Archivi del giorno: 9 giugno 2014

POESIE EDITE E INEDITE SUL TEMA DELLA NATURA MORTA di Steven Grieco, Antonella Zagaroli, Flavio Almerighi, Giuliana Lucchini, Silvana Baroni, Pasquale Vitagliano

Jeff Koons Ballon dog

Jeff Koons Ballon dog

 Ut pictura poesis. E Leonardo ha scritto: «La pittura è una poesia muta e la poesia è una pittura muta». Ogni natura morta ci parla, parla di noi, che siamo fuori quadro. Essa è assenza che attende la presenza umana, o meglio, è una presenza umana che è scomparsa, ed è rimasta l’assenza. E l’assenza ci parla con il proprio apparire, il proprio essere là.

 

 

 

Steven Grieco

Steven Grieco

Steven Grieco

a Bombay

Meravigliati, entrammo nella poesia
proprio quando questa si apriva:

una stanza in cui stava sul tavolo
un vaso di fiori freschi, divinità
inconsapevoli venute da un prato lontano;
il divano e i suoi cuscini vivaci,
una veena, che adesso compariva
sul tappeto;

l’aria leggera, piena del librarsi
di pensieri appena dischiusi: e l’attesa
di una presenza incantevole.

In questa estrema chiarezza, difficile
dire da dove il poeta osservava
la scena,
la sua attenzione in bilico
tra il freddo calcolo e il sogno

(trad. dall’inglese dell’autore)

*Nota: la veena è uno strumento a corde.

 

Still Life

 

Nei giorni estivi, quando gli alberi

persero le foglie, e le stanze
si moltiplicarono in altre stanze,
io ero sveglio

tu venisti in punta di piedi
ti sdraiasti accanto a me,
smarrita tra i miei fogli

Cercando il riverbero muto nelle parole,
non seppi coglierlo nel tuo silenzio iridato,
mentre giacevi sul lenzuolo rosso-scuro,
eri così assorta
sembrava dormissi

Provai tenerezza per il tuo corpo inquieto,
il sorriso coraggioso
quando io uscii nella notte

In questa devozione totale
sul viso mi spuntarono mille occhi

mentre tu dormivi,
tornavi
dentro la tua ombra in fiamme*

(trad. dell’autore)

 

foto di Steven Grieco

foto di Steven Grieco

*UNA NOTA

Quante volte ho intuito la profonda aderenza della vita al mito.
Un giorno scrivi una poesia in inglese, mesi dopo la traduci in italiano. In inglese la poesia è una poesia di addio, estrema poesia d’amore. Mentre lavori sulla traduzione – in piena libertà, così da permettere al significato di liberarsi dalle corrispondenze troppo rigide tra parole inglesi e parole italiane: mentre fai questo, ti rendi conto, stupito, che la poesia esprime una volta ancora la terribile storia di Orfeo. I segni sono infallibili – l’uomo che cammina avanti nell’oscurità (l’incertezza della sua vocazione poetica), la donna che lo segue (il suo muto tentativo di vincere l’impenetrabilità di lui), il mondo degli inferi, l’incendio (l’irrimediabile spaccarsi di un rapporto tra uomo e donna), e infine la separazione – lui va avanti e lei rimane dietro, avviluppata nelle fiamme della dimenticanza.
Eppure tu avevi in mente tutt’altra cosa, volevi solo dire di un rapporto fra due persone, come andò che quel vincolo così come era esistito fino ad allora si spezzò, probabilmente e soprattutto a causa della vocazione che nel poeta distrugge ogni calore umano. Quando avverti la presenza di questo doppio binario – da una parte la vita reale e vissuta, e dall’altra la potenzialità sfuggente, caleidoscopica del mito, che ne è l’ombra – non dubiti che in un altro tempo sia esistito o esisterà un senso del destino umano più grande di quello che normalmente avvertiamo. Tale senso si manifesta negli stampi infinitamente elastici e sempre cangianti della narrazione mitica: e in un attimo ci appare come totalità dell’esperienza umana.
Se ti puoi avvicinare ad esso: girarti di colpo, con un brivido riconoscere ciò che è assolutamente nuovo e profondamente strano – se puoi fare questo, allora saprai anche che il mito illumina volta dopo volta le nostre orme, il nostro stesso essere. Quale che sia, e ovunque realmente stia, questo nostro essere.

Antonella Zagaroli

Antonella Zagaroli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Antonella Zagaroli

“Tre rose”

Rosa aborigena

Una veste davanti al volto
impallidito. Fiore senza nome
alla donna ondeggiano i riccioli
sorride a chi si presenta a piedi nudi
per rispetto delle anime antenate.

Al centro del villaggio
sotto il tetto del dio
una valigia, due candele accese

 

Rosa antico

Seno di primi vagiti per la sconosciuta
nei giardini di tè, vaniglia e cannella

le gambe si riposano
sotto banani e bambù
sfiorano i corpi agli elefanti.

la scalata agli avi.

