LA NUOVISSIMA GENERAZIONE DEGLI ARRABBIATI – Ivan Pozzoni, Mariano Menna, Valerio Pedini, con un preambolo diseducativo di Ivan Pozzoni su “La tentazione di esistere”

valerio pedini 

valerio pedini

valerio pedini

 

 

 

 

 

 

 

 

Valerio Pedini

LA TENTAZIONE DI ESISTERE
(a Mariano Menna)

Accartocciato in una vita lapidica
Mi vergogno un poco
-e quindi molto-
Di cacare su prati sconfinati
-autostrade-

Ma bisogna avere coraggio,
un po’ di sangue amaro
che sai quanto sai che la merda la devi fare per forza
giusto per inquinare un po’ le prove di una pulizia
estranea al linguaggio di una quanto mai scontata quintessenza,
estranea a qualsiasi linguaggio.

Ciò che mi blocca
È ciò che mi spinge,
ciò che mi atterra
è ciò che mi solleva:
come una morsa gelida che ti distrugge l’esistenza
tu apri gli occhi e sai

che vivi in un mondo di nailon e plastica
lubrificato dalla vaselina delle tue parole

e quindi ti alzi e ti chiedi:
“Ma che cazzo di tentazione è?”

mariano menna

 

mariano menna

mariano menna

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mariano Menna

LA TENTAZIONE DI ESISTERE
(a Valerio Pedini)

Il rumore dei passi nella mia mente
è come una nebbia che non si dirada:
la gente corre ed io passo le ore
a vederla imprecare con rabbia per strada.
Questa gabbia ha le sbarre di tempo
e una chiave non è mai esistita.
Una salma ha più seguaci di un vivo,
ma è più invidia che venerazione;
alla mia tentazione di esistere
danno il valore di un morto in guerra,
ma io suderò per non farla finita!
La vita è una malattia grave
che porta per certo alla morte;
la sua morfina è una tragica corsa:
vince chi giunge per primo alla fine,
ma sarà un risultato beffardo
poiché non c’è premio oltre il traguardo.

Ivan Pozzoni

Ivan Pozzoni

  Ivan Pozzoni Patroclo non deve morire

 

 

 

 

 

 

Ivan Pozzoni

LA TENTAZIONE DI ESISTERE
(a Mariano Menna e Valerio Pedini)

La tentazione di esistere della vostra generazione,
si trasforma, nella mia, in esistenza tentata ad equazione:
19 + 19 = 38 + x, resta sempre un’incognita,
nella speranza che invertendo il numero dei fattori
la fattoria non fallisca, lasciando, in cambio, una generazione attonita
a contarsi le ferite, ipocondriaca, in balia di accademici e dottori.

Questo toccherà alla vostra generazione:
la nuova nobiltà cafona, nata nelle culle d’oro della necrofinanza da córsa,
risponderà abbassandovi i calzoni e mostrando il sedere
all’idiota dito medio (art marketing), ubicato, a Milano, fuori dalla sede della borsa,
e ai milanesi, in fila Caritas, a chieder l’elemosina alla neo-invasione dei tedeschi,
abituati, ormai, a sostituire il finale della Nona Sinfonia con la marcia di Radetzky.

Questo toccherà alla vostra generazione:
i concerti di Ligabue davanti a 50.000 somari in branco,
Mussolini, almeno, riusciva a far ballare 80.000 idioti alla volta,
magari sarà stato un indifendibile, discreto, saltimbanco
dichiarare guerra all’Etiopia coll’esclusivo uso di lubrificatori,
senza aver l’opportunità di servirsi di chitarre elettriche e amplificatori.

Questo toccherà alla vostra generazione:
i nuovi cantautori defilippisiani alla Marco Carta,
-“Carta canta e (François) Villon dorma” –
vi condurranno, cojon cojoni, alla scoperta
di vivere di notizie date in mondovisione,
schiavi di una verità farneticante fatta d’indecisione.

Mariano e Valerio, due ventenni in cerca di evasione
due inammortizzate, mortacci vostri!, vittime della televisione,
olocausti alla rincorsa della fame di fama, dei vostri cinque minuti di celebrità,
trascorsi a rilasciare interviste a Paola Perego in tutta automaticità,
o, tardomoderni arditi, discepoli d’un impresentabile sprezzante «guastatore»,
in conflitto inimmediabile e mortale col «potere»?

Questo toccherà alla vostra generazione:
schierarvi, col coltello tra i denti, oltre il Brillo Box
o, come Roberto da Crema, vendere batterie d’acciaio inox,
ahrarara, spacciare Delorazepam in versi che ci faccia ardere
o vendere appartamenti in centro con servizi in periferia, non ideale per famiglia che non ami correre.

 

A. Warhol campbell tomato soup

A. Warhol campbell tomato soup

 

sfilata di miss italia

sfilata di miss italia

Ivan Pozzoni: Il dovere morale dell’intelle(A)ttuale neon-avanguardista di «guastare» i giovani 

  L’orizzonte culturale del «giovane» italiano è caratterizzato dall’anti-valore della «chiacchiera», come estrema forma mass-mediatica, dal bofonchiato allo scritto (c.d. «scrivere pur di scrivere»), di degradazione del linguaggio alla dimensione della quotidianità media: in un orizzonte dove – come sostiene brillantemente Luigi Lombardi Vallauri- ogni rivoluzione smette d’aver ragione di esistere, mandati in cassa integrazione i residui anacronistici del marxianesimo o dei marxismi da un super-capitalismo oramai nomadizzato, due strade restano ai c.d. «giovani», categoria sociologica molto borgesiana: a] rivolta (non scevra dalla retorica del conformismo dell’anti-conformismo: idioti che si muovono come asini in branco, coperti da una kefiah nera e con in mano una bottiglia molotov) o b] conformismo (idioti che si muovono come asini in branco, rassicurati dal «[…] marchio della marca, // condannata ogni diversità // allo spettro della forca […]». Nell’antistato di diritto collodiano il «branco d’asini», forza assoluta d’un Italia Paese dei Balocchi, è simbolo dell’identità tra anti-conformismo (Lucignolo) e conformismo (Pinocchio), della infattibilità di qualsiasi diversificazione tra rivolta e conformismo, essendo l’anti-conformismo un conformismo in rivolta. Come uscire dalla disastrosa impasse?

gambe-delle-donne-indossano-i-tacchi-altiL’intelle(a)ttuale tardomoderno, neon-avanguardista, configuratosi sul modello dell’ironiste derridaiano, è ancora in grado di trovare un senso nell’educazione dei «giovani»? L’«educazione» classica, etimologicamente vista come un e / ducere (in tempi di totalitarismo del politically correct, ogni riferimento a un duce rischia di essere deleterio all’energia argomentativa del discorso), come un «[…] condur fuori l’uomo dai difetti originali della rozza natura […]», come, nella concezione organica dell’intellettuale di Gramsci, condurre il «branco d’asini» lontano dal Paese dei Balocchi, è ancora idonea a render felice i «giovani» balotellizzati o belenizzati? Mah! Questo genere di intellettuale classico, tradizionale, si attirerebbe bestemmie, minacce e denunce di moltissimi genitori della mia età, immersi, sempre di più, nel ruolo di agenti scroungers o di ributtanti maîtresses di «giovani». Prima di educare, un intelle(a)ttuale tardomoderno, neon-avanguardista, configuratosi sul modello dell’ironiste derridaiano, dovrebbe dys-educare, cioè opporsi maieuticamente, con l’auto-ironia d’un Socrate, ad ogni forma di e / ducere: creare dis-trofie (alterazioni del «giusto» nutrimento intellettuale) contro ogni tipo di mass-media, dis-topie (alterazioni della «giusta» desiderabilità sociale) contro ogni forma di consumismo, dis-crasie (alterazione delle «giuste» mescolanze di ingredienti) contro ogni strategia dell’“accontentarsi” o dis-fasie (alterazione del «giusto» ordine delle frasi) contro ogni formalismo artistico, etc…

