
i-grattacieli-di-new-york

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Da uno scritto di Luigi Fontanella: «Alfredo si trova rinchiuso, già da qualche anno, nel penitenziario di Procida, vittima di imputazioni infamanti. L’accusa è un omicidio avvenuto nel dicembre 1944 di un partigiano veronese, Aurelio Veronese, detto “il biondino”, a opera di tale Carella, fascista e capo della milizia ferroviaria. Pur essendo del tutto estraneo a quest’omicidio, De Palchi viene accusato e processato. Come ho già raccontato altrove (mi permetto rinviare di nuovo al mio volume La parola transfuga, pp. 178-183), a monte di questa infame calunnia c’era stata, dietro la spinta di altri affiliati, l’insipiente militanza giovanile di Alfredo, allora diciassettenne, nelle file delle Brigate Nere, capitanate da Junio Valerio Borghese, uno dei leader più combattivi della Repubblica Sociale Italiana. […] Allo sbrigativo processo svoltosi a Verona nel giugno 1945, in pieno clima di caccia alle streghe, De Palchi, del tutto innocente, fu condannato all’ergastolo (il pubblico Ministero aveva chiesto la pena di morte!). Un processo-farsa che gli costò vari anni di prigione, prima al carcere di Venezia, poi al Regina Coeli di Roma, poi a Poggioreale a Napoli, poi al penitenziario di Procida ( 1946-1950), infine a quello di Civitavecchia (1950-1951). Un’esperienza durissima che dovette prostrare il nostro poeta e che avrebbe segnato per sempre anche la sua poesia, se è vero che quell’esperienza non solo è presente nella sua primissima produzione (strazianti e taglienti i versi, oltre che di La buia danza di scorpione, anche del poemetto Un ricordo del 1945, che tanto avrebbe colpito Bartolo Cattafi che lo presentò subito a Sereni […]) ma ricompare con tanto di nomi e cognomi nel recentissimo nucleo Le déluge, posto a chiusura del suo ultimo, intensissimo libro Foemina Tellus. Un’esperienza atroce che l’avrebbe segnato profondamente ma che gli avrebbe anche fornito la stoica energia a resistere, a reagire, a crescere, a leggere, a studiare, e infine a scrivere la sua poesia di homme revolté. Credo che chiunque si accinga ad affrontare la lettura delle poesie di De Palchi non debba mai prescindere da questa terribile vicenda biografica, tanto la poesia che da essa è scaturita ne è intrisa dalle prime prove fino alle ultime. Un’esperienza crudele che, a valutarla oggi dopo più di mezzo secolo, sembra perfino beffarda se si pensa che il nazifascista Junio Valerio Borghese, che pure era stato uno dei capi indiscussi della fronda repubblichina, al processo intentato contro di lui per crimini di guerra, sempre a Verona tra il ’46 e il ’47 (il processo si concluse esattamente il 17 febbraio 1947), riuscì a cavarsela con soli quattro anni di carcere, gli ultimi dei quali proprio a Procida, nello stesso penitenziario dove si trovava rinchiuso De Palchi. Sul quale, sia detto per sgombrare qualsiasi taccia posteriore di collaborazionismo, venne in seguito sciolta ogni accusa e provata la più totale innocenza. Mi riferisco alla revisione definitiva del processo, che avvenne nel 1955, presso la Corte di Assise di Venezia, alla cui conclusione De Palchi, assistito dagli avvocati De Marsico e Arturo Sorgato, fu prosciolto da qualsiasi accusa e assolto con formula piena”». (n.d.r.)

