. Ivan Pozzoni

    Per tutto il resto: ho promesso, ho promesso, ho promesso (e mantengo)! Non vorrei che si scambi la mia idea di neon-«avanguardia» con l’avanguardismo novecentesco – che, come sostiene anche Claudio Damiani, che mi ha letto bene, mi butto alle spalle senza ritegno (avanguardie e Novecento): essa ha un altro valore, immerso nell’orizzonte del tardomoderno sociologico. Perché non vorrei risultare a voi tutti un esaltato avanguardista, confusionario e categorico: oltre alle mie robette anti-«poetiche», c’è un impegno culturale speso, da anni, sulle riviste internazionali di storiografia filosofica e delle idee: da un lato con interventi su Calderoni e Vailati (sono discepolo di Mario Quaranta, uno dei massimi storiografi filosofici italiani viventi), su Benedetto Croce e sulla filosofia italiana di Otto/Novecento; dall’altro, con interventi, tecnicissimi, di storia della teoria del diritto antica, sui c.d. Pre-socratici, sui lirici greci antichi, sulla tradizione “omerica”, su Esiodo, Platone, Erodoto; e, infine, con interventi, nei modernissimi settori della Law and Literature e della Ethics and Literature, su Fante, Bukowski, Guareschi, Collodi, et alia. Sono stato direttore di rivista nazionale (L’arrivista – Quaderni democratici), sono attualmente direttore di rivista artistica nazionale (Il Guastatore – Quaderni neon-avanguardisti) e direttore esecutivo di rivista storiografica internazionale (Información Filosófica). La mia neon-«avanguardia» si interseca, olisticamente, tra frammenti ametrici, storiografia e letteratura: liquidare un impegno esistenziale complesso, senza averne mai visualizzato un rigo, mi appare una montatura sciocca, un attacco di anti-marketing, orchestrata malissimo. Penso: se attaccate, ché non siete capaci, documentatevi, ed evitate figure da barlafüs… Quando attacco io, mi tolgo la coda dalla bocca, e mordo.

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  13. Ivan, pace. Non sono capace di fare attacchi di anti-marketing, come dici tu.
    E’ vero, di te ho letto solo sul web, ma prometto che leggerò di più, te l’ho già detto che la tua scrittura tocca le mie corde. Fammi sapere dove trovare i tuoi libri, corro a comprarli. Possiamo anche scambiarceli, i tuoi con i miei se pensi sia il caso. Mi dispiace. Non sono capace di fare terrorismo, credimi. Ho mille altri difetti, spesso sono dissacrante, anche se non sempre mi viene bene.
    giupan9@inwind.it

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    • Ivan Pozzoni

      Ti ho mandato un’email, col mio curriculum studiorum. L’avrei messo sul sito, come hai fatto tu, ma avei bloccato il blog, data la mole di esso.

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  14. Ivan Pozzoni

    Segnalo una introduzione di Marco Melillo: http://www.cevitasumarte.it/interroghiamo-la-poesia-ivan-pozzoni-i-bassifondi-dellinferno-nel-nostro-tempo/, che, con acume straordinario, registra la mia anti-«poesia», mettendola a nudo. Grande ringraziamento a Marco!

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  15. Letto con grande piacere. Non s’è ancora scoperto se su Marte c’è l’acqua e quindi una qualche forma di vita, ma di sicuro c’è Poesia, la tua. Sono diventato definitivamente un tuo fan. Pazzesco :-))

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  16. Garrone chi? Quello della certezza cartesiana del Cogito ERG(o) sum, SpA? Mmmm, mi sa che non c’è partita purtroppo.

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  17. Ivan Pozzoni

    Fratini: commenta anche qui 😉

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