bello  L’ironia, come mezzo di ribaltamento, di rimorfologizzazione costante (dall’asino all’uomo e dall’uomo all’asino in asino umanitario), assume ruolo centrale nella dis-educazione del «giovane», sfuriando da una fase destruens in cui svuoti e/o abbatta ogni struttura di senso, e arrivando a costruire sensi sempre nuovi e rivivificanti; antimetabolitica e antimetabolica, l’ironia, a cavallo del paradosso (parà-doxa), lontana dal conformismo e dall’anti-conformismo, dalla concordia ordinum e dalla rivolta, è, insieme, arma del dis-formismo, cioè – come mera ironia- dell’attitudine a cagionare alterazioni morfologiche cronicizzate, e strumento dell’auto-dis-morfismo, cioè – come autoironia- della comunicazione di un’attitudine a cagionarsi alterazioni morfologiche cronicizzate. Tra conformismi e anti-conformismi, tra cum o anti, tra la dialettica «con me o contro di me», c’è una terza via: l’auto-scontro del dis-morfismo. L’«ironista» – come sostiene Rorty- è colui che, dominando vocabolari diversi ha «[…] dubbi radicali e continui […]» su ogni vocabolario, incluso il suo, senza mai esigere che il suo sia un vocabolario definitivo. Che dis-messaggio lanciare ai «giovani», allora? 1] Siate dis-morfici, sempre disponibili ad alterazioni di stato (solido / fluido / gassoso), contro l’abituale dis-formismo dei nuovi modelli capitalistici e di «dominanza» (neon-avanguardia); 2] siate ironici e, insieme, auto-ironici (maieutica); 3] siate dubbiosi: non lasciatevi educare e lasciatevi andare ad una costante dis-educazione (dis-formismo); 4] andè a dar via i ciapp, con serenità, com’è andata a fare in culo l’intera nostra generazione di trentenni e quarantenni (calembour). Contro l’orizzonte esistenziale di «chiacchiera» dei mass-media: neon-avanguardia, maieutica, dis-formismo e calembour, senza dimenticare, «giovani» miei, miei amatissimi «giovani» che il mio cuore è con voi – branchi di somari con somatiche branchie-. è con voi il mio cuore quando taglio il filo spinato delle trincee nemiche, coltello tra i denti, bombe a mano nel tascapane, con la speranza che, almeno voi, all’assalto della baionetta, non rimaniate ammazzati. «Giovani»! Ma andè a dar via i ciapp!

54 commenti

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54 risposte a “LA NUOVISSIMA GENERAZIONE DEGLI ARRABBIATI – Ivan Pozzoni, Mariano Menna, Valerio Pedini, con un preambolo diseducativo di Ivan Pozzoni su “La tentazione di esistere”

  1. alepeluso

    L’ha ribloggato su alessandrapeluso.

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  2. Ai giovani autori arrabbiati va tutta la mia stima e partecipazione. C’è bisogno, oggi, di una nuova generazione di arrabbiati, di persone che fracassino tutto quello che c’è da fracassare, e ce n’è di roba da rottamare e da formattare. L’Italia che abbiamo sotto gli occhi è un paese corrotto e guasto fin nel midollo spinale. C’è un assoluto bisogno di aria pulita. Occorre fare piazza pulita, gettare dalla finestra le suppellettili decorative e gli ombrelloni balneari dei bagnanti della poesia che si prendono la tintarella sulla spiaggia. La situazione della patria di Premiopoli è lo specchio fedele della corruzione dilagante nel resto del Paese, i premi della pseudo poesia gestiti da minuscoli impiegati dalla cultura raffazzonata e provinciale sono lo specchio fedele di ciò che accade nelle pratiche di appalti gestiti dagli apparati del potere politico corrotto e corruttore.

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  3. Ivan Pozzoni

    Ci metteremo il coltello tra i denti, le bombe nel tascapane, le tenaglie a tracolla e taglieremo fili spinati e cavalli di frisia, dimentichi delle scariche delle mitragliatrici dalle trincee nemiche. Attendiamo la carica: non dovranno esserci soldati impigliati nel filo spinato: si dovrà vincere, e distruggere le trincee nemiche, e non lasciare vivi. A noi la morte, // non ci fa paura. [l’arditismo artistico delle neon-Avanguardie non avrà nessun riferimento “politico”, ripeto, nessuno]

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    • Caro Ivan Pozzoni,
      mi chiedo, e ti chiedo: Che cosa deve fare la nuova generazione degli “Arrabbiati” dopo la morte del «soggetto»?

      Con il “Dasein” Heidegger certifica la morte del «soggetto». Ad esempio, la poesia di un Roberto Bertoldo tutta protesa in avanti nella sua corsa anticipatrice verso la morte, tende a violare questo limite ricorrendo alla «bestemmia», con la decisione di pronunciare l’«indicibile». Tuttavia, l’ontologia del linguaggio poetico (come si diceva una volta) occulta il problema invece di rischiararlo: mette la propria «marca» là dove essa è. La domanda sull’essere non è niente altro che la questione delle problematizzazioni del linguistico. Allora non resta altro che spingere le possibilità della Lingua oltre i propri limiti. È questo il paradosso

      La poesia in realtà altro non è che una delle forme, forse la più problematica, di possibilizzazione della Lingua e del linguaggio poetico.

      Tutta la poesia (e il romanzo) del Novecento altro non sarebbe che un rifugiarsi nei «luoghi» dove il Dasein celebra la liturgia della propria presenza-assenza, ovvero, il palcoscenico della propria disparizione.

      Se cessa il domandare a che pro rispondere? Se la poesia diventa il luogo dell’asseribilità generalizzata, in cui non c’è domanda e non c’è risposta, quello che resta è una melassa viscida e grigiastra. Voglio dire che il «discorso poetico» abbonato alla asseribilità generalizzata, risulta monotono, monocorde, triste. Perché sia chiaro che, in assenza di domanda, non vi può essere un rispondere… il rispondere è già un atto vandalico (e immotivato), in quanto non richiesto: A chi rispondere? Perché rispondere? A che pro? E per conto di chi? E per quale domanda?…

      Ecco perché, a rigore, oggi il «discorso poetico» va posto dentro questa problematica dilemmatica: da un lato occorrerà formulare una domanda fondamentale e, dall’altro, occorrerà formulare una risposta fondamentale, o almeno abbozzarla. Fatto sta che l’odierna simil-poesia in circolazione adotta, come vera, una finzione: che l’«io» esista e goda di buona salute e possa scherzare e parlare e… «sputare». Quando invece dovrebbe essere chiaro che oggi un autore cosciente di quello che succede nella pagina bianca della poesia non può che mettere in scena dei sordo-muti che tentano di parlare ma che parlano, appunto, attraverso una finzione e una falsificazione. È il parlare del discorso poetico che diventa ogni giorno più problematico.

      Ed è appunto quello che cercano di fare i personaggi di Beckett: ridiventano muti e sordi di fronte al «mondo». E questo è il miglior modo di parlare.

      CIò che deve tentare di fare la poesia degli “Arrabbiati” della nuova generazione credo sia questo: ridiventare sordi e muti. Rispondere a quale domanda? E ricominciare daccapo. Ogni nuova generazione ha il diritto-dovere di ricominciare daccapo.