Grattacieli di New York

alfredo de Palchi
I testi che seguono sono tratti da Alfredo De Palchi Foemina tellus Joker, 2010.
Sembri fragile
ma quale patrizia barbarossa
di unica natura
sorpassi Verona e la “bassa” che mi vide
saltare i fossi con la pertica;
ora macilenta
a mani bianche di guanti
mi vuoi conquistare tra questi banchi di frutta
passo dopo passo
penetrando ancestralmente il corpo
che nel miasma di spezie tu smanii
di sbranare.
(Estate 2005)
*
Sono la coscienza
della voce che perpetua il corpo
aggredito dall’immagine a somiglianza
di chi insulta
e in me s’incarna in lezzo di cadavere
(19 settembre 2005)

Dimentichi
che potrei espandere il vortice
dentro l’oceano del tuo corpo smaccato
mosso
tracotante di sbalzi improvvisi
delle verdi vallate che scrosciano
rotolando cupe di acqua
cupa incessante
che ti schiuma la concimaia sterile
(3 marzo 2006)
*
Autunno
preocemente m’inganni con un giorno di luce
e un altro di acqua che svuota le panche
della piazza e vento
che spiazza i colombi le passere
e scombuglia gli scoiattoli tra ventagli
di ramaglie tenaci a tenersi un po’ di foglie
non come tu sei
io sono tale e qual ero nel tuo corpus
mistico di vulva
un giorno così e un altro così
senza la fretta di arrivare là dove tu arrivi.
(17 ottobre 206)
*

Antonella Zagaroli con Alfredo de Palchi, Venezia 2011
Tra questa palude
di fiumi che scorrono detriti e veleno
e la sinergia dell’oceano
l’acqua spiove dagli alberi in autunno
e mi sciacqua la morte
che si sconta vivendo nelle fogne
dall’alba
all’orizzonte del tramonto
perch’io viva nel decesso la sua vita.
(5 novembre 2006)
*

Alfredo D Palchi e Giorgio Linguaglossa, Roma, 2011
M’indovini
felice nella confusione di libri
carte e foto del futuro eterno
in cui decido di sporgere la mano
per assistere la tua faccia che mi fissa
io assetato
bocca aperta a ricevere la tua saliva
mista di sale sperma vaniglia fuoco
quando un grido di sorpresa
mi rapprende il sangue
scaccia la mano
per meglio serrarmi negli occhi pazzi
che inceneriscono la carta
dove tracciavo una curva
per dove e come indovinarmi.
(24 novembre 2006)
*
Saprò negarti come Simone
tre volte nella sinagoga della tua carcassa
non sei tu Cristo, è lei,
subdola esistenza
che negherò a bocca marcia
all’ultima proprio al’ultima cena di sapori
che lievitano nel cibo
di cosce lucide d’ambra
di seni svuoti
di pancia squarciata per entrare completo
nel centro della concimaia che mi marcisce
per germogliare un’altra mia nascita
imprevedibile
saprò negarti senza una parola
gli occhi entreranno profondi nelle occhiaie
dicendo le verità indivisibili della mia morte
(1 dicembre 2006)
*

