Anna Ventura
Fitzcarraldo
Quando penso alla musica,
mi viene in mente quel bellissimo film,
Fitzcarraldo,
dove un uomo folle e affascinante
trascina una nave nella giungla
per lì ascoltare
la voce di Caruso.
Questo sì- ho pensato-
Vuol dire amare la musica!
O era la musica,
stanca di teatri e salotti,
che spingeva l’uomo e la barca,
l’altare e il suo sacerdote?
Antonio Sagredo
Angeli neri hanno spento i candelabri,
il sole è impazzito per troppa luce:
è che la gioia ha trattenuto il canto
coi passi di una danza mai più moresca.
Ma non è l’angelo il sigillo di una spada
o lo scettro del fiore nel fondo della coppa:
è che il cuore ha troppo battuto la canzone
e invano la parola detta un nuovo dramma.
E quando il suono colpirà la tempia
vedrete la fornace negli occhi spaventati,
lo squillo sfonderà il corpo innamorato,
la mano, Filli, non fermerà il sangue!
Brno 2-3 agosto 1983
*
Giocherai la sorte nella fiamma, angelo,
nero balocco o marionetta,
che dai fili non azzarda un suo respiro,
ma condanna il moto ad uno specchio eterno.
Anche le lacrime hanno un’ombra da impiccare!
Brno 5-8 agosto 1983
*
Nella cripta i cappuccini
ignorano gli orologi atomici.
Neri e immortali
costano soltanto una corona.
La santa e il cavaliere
sono molto ospitali:
formano una strana croce
dopo ogni lunedì.
Più in là, nel refettorio,
cantando i monaci mangiano le offerte –
una nuova legge li offende,
poveretti, non han di che parlare!
Brno, 9 agosto 1983
*
Che martedì!
Spade intrecciate e mute
Sono la mia corona!
Il tempo sigilla come uno sciacallo
Le leggi di una donna – rigida nell’ambra!
Lacrime crollano come ghigni neri,
cesellati sono i contorni della pietra!
Brno, 10 agosto 1983
Giuliana Lucchini
LC Poesia, 2012
donde hay musica, Señora,
no puede haber cosa mala
(Miguel De Cervantes)
(omaggio agli strumenti musicali)
Altero
fra le sue braccia
immenso gli spinge
il fiato, gli forza le dita –
e salta e sbuffa, respiro alle corde,
e ride e morde,
corrente elettrica –
lo piega ad arco
e suda e si spoglia, brunito
corre, sospira grida
scivola si rialza – alla rocca si fuga
delle sue mani, creaturale riflette
la mente in danza intorno al suo dio
(o mano che formi la voce
che sali e respiri la luce, ti posi, porti
ostia, eucarestia)
così piange e canta
inno dei cieli
il corpo d’amore
per ascoltarlo devo
inerpicarmi su fino ai bastioni
fino ai merli
la tastiera turrita
dalla porta più bassa
del castello
(contrabbasso)
Mio legno di betulla e di ambrosia
cullami, con tutti i colori che in te
vibrano confortami, rallegrami
mentre t’abbraccio e ti ascolto
tu che sai smuovere le montagne
e fai rivivere eriche di brughiera
in turbolenze d’Ellis * sopra il mio capo
con il tuo canto, voce di campana,
o con la mano negra il duolo
di Summertime. Intorno a te allacciata,
salsa e mango
in giro vorticoso destami
e l’avvoltoio
di pietra e d’oro, dal copricapo
del Faraone
* Ellis Bell (= Emily Brontë, ‘Wuthering Heights’)
E .. toccami toccami preghiera, oh Crux,
improvvìsati perno, batti, metronomo,
le dita morbide sopra la pelle del pensiero,
ogni battito un tremito,
entrami ritmo, irripetibile vocale,
goccia a goccia scioglimi
il labbro e tenue aprimi
il canto liquido,
tu l’infrangibile, per un mio sorso
dentro il tuo bicchiere
(violoncello)
Si viveva in armonia di strumenti,
su nella camera vicina al sole, d’angolo lasciata chiusa
su tre finestre di pietra. Un’arpa,
di cornice d’oro, un fortepiano per dita bambine,
una grande specchiera ballerina. E la chitarra
sul tetto
A conca il letto, di piazza tesa
Di tutti gli angeli musicanti
di legno decorato
che versano suoni dal paradiso dei vasi
stretti all’arca arenaria sulla parete,
la tramontana in treno intorno alle tube,
sia sole o pioggia o vento al davanzale,
sempre sentivamo alto
uno strumento solo
la voce
umana
Flavio Almerighi
Stradivari faceva violini
Stradivari faceva violini,
Vannucchi la rivoluzione
col fazzoletto rosso
senza sfumature al collo:
è noto come il legno cresciuto
nei boschi della glaciazione
disperda melodie più dolci,
la musica non si imprigiona
l’altro invece va via romantico
insieme alla rivolta,
e alla parlata onesta
dell’operaio col padrone.