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      • Ivan Pozzoni

        Carissimo Giorgio Linguaglossa, su Heidegger – come diceva uno dei miei modelli di storia della filosofia, marginalizzato dall’Accademia italiana, il Prof. Mauro De Zan, discepolo di Dal Prà a Milano- c’è sempre da diffidare dai filosofi con l’h: nascondono, dietro l’oscurità del linguaggio, istanze metafisiche travestite da istanze anti-metafisiche. Come, il «soggetto» è morto? E, chi, dunque, come non «soggetto», affermerebbe la morte del «soggetto»? Chi, come morto, riuscirebbe ad affermare di esserlo, aldilà di Cristo e dei redattori di Atelier? Seguiamo i numeretti, fili d’Arianna di un discorso infattibile in una decina di righe: 1] Paradossi del nichilismo, in cui si impantanarono Heidegger, con l’ermeneutica 1, e Wittgenstein, con l’analitica 1, arrivando alle medesime conclusioni: «tacere» o versificare («La domanda sull’essere non è niente altro che la questione delle problematizzazioni del linguistico»). Il fatto è che, non soddisfatti del paradosso della verità, 2] ermeneutica ed analitica si tramutarono, con maestria da equilibriste, in ermeneutica 2 (Gadamer e Pareyson) e analitica 2 (Oxbridge Analytical Philosophy): dobbiamo evolverci anche noi, ché non si affermi mai che la filosofia dell’arte resti indietro rispetto alle altre branche della filosofia: «La domanda sull’essere non è niente altro che la questione delle problematizzazioni del cognitivo». Quindi: «La poesia in realtà altro non è che una delle forme, forse la più problematica, di possibilizzazione della Mente e dell’elaborazione poetica». 3] Poi – a detta dell’ermeneutica 3 (Habermas e Apel, col loro «intersoggetto» Levinas, col suo «soggetto etico», Manfred Frank, molto trascurato, col suo «soggetto artista») e analitica 3 (Tugendhat, Rorty, Putnam, Quine e Davidson)-, si scoprì, come nei romanzi noir dozzinali, che il «soggetto» non era affatto morto, né era stato ucciso dal maggiordomo: muoiono, al massimo, alcune ontologie del soggetto e altre vivono, in un fisiologico darwinismo ontologico. Ed è attraverso l’intersoggettività, il soggetto etico o il soggetto artista, con la «[…] privacy of the mind […]» davidsoniana, con il pragmatismo dubitante rortyano (senza considerare, nel nostro discorso, la ricchezza risolutiva di postmodernismo francese o poststrutturalismo o new epistemology), che sconfiggiamo il: «Se la poesia diventa il luogo dell’asseribilità generalizzata, in cui non c’è domanda e non c’è risposta, quello che resta è una melassa viscida e grigiastra. Voglio dire che il “discorso poetico” abbonato alla asseribilità generalizzata, risulta monotono, monocorde, triste. Perché sia chiaro che, in assenza di domanda, non vi può essere un rispondere … il rispondere è già un atto vandalico (e immotivato), in quanto non richiesto: A chi rispondere? Perché rispondere? A che pro? E per conto di chi? E per quale domanda?». E, infine, arrivano i sociologi [Bauman, Beck, Sennett, et alia], e i situazionisti, à la Debord, visti con estremo fastidio dai letterati e dai filosofi (tutti connessi indissolubilmente alla società moderna): i vecchi modi di «inter-soggettività» sono, statisticamente, frustrati e annichiliti, liquefatti e liquidati, da un super-capitalismo nomade interessato a dominare la c.d. norma della vita delle ontologie (alcune ontologie muoiono, altre sopravvivono), devastando le ontologie anti-capitaliste e dominando, da un inarrivabile cyber-spazio, le ontologie sopravvissute. Ciò che definisci «odierna simil-poesia in circolazione», semplicemente, adotta un «io» confezionato nelle assemblee delle s.p.a. multinazionali (dietro ordine di non si sa chi, vere eminenze grigio/ombra), conformato, creato altrove a scopi consumistici: non rispondere ad una simile «odierna simil-poesia in circolazione» non è non-dialogare, è dialogare. Detto in termini miei: la strategia del sordomuto funziona se il muto non è cosciente di essere muto e il sordo fa finta d’essere sordo. Perché se il muto è cosciente di essere muto e il sordo è incosciente di essere sordo – come avviene troppo spesso- saranno cazzi amari, detto in terminologia tecnica, amarissimi su tutto il fronte «poesia» italiana. Gli “Arrabbiati”, e dovrebbero esserlo tutti coloro che abbiano un minimo di coscienza (intelligenza) dello stato attuale del mondo, dovranno «ridiventare sordi e muti», se, e solo se, ridiventare sordi e muti significhi, nella tua terminologia, fare tabula rasa, buttare all’aria la scacchiera, liberare l’ontologia dalla dominanza dei super-capitalismi nomadi, ricostruire una nuova comunità intersoggettiva artistica, rifondare lo status dell’artista “Oltre il Brillo box”. Ogni nuova generazione ha l’onere (o-n-e-r-e, vocabolo dimenticato in società narcisiste liberatesi dalla nozione di responsabilità) di ricominciare daccapo! [Perdona la densità, spazi e tempi di risposta sono stati ristrettissimi].

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        • caro Ivan,

          ti rispondo con una poesia che mi è arrivata in un libro collettaneo su”l’amore dalla A alla Z” a cura di Vincenzo Guarracino. La poesia è di Anna Ventura:

          Come una fragile tazza
          a ricami verdi
          questo pomeriggio vuoto;
          che orribile spreco – imperdonabile –
          di splendore.

          È una poesia dove il «soggetto» non c’è, è scomparso (si è ritirato?, nascosto?, l’hanno ucciso?, non si sa). La poesia è la più bella del libro. È nitida. Dice l’essenziale, tramite un paragone con una «fragile tazza a ricami verdi»; parla di noi, del soggetto, anzi, dei «soggetti».

          Certo che il soggetto non è morto, né scomparso, come tu dici, è che bisogna andarlo a trovare sotto altre forme, è che bisogna dare una caccia senza requie al «soggetto». L’ontologia di Heidegger ha ucciso quel soggetto che poi la storia europea con la seconda guerra mondiale ha seppellito. L’opera di Heidegger è la più geniale mistificazione filosofica del Novecento. Tuttavia, dobbiamo ripartire da quella mistificazione. La poesia, quella vera, come quella di Anna Ventura, ci parla appunto di questa disparizione, di questo «vuoto» lasciato dal soggetto.

          Mi viene il sospetto che sia stato il Capitale a far smobilitare la vecchia metafisica del «soggetto» morto di “Essere e Tempo”. La storia dell’Europa post Seconda guerra mondiale è tutta qui: nel tentativo di riscoprire una nuova identità del soggetto.

          Ma i poeti se ne sono accorti? La poesia italiana ha mai cogitato intorno a questo problema? Lo ha mai colto?

          Anna Ventura, che è una poetessa di raffinatissimo conio, lo ha descritto molto bene.

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          • Ivan Pozzoni

            Caro Giorgio,
            nell’antologia di Guarracino non hai trovato niente di mio? Grazie dei complimenti! 🙂 Nella «poesia» di Anna Ventura – che, come tu ben sai, non valuto criticamente, essendo io un sociologo o antropologo della «poesia» (come sostiene l’amico Damiani), e non un critico, come sei tu, di gran talento- un «soggetto» c’è: Anna Ventura, Guarracino, i restanti autori, l’editore, il tipografo, i distributori, lo spedizioniere, i mille vettori
            che hanno consegnato i volumi, i lettori. Ecco il «soggetto» della poesia, e della poesia della Ventura.

            L’ontologia di Heidegger ha ucciso un «soggetto», cioè il «soggetto» della metafisica scolastica (come Severino ha tentato di uccidere il «soggetto» di ogni metafisica da Parmenide in avanti) [sconsiglio severamente di discutere di Heidegger alle 03.00 di notte, alla vigilia di un viaggio a Roma]: magari è stato indotto da ciò dal capitale moderno, diverso dal supre-capitalismo tardomoderno, che, invece, tende a dominare i tribunali di condanna a morte o alla sopravvivenza di ogni ontologia; o magari dal nazismo, interessato a delegittimare il concetto di «persona», fondamento dell’ontologia scolastica, favorendo un arbitrario Führerprinzip, malefica Grundnorm kelseniana dell’ordinamento totalitarista nazista; o, magari, semplicemente, Hannah Arendt lo tormentava come «[…] il demone si è impossessato di lui […]», rincoglionendolo. Sinceramente, non saprei: nei filosofi, filosofia è vita, e viceversa.

