Ut pictura poesis. E Leonardo ha scritto: «La pittura è una poesia muta e la poesia è una pittura muta». Ogni natura morta ci parla, parla di noi, che siamo fuori quadro. Essa è assenza che attende la presenza umana, o meglio, è una presenza umana che è scomparsa, ed è rimasta l’assenza. E l’assenza ci parla con il proprio apparire, il proprio essere là.
Anna Ventura
Natura morta con insetto
Dalla vetrata aperta, una mosca entrò, perentoria,
quando la signora appese al muro
della sala da pranzo
il quadro appena acquistato
in un’asta di Montecatini. Quel quadro
era un simbolo di gioia,
per lei, donna fortunata
e consapevole di esserlo.
Sulla felicità delle sue scelte
nessuno avrebbe osato dubitare Eppure
in quel quadro
c’era qualcosa che stonava:
forse l’opulenza eccessiva
delle uve, l’arancione forte
di una fetta di melone, il rosso acceso
di una granata aperta. La mosca
ronzava intorno al quadro. La padrona di casa
volle scacciarla, agitando un panno
inumidito, ma quella
era più tenace di lei:
all’improvviso entrò nel quadro,
si attaccò a un acino d’uva,
e lì rimase. Non ci fu verso
di allontanarla. Ma la signora
non poteva- ne andava della sua reputazione-
farsi beffare da un insetto. Chiamò un pittore
di buona fama e gli fece dipingere una mosca
proprio lì, su quell’acino d’uva
dove l’intrusa giocava a rimpiattino.
Il giorno dopo,
l’insetto dipinto era scomparso.
L’acino d’uva, liscio, tondo, viola,
l’aveva nascosto
nel folto delle foglie di vite che,
maestose,l’assediavano dal basso.
La mosca viva ronzava per la stanza.
Club
Un sospetto di neoclassico fascista
sfiora le squallide rotondità
di poltrone, angoli, tende
senza colore.
Passa il cameriere basso,
con tre tazze fumanti sul vassoio.
La sala di lettura: deserta,
un uomo solo, nascosto dal giornale.
Corridoi lunghi, pavimento screziato,
archi.
Ripassa il cameriere,
con le tre tazze vuote.
La stanza del bridge è piccola,
colorata di verde e rosso-i tavoli-,
tenue fumo ristagna
tra gli occhi fissi.
“Siamo noi. Siamo arrivati.”
Morti?
No, vivi di una propria vita.
Rossa è la tentazione socialista,
azzurro
il fascino discreto della monarchia.
Ripassa il cameriere, ossequioso,
con quattro tazze colme.
La stanza proibita
È all’angolo,
dopo l’ultimo corridoio.
Bordello?
No, si gioca d’azzardo.
La porta è chiusa, peccato!
E il vetro ha un’ombra di liberty.
Il cameriere è vivo:
fa parte del copione,
e ci crede.
(da Tu quoque” Antologia Poesie (1974-2013) EdiLet 2014
Francesca Diano
Natura morta veronese
Otto pesche ed un vaso –
Di ceramica azzurra
Opaca ed all’interno traslucida
Di biancore cinereo –
Otto pesche sparse sul tavolo
Privo di gambe e confini
Soltanto un piano che linea
Ombrosa ha come sua fine.
Trasmutante il colore
Avvolge la forma nella sua eternità.
Invisibili due bambine
Nascoste dall’ombra
Sottratte alla visione
Donna nuda con fiore
La Madre siede
Composta nell’azzurro
Velato di fili
Il corpo solido di materia
Scolpisce lo spazio
Lo colma di peso
Pesanti le cosce il ventre
Nudo che è cupola sciamana
Seni robusti venati di marmoree
Correnti promettono mondi
Sommersi da un fiore
Che la mano porge.
Congela in sé il flusso
Di particelle raccolte
In atomi e molecole
E morule e organi
Infinitamente diversi
Nella ripetizione del modello
Eidetico utero cosmico
Matrice d’universi fecondati.
Giorgio Linguaglossa
Atropo
Colei che non si volge è qui:
Atropo. Indossa un vestito nero
che le fascia il corpo come un guanto.
Suoi attributi sono gomitoli e forbici
con le quali taglia il filo della vita.
Osserva una sfera di cristallo
e legge su un rotolo misteriosi geroglifici:
il destino degli umani.