Entrambi lasciati indietro
da storia e geografia,
essere provvisori è una cifra
esosa da pagare,
ma oggi abbelliscono stanze
le stesse,
dove soltanto la musica
esplode
canzonette
Ogni brano vive
dei propri dialetti in posa
come prima di partire,
chi ha mani grosse
non restituisce carezze
alle poche nubi
lasciate perdere
dall’ultima perturbazione
migra senza complimenti,
e passo passo la terra
deglutisce l’ultima tempesta
intanto grate, le foglie
comprimono i nervi
dandosi del tu,
l’umano vergognoso
riporta in soffitta i dischi
di canzonette rinnegate
dopo la maturità,
fessura duro gli occhi
sugli angoli della bocca,
accende la radio.
Giuseppe Vetromile
Dialogo con il clarino di mio padre
non capisco la tua mezza storia
tornato così all’improvviso dalle nuvole
come un angelo di pietra
il vecchio clarino sullo sfondo
hai rimosso l’ombra dal piedistallo
e ti sei reincarnato sulla mia pagina
sfoltendo tutta l’inutilità delle parole
mi hai evidenziato il ritmo del respiro
fragoroso dalle tue ultime nari
come un simbolo di tuono variopinto
o un’eco rimbombante
mi dicevi o volevi dirmi
io torno ogni sera ai tuoi occhi
ma tu non vedi che lembi trasparenti
che oscillano alla frequenza dei miei
polsi
e poi non ti accorgi del clarino
lì in un angolo suona da solo
per inerzia
dal mio fiato liquefatto
escono note e sillabe di ricordi
frastuono fu la mia vita
tu non t’accorgi più di me che quando
s’alza la luna
di notte
a illividire le mie note di padre
tu segui ora una scia luminosa
al cospetto degli dèi
di polvere ormai è il tuo clarino
e il la è perso in mille clangori
e ghirigori
la vita è un sogno mi pare che dicesti
o tu stesso sogno della mia vita
(20. ottobre, ’13)
Silvio Aman
Prove al violino
Ammiro le sue prove,
i suoni attorno a cui si forma un’ombra
per ascoltare meglio.
Chissà se immagina l’evento
di aver svegliato un Lazzaro
nel mio già sordo involucro?
Sentivo forse più di lei la musica,
i suoni che discesi nelle tenebre
svegliavano alberete,
le strane dissolvenze della voce
e sopra un’acqua oscura
il sogno di una luna che fioriva…
l’evento misterioso di una terra
giammai creduta mia,
la valle addormentata dalla nebbia
che una ventata svela.
Nel quadro del Seicento,
eredità del nonno,
santa Cecilia parve un po’ girarsi
(o santa dolce e buona!)
sorridere gentile
e offrirle nel silenzio
una conchiglia d’oro.
La cantante
Se credi ancora a qualche cosa
è certo a lei – a questo uccello d’oro
apparso dentro un mondo doloroso,
dal limpido svettare degli acuti
(dove il suo cuore è in bilico, sospeso
allo zampillo) ai più nascosti sogni.
Poi senti che le cose del suo mondo
non sono più le stesse:
le aiuole dei tappeti coi racemi
e i fiori messi in vasi di Lalique:
le cose viste spesso altrove – è vero –
ma abbandonate a sé, nel peso,
e come al suo strumento tutto si apra
dai tuoi recessi incogniti:
quel che era appunto in te sospeso
e ti stringeva l’anima…
la folla dei dormienti risvegliati
da una diversa voce.
Sandro Angelucci
Il ritmo del tamburo
Posso stanarli,
si, posso stanarli
scandendo i versi
usando le poesie come i tamburi
degli ultimi, sfiniti
battitori.
Farò rumore,
infilerò le mani nelle tane
sfidando i morsi
di chi si sente perso
ed ha paura.
Rovisterò,
li cercherò negli angoli più bui
dove la luce
del Sole non arriva.
E se vorranno
si aggrapperanno alla mia fatica,
al mio dolore per uscire.