 

Rosa allo specchio

 

Profumo di isola sognata
abituo l’assenza ad ogni suo fruscio

le giunture si estendono senza traumi
la corolla ascende

discende

 

Flavio Almerighi

Flavio Almerighi

Flavio Almerighi

sull’amore sfinito

 

Piero si vede con dio
nei bicchieri di glengrant,
fuma fino al filtro
dentro una cabina senz’anima
e gettoniera sventrata,

magro scannato, niente impermeabile
la fede portata a stringere
da un orafo tornato al mare
per tracciare segni sulla schiuma,
la serranda chiusa come un uovo,

e lui dentro a fare nembo kid,
col buon senso di successi estivi
modellati sulle anche di due amiche
in spiaggia a farsi spine
per il solito di passaggio che,

piccolo com’è sembra lo zero,
aspetta un giorno
va via deluso, smarrito
nella natura morta
senza fine degli ombrelloni,

un po’ di brezza sospira
sull’amore sfinito

 

bagni Eden

qua non è più mare
solo vernice di barche
e mignotte slave

entrate in acqua
a vostro rischio,
nessuno vi salverà.

Turisti senza amore
tra le onde fangose
assaggiano brezza salata

qualcuno ha dimenticato
le scarpe sul molo

 

natura morta di Ilva Lucchini

natura morta di Ilva Lucchini

Giuliana Lucchini

Giuliana Lucchini

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giuliana Lucchini

Natura morta

 

Fra una finestra e l’altra
il suo profilo severo e di trequarti
la bella bocca di bacca rossa.

Fra il vero e il falso il colore della mela
e con il gelo di gota immobile, la
solitudine.

Guarda lontano. L’albero spoglio
di tutti i frutti cede al vassoio una dolcezza
che non sarà più scossa.

Natura morta natura viva,
fra l’una e l’altra neppure uno iato:
silente fiato.

Potenze Principati Dominazioni.
Un verso finito. Occhio fisso, la mutezza
del servizio.

Come hai potuto irrigidirti,
felicità – senza toccarti,
d’ali ti fai l’ombra leggera.

(inedito)

 

Giuliana Lucchini

Giuliana Lucchini

 

natura morta di Van Gogh 1887

natura morta di Van Gogh 1887

La lentezza della beltà.

Separarsi.

Spararsi. Un colpo e basta.
Con il fucile. Fra costole. Cadere.
Nella culla del letame.

Poi camminare. Camminare è bello.
E’ necessario.
Stormi di storni, il roteare.

Orecchio mozzo, fiato corto
il sangue a caglio fra sciarpe. Nessuno
che ti conosca. Andare.
Per la via nota, fuori campo.
Alla città di luce. Alla salita.
.. rue Lépic. Giungere al portone.
Aprire. Salire le scale fino al quarto piano.
Girare la chiave nella porta.
Entrare. Chiudere.
Disordine.

In ordine soltanto i quadri –
quadri appoggiati a terra, quadri alle pareti
quadri allineati. Nella stanza, di nebbia.
Arrivare al letto. Un’eternità.
Distendersi. Restare immobile. Pensare (a cosa ?)

Respirare.

Morire dopo quattro giorni. Continua a leggere

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SEI POESIE di SAURO ALBISANI da “Orografie” (2014) – Commento di Giorgio Linguaglossa

sauro albisani Orografie 

Sauro Albisani

Sauro Albisani

Sauro Albisani Orografie Passigli, Firenze, 2014 pp. 130 € 15

 Sauro Albisani (Ronta 1956), poeta e drammaturgo, ha curato l’edizione delle Poesie del sabato (1980) di Carlo Betocchi, al quale è stato profondamente legato, come amico e discepolo. Ha scritto con Miklos Hubay il dramma I segugi da un frammento sofocleo, pubblicato su “Sipario”. È stato assistente alla regia di Orazio Costa Giovangigli, che egli considera, dopo Betocchi, il suo secondo maestro. A Costa Albisani deve alcune memorabili letture drammatiche del proprio teatro e importanti interventi critici. Ha pubblicato drammi: Campo del sangue (1987), Il santo inganno (1997); saggi: Il cacciatore di allodole. Per Carlo Betocchi (1989) Ippocrene. Riflessioni sull’ispirazione poetica (1991), Verso casa. Soliloqui sulla poesia (1992) Cieli di Betocchi (2006); poesia: Terra e cenere (2002), La valle delle visioni (2012), Orografie (2014); traduzioni: Vangelo secondo Giovanni (1994), Marziale Roma liberatutti (2010).  Premi: Lericipea, Viareggio-giuria e Gradiva-New York. Sito ufficiale: http://www.sauroalbisani.com

cop sauro Albisani la-valleE’ come se una maledizione avesse tolto la gravità da sotto al tavolo del mondo. I personaggi di questo libro sono gli studenti e le studentesse del prof Sauro Albisani, i suoi doppi, le sue ossessioni. La nuovissima generazione (al pari della nostra), dunque, che già fa apparire invecchiata quella appena precedente, che galleggia sul mare dell’inessenza, sbattuta di qua e di là, senza tempo e senza autenticità, in una dimensione sottile come la pellicola di un film di Woody Allen. Il poeta docente fa da contro canto e da specchio alla condizione giovanile nel mentre che riflette sulla propria esistenza e su quella dei suoi studenti ma in modo leggero, con uno stile colloquiale, con un tono disilluso, quasi scettico. È a suo modo un canzoniere d’amore questo di Sauro Albisani, che può venire alla luce in un mondo dove tutte le luci sono spente.