            La poesia italiana attuale – a mio dire- tende a non cogitare (intorno a nessuna problematizzazione). Come se il c.d. «poeta» fosse immune da ogni teoria sociologica, antropologica, ontologica, socio/giuridica, epistemologica; come se vivesse in un mondo, mondo 4, staccato dal «mondo evenemenziale» – 1, dal «soggetto» – 2 o dall’«oggetto» – 3. Perché la problematizzazione del «soggetto», olisticamente, è connessa alla problematizzazione dell’«oggetto» e, infine, al grande dibattito sulla «verità». Ecco, «la poesia italiana attuale» vive in un mondo 4, autoreferenziale, sagrediano, annunciatore di «verità» (annuntio vobis gaudium magnum; habemus papam, come mera regola eidetico costitutiva) 😉 E, infine, descrivere non è spiegare o giustificare.

            Banalizzando: «poesia» (?!) è descrizione? La capacità osservativa che Damiani imputa ai miei versi, cos’è, se riconosciamo valida la theory-laden observation hansoniana? È un’osservazione, o descrizione, che implica automaticamente il riconoscimento dell’esistenza di un «soggetto» e un «oggetto». Chiedi a Anna Ventura, che io non conosco, come la sua descrizione senza «soggetto» si confronti con la theory-laden observation di Hanson, e avrai la tua cartina di tornasole (che in molti, troppi, casi di «poeti» italiani è una cartina di tornaconto). Comprenderai se la sua è davvero una descrizione senza «soggetto» nata dal confronto con la theory-laden observation hansoniana o una merissima aha Erlebnis. Poi me lo fai sapere?

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  4. Ambra Simeone

    non solo c’è bisogno di giovani poeti arrabbiati che non sottomettano le loro parole al linguaggio poetico che oggi imperversa negli ambienti letterari o che non si sottomettano a poeti più affermati con i loro più biechi salamelecchi! c’è poi molto bisogno di una generazione più matura che li segua e li incentivi a crescere, come menti pensanti e non come mere copie del proprio ormai imposto personaggio, c’è più bisogno di questa generazione che li “diseduchi” (come dice Ivan) adeguatamente ad esser diversi da loro, diversi dal canone che loro stessi hanno contribuito a costruire, perché nella ripetizione dei canoni e delle tradizioni si avrà solamente un nuovo medioevo!

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  5. antonio sagredo

    Caro Valerio, scopro che sei giovanissimo: questo mi fa molto piacere, e allora, senza essere arrabbiato, come dice il buon diavolo di George L. e senza essere: Ivan: “can che abbaia non morde”,Ti invio con affetto questi versi miei, e non di altri:
    —-
    Prova n.° 2
    (estorsione)

    Io so come gli addii cantano la mia schiena scudisciata e le palpebre,
    – che i saluti non sono terrestri banderuole cadute in pozze di miserie,
    – che legioni d’ossa premortali avanzano con passi inamidati e gelidi sparati,
    ma cisterne di lacrime votive non cedono liquidi cristalli alle visioni!

    Da un tugurio in Via della Distruzione io saprò orgoglioso
    dire alle tortuose trame di un credo perverso e inquisitorio,
    e come il suo nero vuoto è la nemesi di un supplizio intollerante
    che traduce il dolore in vana supplica, o dolce confessione.

    Il mio cammino è un mosaico di acrostici ferini tra malati terminali
    che le carità scambiano per pestifere croci numinose risanate dai miracoli.
    Lo sciame dei commiati ripete una terrifica rinascita risorta e consacrata,
    come la minaccia di una infettata fede è l’armonia di una musica abortita!

    Saprò ancora disputare – in fiamme! – con l’insensato universo analogico
    di un Torquemada, che a me oppone l’insipida sapienza capovolta
    di una iena riciclata e il suo bavoso rimasticare il mio mistico midollo –
    ma tu, Sant’uomo, resti sempre un boia che fa schifo alla sua stessa merda!

    antonio sagredo
    Vermicino, 13 febbraio 2007
    ———————————————
    Quel giorno, nel padiglione “Urla Tumorali”,
    schivando i patimenti della crocifissione,
    afferrai per la gola Cristo, perché ancora una volta
    il suo verbo non fosse uno stucchevole inganno!
    Lo trascinai – io, un infermiere della carità, un passionario della vita! –
    come una benda sanguinolenta per strozzarlo lungo le scale di Giacobbe,
    attraverso corridoi purulenti, perché potesse, con le orbite svuotate,
    esangui, ammirare il risultato infame della sua sofferenza!

    Gridai:
    FATELO FUORI!
    Non lui!
    Ma chi sul capezzale è divorato dai decubiti!
    ma il desiderio filiale… l’estremo amore – indolore – è MIO!

    antonio sagredo

    Vermicino, 19/20/27 dicembre 2006

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  6. Caro Antonio, ti ringrazio come sempre della condivisione, che ho trovato estremamente pernea di significato dissacrante e tumultuoso: uno svisceramento più che legittimizzante. Le rispondo con una mia poesia.

    SQUARCI NEL NULLA

    Il buio mi intrappola
    In questo universo incenerito dalla maestria dell’ignoranza.
    Cenere spiaccicata ad una coscienza sporca,
    che si pulisce
    obliandosi
    nella luce delle sue grida.
    Fantasmagorie di altri tempi,
    di altri mondi,
    inesistenti.
    Cripte mentali,
    cimiteri del sé:
    non so vivere nel giorno della luce opaca,
    meglio vivere la notte dalla pelle sbiadita.
    Schizzano le mie parole,
    urla demoniache
    che illuminano la valle del precipizio umano:
    anima
    incancrenita
    dispersa
    dove il tutto tace,
    dove il niente domina,
    dove il mio grido
    muto
    viene sentito dai sordi,
    dove la mia invisibilità
    viene notata dai ciechi.
    Bipartizione di una verità eccelsa,
    visione utopica.

    Valerio Gaio Pedini

    ——————————————————————————–

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  7. Giuseppe Panetta

    In questo lunga intervista di Linguaglossa con Pozzoni si passa da toni “neon-fascisti” da chiacchiere di casa circondariale con progettazioni di future barbarie “attendiamo la carica: non dovranno esserci soldati impigliati nel filo spinato: si dovrà vincere, e distruggere le trincee nemiche, e non lasciare vivi. A noi la morte”, fino alla morte del “soggetto”. Resta solo l’oggetto, immortale, che ci sopravvive. La ciotolina di plastica con cui congelo il sugo avrà più vita di me, e questi occhiali-protesi vedranno un futuro che io non potrò vedere. “LED- avanguardia”, è tempo di risparmio energetico. Stasera è così, sono come “rover Curiosity” e cerco l’acqua su Marte, novello Radetzky.

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    • Ivan Pozzoni

      Gentilissimo, magari toni neon-«arditisti» o neon-«avanguardisti», mai neon-«fascisti»: essendo il neon-«fascismo» un «fascio in fasce», riserviamo ogni fascia alle «mummie» dell’artigianato italiano. Dall’arditismo non nacque il fascismo, e viceversa. Il fascismo nacque attraverso vie traverse di inenarrabile complessità. L’arditismo, in moltissimi casi, tentò di arginare il fascismo: mai lo fecero i baroni delle campagne (interesse) e i vecchi docenti da Liceo Classico (ignavia). Progettare barbarie – come scrivi- è assaltare i «musei», ricchi di «mummie», dell’arte contemporanea?