alfredo de palchi, giorgio linguaglossa, claudia marini e luigi manzi – Roma, 2011
Fredda
brilla di sole freddo al mattino
la zolla capovolta
con svolazzi di passere
su mucchi di letame che fumano l’odore
astringente
intorno gli spineti fioriti di ghiaccio sulle spine
i cortili medievali
che ti svuotano ai campi dove nei solchi
calchi il brulichio di verminai
di semenze
che a caso crescono gramigne
fiori campestri
spighe di grani selvatici
e papaveri per sfogliarsi
alla tua presenza losca di nero
nella calura che vibra
di clangori
dissonanze d’ogni
città al di là del fiume
(4 dicembre 2006)
*
Impensabile
quel buco tremendo di spazio
svuoto di stelle galassie buchi neri nello spazio
da confrontare al deserto che tu sei
esangue
snervata d’ogni verde e germe
solo sabbie e rocce
nell’aridezza agghiacciante del vuoto
dove tu residuo di niente circoli
la tua curva perpetua
senza mai scostarti dalla ignobile
presunzione.
(28 agosto 2007) Continua a leggere →
SULLA POESIA di ALFREDO DE PALCHI: Antologia poetica da “Foemina tellus” (2010) L’ESTETICA DELLA DENUNCIA – Commento di Antonio Sagredo. Parte IV
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Da uno scritto di Luigi Fontanella: «Alfredo si trova rinchiuso, già da qualche anno, nel penitenziario di Procida, vittima di imputazioni infamanti. L’accusa è un omicidio avvenuto nel dicembre 1944 di un partigiano veronese, Aurelio Veronese, detto “il biondino”, a opera di tale Carella, fascista e capo della milizia ferroviaria. Pur essendo del tutto estraneo a quest’omicidio, De Palchi viene accusato e processato. Come ho già raccontato altrove (mi permetto rinviare di nuovo al mio volume La parola transfuga, pp. 178-183), a monte di questa infame calunnia c’era stata, dietro la spinta di altri affiliati, l’insipiente militanza giovanile di Alfredo, allora diciassettenne, nelle file delle Brigate Nere, capitanate da Junio Valerio Borghese, uno dei leader più combattivi della Repubblica Sociale Italiana. […] Allo sbrigativo processo svoltosi a Verona nel giugno 1945, in pieno clima di caccia alle streghe, De Palchi, del tutto innocente, fu condannato all’ergastolo (il pubblico Ministero aveva chiesto la pena di morte!). Un processo-farsa che gli costò vari anni di prigione, prima al carcere di Venezia, poi al Regina Coeli di Roma, poi a Poggioreale a Napoli, poi al penitenziario di Procida ( 1946-1950), infine a quello di Civitavecchia (1950-1951). Un’esperienza durissima che dovette prostrare il nostro poeta e che avrebbe segnato per sempre anche la sua poesia, se è vero che quell’esperienza non solo è presente nella sua primissima produzione (strazianti e taglienti i versi, oltre che di La buia danza di scorpione, anche del poemetto Un ricordo del 1945, che tanto avrebbe colpito Bartolo Cattafi che lo presentò subito a Sereni […]) ma ricompare con tanto di nomi e cognomi nel recentissimo nucleo Le déluge, posto a chiusura del suo ultimo, intensissimo libro Foemina Tellus. Un’esperienza atroce che l’avrebbe segnato profondamente ma che gli avrebbe anche fornito la stoica energia a resistere, a reagire, a crescere, a leggere, a studiare, e infine a scrivere la sua poesia di homme revolté. Credo che chiunque si accinga ad affrontare la lettura delle poesie di De Palchi non debba mai prescindere da questa terribile vicenda biografica, tanto la poesia che da essa è scaturita ne è intrisa dalle prime prove fino alle ultime. Un’esperienza crudele che, a valutarla oggi dopo più di mezzo secolo, sembra perfino beffarda se si pensa che il nazifascista Junio Valerio Borghese, che pure era stato uno dei capi indiscussi della fronda repubblichina, al processo intentato contro di lui per crimini di guerra, sempre a Verona tra il ’46 e il ’47 (il processo si concluse esattamente il 17 febbraio 1947), riuscì a cavarsela con soli quattro anni di carcere, gli ultimi dei quali proprio a Procida, nello stesso penitenziario dove si trovava rinchiuso De Palchi. Sul quale, sia detto per sgombrare qualsiasi taccia posteriore di collaborazionismo, venne in seguito sciolta ogni accusa e provata la più totale innocenza. Mi riferisco alla revisione definitiva del processo, che avvenne nel 1955, presso la Corte di Assise di Venezia, alla cui conclusione De Palchi, assistito dagli avvocati De Marsico e Arturo Sorgato, fu prosciolto da qualsiasi accusa e assolto con formula piena”». (n.d.r.)