Bello birth-of-venus-model-the-history-of-simonetta-vespucci-renaissance-most-beautiful-womanLa poesia di Orografie nasce dalla condizione umana desublimata della attuale e della futura generazione: la scuola, il lavoro, lo studio, gli amori degli studenti, etc. Nell’età che è trascorsa dal ciclostile degli anni Sessanta al computer portatile dell’era internettiana, nel mentre che sono perente, in caduta libera, tutti gli avanguardismi e le parole innamorate, tutti i manierati eufuismi delle poetiche posticce, Sauro Albisani ci racconta con un linguaggio trasparente e leggero, sul filo di rasoio del tratto di penna agile ed leggero, i destini di questi giovani colti come in una serie di fotogrammi. Ogni composizione è un fotogramma, sottratto al tempo. C’è della dis-autenticità in questi racconti in versi e l’autocoscienza stilistica del poeta ce la riconsegna colta nel parlato, nei gesti del quotidiano, nei tic di tutti i giorni. Ciò che rimane è un profumo, un alone, un’aura desublimata come solo è possibile nell’età del «caos scandaloso» o della leggerezza dell’essere. E che la leggerezza sia una tremenda croce che si abbatte sugli abitanti del nostro tempo epigonico, opino non c’è dubbio alcuno, se appena gettiamo lo sguardo su queste poesie così accuratamente sofisticate da apparire denaturate.

Sauro Albisani

Sauro Albisani

 Che un poeta contemporaneo riesca a scrivere in un parlato così verosimile non deve in alcun modo meravigliare, Albisani ha affinato una scrittura poetica che del parlato ne reca il calco e la traccia, tanto più vitale in quanto sono venute a cadere le ipotesi di scritture modernistiche o post-modernistiche, per il loro non essere più all’altezza dei tempi, se per modernismo si intende una poetica che alligna, come un alligatore, sulla superficie della pellicola del Novecento. E non v’è cupezza in questo canzoniere di storie prosaiche, non v’è magrezza, c’è la scioltezza e l’agilità di un’età che ha perso essenza, e così la passione è occasionale e fuorviante, gli incontri imbarazzanti mistificazioni o divertite dissimulazioni. Non c’è più il volo di un Hermes in grado di gettare un ponte tra gli umani e le persone restano confinate nella loro unidimensionale incomunicabilità. Gli studenti sono trattati come figurine di seta o trapezisti mossi da una mano invisibile, le loro storie stereotipate sono il frutto del sogno di un burattinaio misterioso che forse ha dimenticato che la vita ha la stessa stoffa del sogno e i burattini, a loro volta, sono il sogno di un orco denaturato e immaginario, e l’orco è l’invenzione di un dio assente, un deus absconditus dell’epoca che ha perduto tutti i suoi dèi e i suoi idoli.

(Giorgio Linguaglossa)

Sauro Albisani 1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il custode che guarda le ragazze
baciarsi nel cortile a ricreazione
passa indolente con un foglio in mano
da consegnare in vicepresidenza.
Col fiato corto sale la sua balza
di purgatorio, una rampa di scale.
A pochi metri si aggiusta la calza
una Matelda sedicenne, persa
tra mille fiori, decalcomanie
impresse sullo zaino: la sua guancia
si gonfia per la noia dell’attesa.
Per la noia si gonfia anche la pancia
del custode, a quest’ora, ogni mattina
davanti al bar. Non sembra vecchio, salvo
la stempiatura che lascia alla brezza
di marzo i pochi capelli arruffati.
Non capisce il perché di tante cose:
– Vent’anni fa, giura puntando l’unghia
sull’ombelico, anch’io ero un ragazzo –

Che ne è stato di noi? perdio, rispondi!

Pietà di me, io non so quel che dico.

 

Google maps – Street view

Sono dentro il satellite che vola
seguendo la sua orbita, intravedo
nel traffico lo scooter in via Prati
svoltare l’angolo: sto andando a scuola.

sauro albisani

 

 

 

 

 

 

Testamento del nullatenente

Testardamente tu non volesti essere
che avresti tuttavia potuto essere;
fingesti sempre di credere d’essere
la preda, e intorno ti lasciasti tessere
una rete di tante servitù
mitigando il dolore con il gusto
d’ingannare, di fingere una parte.

E tuttavia, tu non potesti essere
chi avresti eroicamente voluto essere.
Il responsabile del tuo malessere
restava quello che ti elesse re.
E eri lontanissimo dal giusto:
nessuno nel dividere le carte
sceglie con libertà. Nessuno: tu. Continua a leggere

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