      […] Mettiamoci una croce sopra, dai!, e una fossa sotto,
      a vecchi rincoglioniti blateranti con lo stile di Zanzotto,
      c’è un ritorno ad Omero, buon’anima, nella corsa al precipizio
      delle giovani promesse della poesia contemporanea, settantenni da Odissea (nell’ospizio),
      i dati sociologici ci dicono che s’è alzata l’aspettativa di vita artistica,
      magari con pasticche di Viagra a sbloccare afflussi alla vena conformistica […]

      Chiaramente, se si è rimasti fermi alle categorie di un De Sanctis, non si è in grado di comprendere il cambiamento d’orizzonte antropologico e sociologico avvenuto dai tempi del duo Heidegger/Wittgenstein alla new sociology baumaniana (il neon è una soluzione aeriforme alla fluidificazione del reale). Ricordo, inoltre, che un LED – aldilà dall’essere un gas- è un «Light Emitting Diode, cioè un dispositivo optoelettronico che sfrutta le proprietà ottiche di alcuni materiali semiconduttori per produrre fotoni attraverso il fenomeno dell’emissione spontanea ovvero a partire dalla ricombinazione di coppie elettrone-lacuna»: io non sono votato al risparmio: in arte, scialo, lontano dall’essere risparmiatori, e non risparmio niente e nessuno (nemmeno me stesso, massimo Nessuno). Tu? Gli anni e anni di «risparmio», di norma, fruttano buone «pensioni». Precisazione: io non rilascio interviste, non essendo Belen. Magari, Giorgio…

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      • A me questa singolar tenzone sta piacendo, caro Ivan, non solo perché incollando i tuoi vari post posso avere un quadro dettagliato di te tra conscio e inconscio. Ma non voglio fare lo psicologo, ora e qui, perché dovrei gettar via la scala dopo esservi salito. Sapere che “piove sugli iniqui così come sui giusti” non m’appaga, o meglio mi ricorda la “Livella” di Totò”. La sociologia degli anni ’70 è altra cosa rispetto alle tue considerazioni sull’età media dei poeti, con viagra o cialis annesso e connesso. E allora? Benediciamo la chimica e anche tu la benedirai. Vedi carissimo Ivan, io ho 49 anni ma ne ho avuti 20 anche io e “potevo andar pe’ stracci” e l’ho fatto, ma tu a me dalla rupe non mi butti. Le mie rivoluzioni sono i frutti che tu oggi mangi. Peccato che allora erano pieni di sapore, i frutti, mentre quelli che mangi tu hanno polifosfati e polimeri. Ti chiedo scusa di questo lascito a nome di tutta la borghesia demo-cattolica affarista dei miei anni. Se poi ci metti le eco-mafie allora sì che se l’aspettativa di vita della mia generazione s’è allungata, quella della tua per contro s’accorcia. E’ un dato di fatto, anzi una questione meccanica. “A me tu dalla rupe non mi ci butti” e mai avrei concepito, alla tua età, di parlare con la saggezza del vecchio. “So incazzarmi anche io, e se mi metto di buzzo buono altro che avanguardia, faccio saltare i ceci sul fuoco. ” Classico esempio quest’ultimo di onnipotenza onnivora. I poeti li conosco e ne ho un simpatico orrore.
        Mi hai intenerito in alcuni tuoi post, tra spavalderia e paura. Ma sei come me, allora, come tutti noi, nonostante il tuo curriculum di tutto rispetto! Anche io ce l’ho il curriculum (me ne frega un cazzo anche se mi torna utile in certi casi).
        Io risparmio il respiro perché tu possa respirare meglio, figlio mio, e non perché mi frutterà una buona pensione, come dici tu. Andrò con la badante al lavoro fino a ottant’anni che pagherò col mio misero stipendio, e se schiatto prima all’INPS qualcuno festeggerà, oltre al tombarolo (scritto bene? Altrimenti l’ombra dell’Ambra chi la sente!)

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        • Ivan Pozzoni

          Carissimo, ho accettato le tue scuse via email. Paura? Sperimento ogni emozione: ho un caratteraccio. Paura non rientra nella mia enciclopedia Treccani. Poi, adesso, che siamo diventati grandi amici, chi ce lo fa fare di continuare a fingere di litigare? Poi, Giorgio, o Giorgina, ci sgridano. Prof. dr. ing. Ivan Pozzoni

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    • Ambra Simeone

      mi meraviglio piacevolmente (in senso artistico) che in Italia si possa ancora dare del fascista a “gente che scrive poesia” vuol dire che si è fatto colpo, si è punti il sedere a qualcuno (culo sarebbe troppo fascista come termine?) con tutte le vere barbarie (che non riconosciamo neppure più) che ci sarebbe da chiamare in tutti i modi possibili di cui forse l’ultimo termine è fascista (in senso politico sono molto meno compiaciuta), ma credo che a prescindere da tutto, questo non sia affatto il “tempo del risparmio energetico” almeno non per le nuove generazioni; le vecchie poi si sono talmente abituate a risparmiare che molto probabilmente risparmiando, risparmiando e considerando da anni solo questa alternativa, si porteranno bellamente impacchettate le loro “barbariche risorse” nella tomba senza lasciare nulla a chi verrà dopo di loro (sarà fascismo questo?) contando poi che ci sono anche le nuove generazioni rincitrullite e inclini al leccaculaggio (termine fascistissimo?) che sono abituate a pensare che stare dalla parte del più forte (non in termini culturali certo) sia la cosa più “conveniente” da fare per sopravvivere (che sia fascismo questo?)

      direi al signor Panetta di riconsiderare alla luce di queste mie ultime affermazioni, il significato del termine “fascista” che sta utilizzando in maniera impropria e troppo facilmente, magari potrebbe trovare maggiore chiarezza leggendo sul Treccani on-line oppure se è troppo futurista farlo (quindi fascista? altra banalità) sulla pagine di enciclopedie e/o vocabolari di carta stampata!

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      • Ma smetti di far la maestrella che qui non siam mica a scrostar il culo della padella.

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        • ambra simeone

          ah ah ah ah 🙂 lascio cadere la discussione, temo che il tuo nipotino di 5 anni si sia impadronito del computer! comunque più bravo il nipotino, sicuramente nato per le rime!

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          • Mio nipote ha 3 anni ed è un bambino felice. E’ un nativo digitale lui e sa già ricercare su youtube i cartoni che gli piacciono. Io parlo correttamente quattro lingue, il calabrese, l’inglese, lo spagnolo e forse l’italiano (almeno stando ai segnetti rossi che Lei così garbatamente annota nei miei post). Sono laureato in Lingue straniere, ho conseguito due master, l’ultimo alla Ca’ Foscari di Venezia in “Intercultural and Environmental Management of Schools” con una tesi su un Bilancio di Sostenibilità per un Istituto scolastico a basso costo e a grande impatto sull’ambiente (forse da qui il conio di LED-Avanguardia (?)). Mi occupo di formazione dei docenti delle scuole di ogni ordine e grado, in particolare sui temi dell’integrazione e inclusività degli alunni disabili (BES). Se non mi crede cara Signora Simeoni Le mando la documentazione con un atto di notorietà accluso sulla base dell’art. 47 del D.P.R. n. 445/2000. Sono attualmente docente comandato presso l’Ufficio Scolastico e collaboro come tutor coordinatore all’università, dipartimento di scienze della formazione e psicologia.
            Ho pubblicato tre libri di poesie (non eccelsi ma mi conforto col fatto che qui di grandi poeti non ne vedo) e due libri specifici sui temi inerenti la mia carriera di cui La informo sopra. Dipingo, da autodidatta e frequento assiduamente una piscina dove pratico sport non agonistico. Ho uno smartphone, non ho nessun blog personale e non sono iscritto a Facebook. Uso il MAC ( è un dato rilevante?) ma conosco bene anche il sistema operativo che fa capo a windows che uso regolarmente al lavoro. I miei punti critici? Il ruzzo che mi prende per noia quando leggo bischerate (sono calabrese di origine ma Firenze mi ha adottato) Scrivo anche in dialetto, difficilissimo, ma in una epoca di globalizzazione qualche verso nella lingua madre mi ripaga. Sono un buon partito, dunque, cara signora Simeone (il correttore automatico mi corregge spesso in Simeoni, sorry), oppure ho ancora qualche debito da scontare, magari a settembre? Mi dispiacerebbe tanto, tra qualche giorno parto per il mare, Jonio, c’ho pure casa lì. Che voglio di più?
            E Lei? Che mi dice Lei? Trovo Sue notizie sulla Treccani?