Grattacieli di New York
alfredo de Palchi
I testi che seguono sono tratti da Alfredo De Palchi Foemina tellus Joker, 2010.
Sembri fragile
ma quale patrizia barbarossa
di unica natura
sorpassi Verona e la “bassa” che mi vide
saltare i fossi con la pertica;
ora macilenta
a mani bianche di guanti
mi vuoi conquistare tra questi banchi di frutta
passo dopo passo
penetrando ancestralmente il corpo
che nel miasma di spezie tu smanii
di sbranare.
(Estate 2005)
*
Sono la coscienza
della voce che perpetua il corpo
aggredito dall’immagine a somiglianza
di chi insulta
e in me s’incarna in lezzo di cadavere
(19 settembre 2005)
Dimentichi
che potrei espandere il vortice
dentro l’oceano del tuo corpo smaccato
mosso
tracotante di sbalzi improvvisi
delle verdi vallate che scrosciano
rotolando cupe di acqua
cupa incessante
che ti schiuma la concimaia sterile
(3 marzo 2006)
*
Autunno
preocemente m’inganni con un giorno di luce
e un altro di acqua che svuota le panche
della piazza e vento
che spiazza i colombi le passere
e scombuglia gli scoiattoli tra ventagli
di ramaglie tenaci a tenersi un po’ di foglie
non come tu sei
io sono tale e qual ero nel tuo corpus
mistico di vulva
un giorno così e un altro così
senza la fretta di arrivare là dove tu arrivi.
(17 ottobre 206)
*
Antonella Zagaroli con Alfredo de Palchi, Venezia 2011
Tra questa palude
di fiumi che scorrono detriti e veleno
e la sinergia dell’oceano
l’acqua spiove dagli alberi in autunno
e mi sciacqua la morte
che si sconta vivendo nelle fogne
dall’alba
all’orizzonte del tramonto
perch’io viva nel decesso la sua vita.
(5 novembre 2006)
*
Alfredo D Palchi e Giorgio Linguaglossa, Roma, 2011
M’indovini
felice nella confusione di libri
carte e foto del futuro eterno
in cui decido di sporgere la mano
per assistere la tua faccia che mi fissa
io assetato
bocca aperta a ricevere la tua saliva
mista di sale sperma vaniglia fuoco
quando un grido di sorpresa
mi rapprende il sangue
scaccia la mano
per meglio serrarmi negli occhi pazzi
che inceneriscono la carta
dove tracciavo una curva
per dove e come indovinarmi.
(24 novembre 2006)
*
Saprò negarti come Simone
tre volte nella sinagoga della tua carcassa
non sei tu Cristo, è lei,
subdola esistenza
che negherò a bocca marcia
all’ultima proprio al’ultima cena di sapori
che lievitano nel cibo
di cosce lucide d’ambra
di seni svuoti
di pancia squarciata per entrare completo
nel centro della concimaia che mi marcisce
per germogliare un’altra mia nascita
imprevedibile
saprò negarti senza una parola
gli occhi entreranno profondi nelle occhiaie
dicendo le verità indivisibili della mia morte
(1 dicembre 2006)
*
alfredo de palchi, giorgio linguaglossa, claudia marini e luigi manzi – Roma, 2011
Fredda
brilla di sole freddo al mattino
la zolla capovolta
con svolazzi di passere
su mucchi di letame che fumano l’odore
astringente
intorno gli spineti fioriti di ghiaccio sulle spine
i cortili medievali
che ti svuotano ai campi dove nei solchi
calchi il brulichio di verminai
di semenze
che a caso crescono gramigne
fiori campestri
spighe di grani selvatici
e papaveri per sfogliarsi
alla tua presenza losca di nero
nella calura che vibra
di clangori
dissonanze d’ogni
città al di là del fiume
(4 dicembre 2006)
*
Impensabile
quel buco tremendo di spazio
svuoto di stelle galassie buchi neri nello spazio
da confrontare al deserto che tu sei
esangue
snervata d’ogni verde e germe
solo sabbie e rocce
nell’aridezza agghiacciante del vuoto
dove tu residuo di niente circoli
la tua curva perpetua
senza mai scostarti dalla ignobile
presunzione.
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