Ma vi scongiuro,
non datemi altre armi:
voglio soltanto il ritmo del tamburo
per non dimenticarli
e non morire.
da Il cerchio che circonda l’infinito ( Giugno 2005 )
Come se fosse arpeggio
Io non conosco
so di non conoscere che un fremito
dell’infinito esistere
che mi respira dentro,
eppure, quando mi tocco l’anima
qualcosa d’indicibile
non manca di raggiungermi,
ed è, quel nuovo insorgere
come se fosse suono,
come se fosse arpeggio:
la delicata musica d’un cembalo.
Così, anche se in parte incolume,
mi spoglio del mio vivere
e cerco di resistere.
da Verticalità ( Settembre 2009)
Marisa Papa Ruggiero
Figurine in punta di grafite
Se ancor prima, se adesso,
mi sorprende la stretta ai polsi
del colore dell’iris, del rododendro squillante
sfuggito alle misure
– la stretta che conosco –
che mi torce la veste ai fianchi
ed ogni vena è un colore indocile
che trapassa i vetri
e fa saltare ridendo occhielli e lampo
con tutti i tentacoli che ha
e i seni radiosi guizzano
come ombrine sott’acqua,
sarà bello vedere l’ago magnetico
mancare un battito
qui dove siamo,
in questo paesino di suoni
sulla scala infinita di Escher
quasi senza saperlo, ancora.
Adam Vaccaro
(armoniche*
chiudimi in te cara voce silenziosa
di quest’albero steso – piedi all’aria a urlare
liberato come un canto ferito
s’intanava piano risaliva le vene delle gambe
cavalcando bolle rosse e il mondo cambiava voce
nodi prendevano forma come nel latte di un’email
(e) si arrampicava e scivolava indietro
come suonando un’armonica a bocca
lungo la linea blu della vena sul collo
cauta nel canto del suo mistero e suo sapore
è il corpo che comanda e dice légami négati
infedele fedele a richiami che non sai nemmeno come chiami
cento percorsi ignoti al raggio di questo tuo segreto viaggio
movimento verso spazio e tempo in proiezioni d’acute sezioni d’indistinto
per un taglio di sé irraggiungibile
vertici sospesi in quasivortici senza base sempre
in un altrove dove l’azzurro diventa rosso d’orme che hanno piantato
forme e macchie indelebili panneggi e tronchi
sradicati fasci di luce e nero d’una casa che non costruiremo mai
ché è già costruita
* Con musica di Giuliano Zosi al Concerto Poièin 2, Palazzina Liberty, 2005;
In Labirinti e capricci della passione, Milanocosa 2005 e La piuma e l’artiglio, Editoria&Spettacolo, Roma 2006.
Zambra!
senti come balla – come
balla il mio sangue mentre
il mio piede quasi bacia i tuoi
e il mio viso sfiora il tuo invaso
di calore di carne e vita – anima
che esplode mentre pieghi la gamba
nel moto di andare che segue coll’occhio
se la mia ombra t’insegue – e ti raggiungerà
oh ti raggiungerà come zanna affamata che sa sa
piente sospendere l’attesa cucina di tutti i segreti
di vita – fucina che soffia scintille e balla con la vita
(Febbraio 2014)
Lina e la musica
Lina era la voce che di canto
colmava la strada bianca che
separava e univa le case col
suo fiume di latte e luce che
continuava a dire siamo qui
e cantava Lina a squarciagola
tutte le canzoni di Sanremo
finestre aperte era la voce
che dava voce alla vita
di tutte le case intorno
come attonite e piegate a farsi
inondare da quel fiume acceso
che s’imponeva all’ascolto
come segno ardente di tutta
la musica che genera il mondo
Quel nastro si annodava in giugno
intorno al grande fuoco offerto a
Sant’Antonio sulla strada-santuario
tra fiamme e scintille e canzoni antiche
e nuove per noi i più piccoli del coro
barchette ignare che quei bagliori erano
succo di vita da custo-dire per la vita
nettare ora rappreso nella nostra anima
in perle d’ambra biglie d’un tam tam che
non smette di dire continua a stare qui
(Milano, 4/3/2013)
Zufolonio
Zufolo di zirconio, si disse, sarebbe una bella combinazione
di musica, duttilità e resistenza, evitando l’effimero e i futili
giochini di bocca e legno, e non lasciando solo ai dentisti
la sapienza di quella zona e materia di fascino e misteri
gloriosi che gli consente di mangiare con la nostra
2013