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            • Ambra Simeone

              non troverà mie notizie sulla Treccani, ma immagino che dopo questo “sfoggio di sapienza” (curriculum ?!? tatuaggi !?!? e i richiami fascisti ?!?) ci troverò sicuramente lei! 🙂

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  8. gentile Giuseppe Panetta, non so dove tu abbia letto di mie affermazioni di “progettazione di future barbarie”, queste, mi dispiace dirtelo, sono parole tue, tue illazioni. Ti pregherei quando devi criticare uno scritto, di citare per esteso le parole che vuoi criticare, questo è il comportamento corretto, credo, accettato da tutto il mondo letterario.

    Quanto all’altra affermazione di “neon-fascisti”, anche questa è una tua illazione, secondo la tua lettura della storia del Novecento forse anche Mandel’stam era fascista perché si opponeva al bolscevismo, e quindi sto bene in compagnia del poeta russo.

    Quanto, infine, all’altra affermazione tratta da uno scritto di Ivan Pozzoni, tu non sai distinguere la lettera delle parole dal loro senso figurato. E questo è un tuo limite, diciamo culturale.

    Quanto poi alla tua affermazione di cercare “l’acqua su Marte”, sei liberissimo di cercarla anche su Venere o su Giove.

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  9. Giuseppe Panetta

    Ieri sera c’avevo il ruzzo e come spesso accade (accidenti a me e quelle notti) nel far uscir di capo il ruzzo ho ruzzolato. Di certo ho animato una nottata e una mattinata, colpito un paio di pedine mobili e affondato qualche pensiero immobile. Mi si invita a bere la cicuta, a ricercare su wikipedia il significato di neon e di LED, di riferirmi alla Treccani, di stare attento ad usare certe parole di cui non conosco il significato e che sono innominabili in quanto non distinguo le parole dal loro senso figurato. Devo stare a segno altrimenti la “violentissima nuova generazione di poeti”, una gang-poetica o una gang di poeti (?) potrebbe distruggermi.
    Chiedo scusa per il “neon-fascismo” usato con fin troppa leggerezza, un po’ suggeritomi dalle parole di Pozzoni sull’arditismo poetico, mai avrei immaginato (pecco d’immaginazione, cito poco Kant, Nietzsche, mi crogiolo con Baudrillard, Edgar Morin, mi intendo un po’ di educazione e di formazione) che il ruzzo cavasse di testa una tale sequela di denunce. Ho movimentato la serata e il blog. Se volete lo rifaccio o sono stato bannerizzato?

    Giorgio, ho stima di te e lo sai, ma tu hai travisato le mie parole più di altri. Le tue sollecitazioni sulla sparizione del soggetto che hai posto a Pozzato sono l’unica novità di questi post tra voi due. Il soggetto che sparisce e in suo luogo l’oggetto (la tazza nella poesia che accoglie le labbra, i baci, rilascia il liquido soave….) si eclissa. Un tema novecentesco questo ma interessante. La risposta di Pozzoni? Se hai trovato qualcosa di suo nell’antologia di Guarracino (…)

    Caro Giorgio, continuo a cercare acqua su Marte, dove pare crescano bene anche gli asparagi, anche se purtroppo sguazzo come tutti noi nel “brodino dell’avanguardia”.

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    • ambra simeone

      a quanto pare il Signor Panetta dovrebbe capire anche con chi ha a che fare, può rifare a rifare tante e tante di quelle ruzzolate da sentirsi tutto lividi, che non sarà bannerizzato (forse bannato? ritorniamo al vocabolario Treccani) da nessuno (abituato ad altri blog probabilmente?) ma solo risposto se è possibile farlo (oppure una risposta potrebbe sembrare troppo fascista?)

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      • Le maestrine mi piacciono. Le preferisco non fasciste e non tatuate, possibilmente. Anche con Lei gentile Signora Simeone direi che è meglio chiudere qui e La ringrazio per i suggerimenti preziosissimi che mi ha dato. Vedrò di farne tesoro e oltre alla Treccani, al Devoto-Oli, integrerò lo studio con il dizionario della Crusca. Sarà mia cura farle sapere i progressi.
        Cordiali saluti

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  10. caro Panetta,
    della Antologia a cura di Guarracino ho commentato una sola poesia, quella di Anna ventura, che mi sembra la composizione più interessante e bella del libro. Non ho commentato le poesie di amici o conoscenti che pure nel libro ci sono perché di solito non scrivo commenti amicali diretti agli amici e agli affiliati degli amici come fan tutti. Questi sono comportamenti che lascio volentieri agli altri, in particolare alle pratiche di maneggioni della poesia che circolano un po’ dappertutto. E che magari ti fanno da suggeritore (tu sai a chi mi riferisco). Ti dò un consiglio: lascia che il maneggione si faccia avanti lui se vuole interloquire con me, che venga allo scoperto con nome e cognome.

    Quanto al “fascista”, l’epiteto affibbiatomi mi lascia indifferente, finora non lo avevo mai ricevuto da nessuno, anzi, la cosa la trovo alquanto buffa, ma credo che illumini di più il mittente che non il destinatario di quell’epiteto.

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  11. Giorgio non so di chi tu parli, di chi potrebbe essere il mio suggeritore. Forse qui si sta entrando in un terreno minato ed io, involontariamente, ho innescato l’ordigno. Non ho suggeritori dietro alle spalle, sono un solitario e i casini li combino da me senza l’aiuto di nessuno. Ripeto, non ho dato a te del fascista, perché dovrei? L’arditismo di Pozzoni e quelle affermazioni cruente stile squadrismo che qui riporto “attendiamo la carica: non dovranno esserci soldati impigliati nel filo spinato: si dovrà vincere, e distruggere le trincee nemiche, e non lasciare vivi. A noi la morte” mi hanno fatto rizzare i peli. Stop.
    Direi di chiudere qui questa storia. Ho già chiesto scusa per la leggerezza.

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    • Ivan Pozzoni

      Gentilissimo, chiudiamo, senza ritegno: con chi non è in grado di comprendere una metafora sull’arditismo artistico, e commenta ogni cosa a vanvera, senza essersi informato: non c’è interesse al dialogo. C’è il tuo interesse a fare casino (cosa che ha fatto, correttamente, far dire a Giorgio certe cose): stranissimo che un docente maxi-masterizzato, addetto ad insegnare ad altri docenti (?!), si comporti in questa maniera: senza documentarsi, senza stile, senza ironia. Comprendo il grave dissesto della scuola italiana. Nessuna minaccia, nessuna denuncia, nessuna ingiuria. Figuriamoci! Penso, semplicemente, che un maxi docente maxi masterizzato maxi curriculato (che tira fuori il curriculum, tipo “lei non sa chi sono io”), come sei, s’è reso ridicolo abbastanza, tra intellettuali reali…

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  12. gabriele fratini

    Letti i tre testi. Noto con piacere che Menna passando dai 14 ai 20 anni ha notevolmente asciugato il suo verso, dall’illegibile Ballata del vagabondo si passa ad una poesia almeno scritta bene. Temo che per i contenuti, ancora un po’ banali, bisognerà attendere qualche altro anno di maturazione. Un po’ meglio, ma non troppo, era Il labirinto dei rimorsi.

    Di Pedini devo ancora leggere una bella poesia.

    L’autore più solido al momento mi sembra Pozzoni, sebbene l’uso del turpiloquio non è molto riuscito nel suo testo, e un po’ ostentato. E’ un tipo di verso tratto dai poeti italiani dell’ultima (e penultima) generazione che a loro volta hanno ripreso dagli americani degli anni 60-70. Va bene, ognuno scrive come vuole. Un saluto.

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    • Ivan Pozzoni

      Gabriele, sbagli tutto. Pozzoni è un anti-autore fluido. Prometto di smettere di usare termini turpi come “accademici”, “dottori”, “borsa”, “finanza”, “Ligabue” e “Marco Carta”. I miei scarsissimi riferimenti anti-poetici? Marziale, Cecco, Villon e De André. Non mi sognerei mai di riprendere tratti dai poeti italiani della penultima/ultima generazione e dagli americani degli anni ’60/’70 (non li ho mai letti). Forse Bukowski, che è un mito di umanità (e che ho studiato a fondo, nelle sue suggestioni etico/giuridiche): a differenza mia, tuttavia, Bukowski era ignorante, commetteva errori di ortografia e grammatica, aveva scarse nozioni culturali. Era un alcolizzato: e io non ancora. Preferisco, mi ripeto, Marziale, Cecco, Villon e De André. magari un Burchiello, vah.

