Ut pictura poesis. E Leonardo ha scritto: «La pittura è una poesia muta e la poesia è una pittura muta». Ogni natura morta ci parla, parla di noi, che siamo fuori quadro. Essa è assenza che attende la presenza umana, o meglio, è una presenza umana che è scomparsa, ed è rimasta l’assenza. E l’assenza ci parla con il proprio apparire, il proprio essere là.
Steven Grieco
a Bombay
Meravigliati, entrammo nella poesia
proprio quando questa si apriva:
una stanza in cui stava sul tavolo
un vaso di fiori freschi, divinità
inconsapevoli venute da un prato lontano;
il divano e i suoi cuscini vivaci,
una veena, che adesso compariva
sul tappeto;
l’aria leggera, piena del librarsi
di pensieri appena dischiusi: e l’attesa
di una presenza incantevole.
In questa estrema chiarezza, difficile
dire da dove il poeta osservava
la scena,
la sua attenzione in bilico
tra il freddo calcolo e il sogno
(trad. dall’inglese dell’autore)
*Nota: la veena è uno strumento a corde.
Still Life
Nei giorni estivi, quando gli alberi
persero le foglie, e le stanze
si moltiplicarono in altre stanze,
io ero sveglio
tu venisti in punta di piedi
ti sdraiasti accanto a me,
smarrita tra i miei fogli
Cercando il riverbero muto nelle parole,
non seppi coglierlo nel tuo silenzio iridato,
mentre giacevi sul lenzuolo rosso-scuro,
eri così assorta
sembrava dormissi
Provai tenerezza per il tuo corpo inquieto,
il sorriso coraggioso
quando io uscii nella notte
In questa devozione totale
sul viso mi spuntarono mille occhi
mentre tu dormivi,
tornavi
dentro la tua ombra in fiamme*
(trad. dell’autore)
*UNA NOTA
Quante volte ho intuito la profonda aderenza della vita al mito.
Un giorno scrivi una poesia in inglese, mesi dopo la traduci in italiano. In inglese la poesia è una poesia di addio, estrema poesia d’amore. Mentre lavori sulla traduzione – in piena libertà, così da permettere al significato di liberarsi dalle corrispondenze troppo rigide tra parole inglesi e parole italiane: mentre fai questo, ti rendi conto, stupito, che la poesia esprime una volta ancora la terribile storia di Orfeo. I segni sono infallibili – l’uomo che cammina avanti nell’oscurità (l’incertezza della sua vocazione poetica), la donna che lo segue (il suo muto tentativo di vincere l’impenetrabilità di lui), il mondo degli inferi, l’incendio (l’irrimediabile spaccarsi di un rapporto tra uomo e donna), e infine la separazione – lui va avanti e lei rimane dietro, avviluppata nelle fiamme della dimenticanza.
Eppure tu avevi in mente tutt’altra cosa, volevi solo dire di un rapporto fra due persone, come andò che quel vincolo così come era esistito fino ad allora si spezzò, probabilmente e soprattutto a causa della vocazione che nel poeta distrugge ogni calore umano. Quando avverti la presenza di questo doppio binario – da una parte la vita reale e vissuta, e dall’altra la potenzialità sfuggente, caleidoscopica del mito, che ne è l’ombra – non dubiti che in un altro tempo sia esistito o esisterà un senso del destino umano più grande di quello che normalmente avvertiamo. Tale senso si manifesta negli stampi infinitamente elastici e sempre cangianti della narrazione mitica: e in un attimo ci appare come totalità dell’esperienza umana.
Se ti puoi avvicinare ad esso: girarti di colpo, con un brivido riconoscere ciò che è assolutamente nuovo e profondamente strano – se puoi fare questo, allora saprai anche che il mito illumina volta dopo volta le nostre orme, il nostro stesso essere. Quale che sia, e ovunque realmente stia, questo nostro essere.
Antonella Zagaroli
“Tre rose”
Rosa aborigena
Una veste davanti al volto
impallidito. Fiore senza nome
alla donna ondeggiano i riccioli
sorride a chi si presenta a piedi nudi
per rispetto delle anime antenate.
Al centro del villaggio
sotto il tetto del dio
una valigia, due candele accese
Rosa antico
Seno di primi vagiti per la sconosciuta
nei giardini di tè, vaniglia e cannella
le gambe si riposano
sotto banani e bambù
sfiorano i corpi agli elefanti.
la scalata agli avi.
Rosa allo specchio
Profumo di isola sognata
abituo l’assenza ad ogni suo fruscio
le giunture si estendono senza traumi
la corolla ascende
discende
Flavio Almerighi
sull’amore sfinito
Piero si vede con dio
nei bicchieri di glengrant,
fuma fino al filtro
dentro una cabina senz’anima
e gettoniera sventrata,
magro scannato, niente impermeabile
la fede portata a stringere
da un orafo tornato al mare
per tracciare segni sulla schiuma,
la serranda chiusa come un uovo,
e lui dentro a fare nembo kid,
col buon senso di successi estivi
modellati sulle anche di due amiche
in spiaggia a farsi spine
per il solito di passaggio che,
piccolo com’è sembra lo zero,
aspetta un giorno
va via deluso, smarrito
nella natura morta
senza fine degli ombrelloni,
un po’ di brezza sospira
sull’amore sfinito
bagni Eden
qua non è più mare
solo vernice di barche
e mignotte slave
entrate in acqua
a vostro rischio,
nessuno vi salverà.
Turisti senza amore
tra le onde fangose
assaggiano brezza salata
qualcuno ha dimenticato
le scarpe sul molo
Giuliana Lucchini
Natura morta
Fra una finestra e l’altra
il suo profilo severo e di trequarti
la bella bocca di bacca rossa.
Fra il vero e il falso il colore della mela
e con il gelo di gota immobile, la
solitudine.
Guarda lontano. L’albero spoglio
di tutti i frutti cede al vassoio una dolcezza
che non sarà più scossa.
Natura morta natura viva,
fra l’una e l’altra neppure uno iato:
silente fiato.
Potenze Principati Dominazioni.
Un verso finito. Occhio fisso, la mutezza
del servizio.
Come hai potuto irrigidirti,
felicità – senza toccarti,
d’ali ti fai l’ombra leggera.
(inedito)
La lentezza della beltà.
Separarsi.
Spararsi. Un colpo e basta.
Con il fucile. Fra costole. Cadere.
Nella culla del letame.
Poi camminare. Camminare è bello.
E’ necessario.
Stormi di storni, il roteare.
Orecchio mozzo, fiato corto
il sangue a caglio fra sciarpe. Nessuno
che ti conosca. Andare.
Per la via nota, fuori campo.
Alla città di luce. Alla salita.
.. rue Lépic. Giungere al portone.
Aprire. Salire le scale fino al quarto piano.
Girare la chiave nella porta.
Entrare. Chiudere.
Disordine.
In ordine soltanto i quadri –
quadri appoggiati a terra, quadri alle pareti
quadri allineati. Nella stanza, di nebbia.
Arrivare al letto. Un’eternità.
Distendersi. Restare immobile. Pensare (a cosa ?)
Respirare.
Morire dopo quattro giorni. Continua a leggere