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      • Ivan Pozzoni non ha certo bisogno della mia difesa, ma Ivan è fuori discussione. Intellettuale fine. Io che conosco molta parte della sua produzione posso dire che la sua battaglia, provocatoriamente anti-poesia, la combatte con le armi della poesia. Un poeta metropolitano.

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      • gabriele fratini

        Pozzoni, ma perché parla di sé in terza persona?

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        • gabriele fratini

          Comunque lei non ha nulla degli autori classici che ha citato. Sto parlando del “verso”, cioè della forma. Legga bene prima di replicare in modo improprio.

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          • Ivan Pozzoni

            Fratini, mettici fantasia: “sebbene l’uso del turpiloquio non è molto riuscito nel suo testo, e un po’ ostentato”. Pozzoni risponde: “Prometto di smettere di usare termini turpi come “accademici”, “dottori”, “borsa”, “finanza”, “Ligabue” e “Marco Carta”. I miei scarsissimi riferimenti anti-poetici? Marziale, Cecco, Villon e De André”. Di forma del verso, argomento che non mi interessa, non tratto nella mia risposta. Io sono interessato ad altre cose, nella mia anti-poesia: contenuti, valenza “ironiste” e funzione di critica sociale.

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            • gabriele fratini

              Non mi piace il modo in cui si rapporta al lettore … e mi vien voglia di risponderle per le rime …

              Se rimani dentro il gregge
              col pastore e a capo chino
              sei protetto dalla legge
              che tutela l’agnellino. 🙂

              Sarà anche arrabbiato ma temo che sbagli bersaglio. Leggerò volentieri altri suoi testi se mi capiterà, ma non perderò più tempo a risponderle. Buone cose.

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              • Ivan Pozzoni

                Lo so: tendenzialmente, del lettore, me ne frego (è una conseguenza teoretica del complesso dibattito sul “pubblico della poesia”): rischierei di accontentare/scontentare, ogni volta, venti esseri umani volenterosi [con l’80% di meri addetti ai lavori (addetti ai lavori scritti)] Preferisco essere antipatico. Risponderei “per le rime”

                Se rimani dentro al gregge
                col pastore e a capo chino
                sei protetto dalla legge
                ma indifeso dall’inchino:
                [ché a cercare acclamazione,
                si finisce “a pecorone”.]

                Io non sono mai stato “arrabbiato”. Gabriele – come ti scrivevo- si scherza: io scherzo sempre, ed è lontano da me ogni atteggiamento offensivo. Per un medley delle mie sciocchezze ametriche, cfr. l’omaggio immeritato http://www.poesia2punto0.com/2014/10/17/quaderni-n-65-ivan-pozzoni/ . Ti ringrazio della “perdita di tempo” 🙂

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                • gabriele fratini

                  Certo neanch’io nella vita parlo come Raffaello.
                  Sono “pose letterarie”: tu hai assunto la posa dell’arrabbiato e io del cortigiano classicista. Queste due pose sono poco conciliabili 🙂

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                  • Ivan Pozzoni

                    Giuro che nel ruolo dell'”arrabbiato” mi ci ha messo Giorgio, che, da grandissimo critico e uomo di scherzo, mi ha categorizzato, avendo chiarissimo che soffro ogni categorizzazione (borgesianesimo). Io, se fossi davvero un “autore” (termine che considero anacronistico cfr. I. POZZONI, L’«opera d’arte» come filiera solidale, in “Il Guastatore”, Gaeta, deComporre Edizioni, n. II/1, 2014, 7-9), mi riconoscerei nella figura dell’ironiste (assolutamente non uroniste) derridaiano. Come mi scriveva via email un tizio che si crede un fenomeno della letteratura: “amo essere politically scorrect”, e, nella vita quotidiana, correttissimo con i buoni.

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        • Ivan Pozzoni

          Perché non credo nella logica classica del tertium non datur. La mia è una ripetizione narrativa. Al tuo: “L’autore più solido al momento mi sembra Pozzoni”, rispondo “Pozzoni è un anti-autore fluido”. Poi continuo con la 1a, senza grattare.

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          • gabriele fratini

            anti-autore … mah, lei scrive e parla di se stesso come i neoavanguardisti di 30-50 anni fa. Questa è la mia impressione.
            Marziale scriveva epigrammi, Cecco sonetti, Villon ballate… lontanissima da questi modelli, la sua scrittura tecnicamente mi ricorda semmai Pagliarani e anche qualcosa di Voce e Mesa. Ma non è mica un insulto, tra l’altro neanche mi dispiace. Un saluto.

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            • Ivan Pozzoni

              Fratini: si scherza. Magari – come dice, a volte, Giorgio- assomiglio a Corrado Govoni. Infatti scrissi, in merito, Il destino di Siface (https://lombradelleparole.wordpress.com/2014/10/09/tre-poesie-inedite-di-ivan-pozzoni-lalieno-il-destino-di-siface-la-fuga-di-mitridate-poesie-su-personaggi-storici-mitici-o-immaginari/). “Marziale scriveva epigrammi, Cecco sonetti, Villon ballate…”, io frammenti ametrici, o anti-poetici. Non sono – come scrivevo- molto interessato alla forma del verso, e sono un neoN-avanguardista [I. POZZONI, l’urgenza della battaglia aeriforme di ogni nuova «neon»-avanguardia, in “Rassegna solenne: miscellanea ungherese e italiana”, Ferrara, Osservatorio Letterario – Ferrara e l’Altrove/IdealPrint, 2014, 97888906992864, 468-471]. Per cortesia, Voce, no. Per il resto, gradirei ci dessimo del tu: se continui a darmi del lei, sono costretto a darti del Voi (cosa che non dispiacerebbe a Giorgio che, da ciò che leggo sopra, è un inguaribile “fassista”!). Ho dato mandato al mio illegale di costringere Panetta a querelarmi, in relazione agli insulti reciproci scritti ovunque in questo post. Comprendo che eravamo entrambi ventenni: ai ventenni occorre disciplina, rigore, e moderazione, sennò “[…] quelli che dicono cosí, finiscono quasi sempre o in carcere o allo spedale […].

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  13. Wow , ma questa è una pagina storica. Leggo solo ora i post. Qui il mio esordio nell’Ombra quando si pensava di me uno scagnozzo d’altri mandatari (ed ero già un lupetto solitario). Quanta acqua sotto i ponti. Provo tanta tenerezza.

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    • Ivan Pozzoni

      Hai visto? Oggi l’ho riletto anche io. Quanto eravamo ragazzi! Quasi come Menna e Pedini. Desideravo mandarti un’email, con un pizzico di magone: sapevo che ci saresti arrivato. Sei curioso come un gatto solitario.

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      • E’ Fratini il curioso. Gabriele, accidempoli, m’hai fatto commuovere, anche se fai bene a farci un po’ le bucce tutti.
        Ivan, siamo cresciuti notevolmente, fortunatamente, grazie anche a questo Blog.

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        • Ivan Pozzoni

          Sì: io ero 1,82; adesso sarò, tipo, 1,84. Però ora torno a smettere di disimpegnarmi e vado a comprendere come mai il 25 Luglio cadde il fascismo. Grandi!!!

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          • Molto semplice, perché dopo tre anni di guerra il paese era alle corde in tutti i sensi. Il bombardamento di Roma del 19 luglio, quartiere San Lorenzo soprattutto, fu un atto criminale paragonabile all’11 settembre 2001 che distrusse definitivamente la già traballante credibilità del regime. Infatti l’unico a presentarsi per confortare i residenti fu il papa, se solo un gerarca si fosse presentato lo avrebbero linciato, il regime aveva perduto ogni consenso. Dino Grandi, furbo di sette cotte, si infilò al momento giusto col suo odg a un gran consiglio che non si riuniva da una vita. Vittorio Emanuele III furbo di sette cotte cui non fregava niente del paese su cui regnava, era interessato sol oalla sua collezione di monete e agli interessi della sua dinastia di furfanti, colse l’attimo due volte, salvo darsela a gambe, il traditore, vile, fellone, poco prima dell’8 settembre. Molti soldati italiani sono stati giustiziati per molto meno. Badoglio era un arrivista, saldò il conto a Mussolini. Nel complesso, come tutt’ora, alla classe dirigente interessava più che altro salvarsi le chiappe e perpetuarsi e non certo la sorte dell’Italia. (rif. Povera Patria / Franco Battiato). Pozzoni dove ti mando l’iban per la consulenza?

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            • Ivan Pozzoni

              Io ribatto: Dopo Feltre, Mussolini decise di svincolarsi da Hitler, che odiava come non mai (fanatismo idiota sul fronte russo, che causò la sconfitta militare dell’Asse), e, nel colloquio del 22 Luglio mattina con Vittorio Emanuele III chiese una proroga di due mesi ai fini di attuare tale “sganciamento”. Per avere il placet di Vittorio Emanuele III, sovrano imbalsamato, aveva bisogno dell’investitura di un regime allo sbando, ed ebbe l’idea tragica di convocare il Gran Consiglio (organo meramente consultivo, a differenza dell’errata strumentale interpretazione di Grandi). Dominò, con la fenomenale intuizione del dilemma “guerra o pace?”, messa nel suo discorso introduttivo, il Gran Consiglio del 24 Luglio, fino all’intervento suicida di Scorza che, anziché limitarsi a ribadire – come d’accordo con Mussolini- il dilemma “guerra o pace?”, continuò imperterrito, fino ad essere brutalmente zittito, con la proposta di un rimpasto governativo inteso come provvedimento di partito. L’intervento di Scorza sorprese Mussolini e diede a Grandi e Bottai il destro di recuperare i moltissimi indecisi, che, come Cianetti e Ciano, stavano facendo dietro-front: Mussolini, compresa la disfatta, fece votare l’odg Grandi (e non l’odg Scorza, come da precedenza procedurale) e ne uscì sconfitto. Il 25 Luglio, non domo, tentò di convincere Vittorio Emanuele III della mera consultività del voto del Gran Consiglio (vero), ricevendo, in diretta, a Villa Savoia (17.00 p.m.), la notizia del defenestramento. Vittorio Emanuele III aveva deciso tutto in mattinata, dopo il colloquio notturno tra Acquarone e Grandi (che sconsigliò Caviglia e investì Badoglio); Mussolini non si attendeva minimamente l’arresto: il 25, infatti, si recò “non rasato” a Palazzo Venezia, firmò una grazia sulla fucilazione di due soldati dalmati, vide Bastianini, cercò di contattare Grandi, incontrò Hidaka, chiese (errore enorme) di incontrare Vittorio Emanuele III (che, in realtà, non aveva nessuna intenzione di convocarlo), andò con Galbiati a San Lorenzo in area Tiburtina, si recò a Villa Torlonia e, infine, fu ricevuto dal re a Villa Savoia. [Poi ebbe uno strano malore, e fu trasferito in auto-ambulanza alla caserma Podgora e a via Legnano, da dove, ingannato da una lettera infame di Badoglio, fu traslocato, via Gaeta, verso Ponza]. Le conclusioni: Vittorio Emanuele III un imbecille totale, inadatto a qualsiasi strategia; Grandi un intelligentissimo strumentalizzatore dell’errore mussoliniano di convocare il Gran Consiglio, interessato a sopravvivere al regime; Mussolini un baro, che, senza via d’uscita, stava riuscendo nel suo bluff (se non avesse fatto intervenire Scorza); Badoglio, una nullità, il “carrierista” sbagliato al momento giusto. Dietrologia: se Mussolini avesse vinto in Gran Consiglio, come avrebbe fatto a smarcarsi da Hitler entro Settembre (mancando, Bastianini, dei contatti di Grandi nel mondo anglo-sassone) e a garantire una resa non incondizionata all’Italia entro il 15 Settembre, contraria all’accordo di Casablanca? Bella domanda.

              Per l’iban, manda a Panetta, che, essendo operativo, ha senza dubbio piacere ad offrire questo giro!

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              • Passo volentieri la mano, consulenza non richiesta perché semplicemente so leggere anche io i manuali. Meno mi interessa la questione. Guardo piuttosto all’apparente minaccia dell’IS un po’ sottovalutata mi pare. Come al solito bisogna vederne ancora delle belle prima di muoversi.
                Villa? Le Vanità Verbali. Dovresti leggerle anche tu caro Ivan.
                Burri? Plastica, bitume e sacchi… Uno considerato scandaloso per l’uso di questi materiali.

                All’Iban preferisco l’Ikebana

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  14. Caro Ivan Pozzoni,

    tra qualche giorno posterò un articolo sul più grande autore di anti-poesia del Novecento, un certo Emilio Villa di cui uscito da poco un elegante volume di 770 pagine per L’Orma editore di Roma a cura di Cecilia Bello Minciacchi che raccoglie testi mai riuniti in volume. Sarà una buona occasione per mettere a fuoco il concetto di anti-poesia.

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    • Ivan Pozzoni

      ‘M’eren magher i sirès
      sii la crusta di to dent
      quand burlaven già di ses
      i magiuster in del vent,
      i magiuster cun la féver,
      poca féver in del cu,
      cume un graninin de péver
      su la lengua, quand ‘gh’è ‘l su!
      Sota i nivur de benìs
      gh’è ‘na lùdura che sgura:
      un giustrà de la malura,
      senti sbaten i camìs
      tacà sii dent in del log
      ch’em vendii (ma l’era bIo,
      i tass eren tropp; fulco
      ghe n’è pu) per menà i rod..
      I regiù ch’in curs in piasa
      cum la basla del risòtt,
      cui neùd in de la fasa,
      cunt i occ vusaven: «Sott
      fio, sott, l’è l’ultim, se mor. Vila,
      Vila fio, bagài del Ginòtt,
      tègness driss, sta driss in fila
      gh’è na nebia ch’el par nott.
      ‘Na bausa de lumaga
      se scupàss una lusnada
      (tempuràl perdu de strada) .
      per adèss l’è la tua paga.
      in del briisch de la carisna
      che incurona la bicoca,
      che in del col, o in la sacocia
      la te striisa e la piirisna».
      Nun che ‘ndavum a Milàn,
      adrè ‘l sego di prim rutài,
      serum san, e bei e san
      eren i occ, cume i curài;
      serum prunt, cunt i cavèi
      sbarlusent tut de ragnèr;
      niin che ‘ndavum sensa ghèi
      e in del sae picui de pér.
      I prim cà che cuminciaven
      a tremà dent in del fusch,
      in d’un sogn, come in d’un busch
      tuti i ari me guardaven:
      i butègh cun giò la clèr
      e la radio sui finèster
      cui tendinn: i scarp de fèr
      barbutàven sul calcèster.
      Ma perchè ‘nca l’ignuransa,
      come l’aqua in d’un topa
      che se sbircia de distansa
      la parèss minga anmò tropa,
      mi strengevi dent in man
      tut el me nativ talènt;
      el me ben, la mia dota: cent
      spillo de gagia, e inscì a Milàn
      sùnà su sui dischi pass
      i cansùn de Cinisèll,
      i cansùn di sabet bass,
      de l’Ufisi e de Munbèll,
      i cansùn de la mia luna
      durmentada sura i tècc
      ‘me na tusa in la sua cuna,
      cume ‘l latt dent in di pècc.

      Grande intellettuale, il Villa. Finì, anche, in forma di errore (stupendo) ne Il Manifesto della razza ed ebbe somma influenza su un artista interessante come Burri.

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  15. Valerio Gaio Pedini

    chi ha detto che faccio poesia? non mi definisco poeta. Sono un attore adattato alla scrittura versa-tile. Fratini, io ho vent’anni, quindi è comprensibile che scriva castronerie, lei ne ha 16 in più, ma è direi che è rimasto sottosviluppato come Pupo.

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