È la più vecchia delle sorelle Cloto e Lachesi.
Guarda sempre in avanti, così ha decretato Zeus.
Ha una gorgiera di ferro che le impedisce il respiro
e non può voltarsi né a destra né a sinistra né indietro.
È sempre in affanno.
Ruota in eterno tra le sue mani la sfera di cristallo
legge il rotolo di pergamena
e col gomitolo avvolge la sfera
che ruota attorno al proprio asse magnificamente.
Ma lei, la megera, non sa
né quando né come né perché
taglierà il filo del gomitolo.
La vecchia pazza gioca con le forbici
e il gomitolo. E ride, ride.
Apro la prima porta a sinistra
… Apro la prima porta a sinistra:
ci sono tre donne sedute intorno ad un tavolo:
stanno per parlare ma non parlano
sembrano in ascolto ma non ascoltano,
indossano vestiti bianchi, hanno il plettro
e una chitarra azzurra,
ciascuna guarda davanti a sé ma ognuna
in direzione diversa,
ogni direzione è una dimensione;
il loro volto non ha volto, e guardano
con un solo occhio; «che cosa guardano
– ci chiediamo noi – se non il vuoto?»;
non possono uscire dal solco tracciato dal fonografo
non possono uscire dalla foto scattata dal fotografo:
traducono la traccia magnetica in onda sonora,
possono cantare soltanto ripetendo il medesimo ritornello
come gli uccelli sugli alberi:
«ciò che noi siamo voi mai sarete
e ciò che siete noi mai saremo».
La prima, Lachesi, canta le cose che furono,
la seconda, Cloto, canta le cose presenti
e la terza, Atropo, canta le cose che saranno;
cantano le tre signore un coro discorde
che neanche Zeus, loro padre, può appianare.
Cantano? È questo il destino del canto?
sì, è questo, e il loro canto è nemico della morte.
Ogni canto è nemico della morte?
Ogni canto è amico della morte.
Lachesi ha il volto rivolto al passato
Cloto ha il volto rivolto al presente
soltanto Atropo ha il volto rivolto al futuro
ma Atropo, la terza tra le donne, è cieca
e non può vedere ciò che taglia
e taglia con robuste cesoie il filo della vita
che non vuole cessare. E canta.
Annalisa Comes
Natura morta e partenze
Parte di questo mondo se ne va.
Se n’è già andata una manciata d’anni,
una famiglia con quattro rampe di scale e una torre
a via Mantova.
Se ne sono già andati lontano lontano,
senza che faccia la minima differenza,
un gatto e un padre.
Se ne sono andate via brezze invernali, estive e piogge
in gocce leggere.
Un vestito blu troppo stretto, il cappello di paglia, il vaso di violette
ch’era ai piedi del nostro letto.
Ringraziamento in domestica natura morta
Foglie di vite e
grappoli di uccelli.
Sull’orlo delle pagine :
l’orlo della tovaglia,
le posate,
beccano senza sosta mani
e unghie.
Allora, ecco, posso ringraziare questi lavori domestici,
per il sapone che lava piume e
scaglie,
e il vino che arrossa il fondo dei bicchieri,
brocche da impugnare e tazze e tazzine.
E per le storie che ho detto e per quelle che ho ascoltato,
– grembiule e alfabeto dei miei giorni-.
E per la pelle liscia delle patate
che fanno il nido, qui,
dopo vetri e ringhiere,
qui,
docilmente.
Antonio Sagredo
I ricordi beati dei poeti
sulla Montagna dei Passeri
dove mai sono stato
né mai ho pestato un’ala
io vidi le vostre dita
intrecciarsi come fiocchi invernali,
carezze crollavano come chicchi di sinistre stelle!
Se ne andavano in slitta i due poeti
sapevano le destinazioni egiziane:
il riposo in un’algida fossa mozartiana,
la Marina sul molo dei Nodi scorsoi.
Cantavano con avanzi di grida e parole la propria epoca,
conteggiavano dal passato il martirio dei loro giorni luciferi.
La corda e la trave smaniavano per un collo
che non soffriva ancora – che ancora non si offriva!
L’esilio dantesco come un deterrente sognava
un requiem, un trionfo d’ossa, una fine comune.
Una nera carrozza notturna brillava di neri stivali,
non più cortese si fermò sotto un fanale d’orange
in Via della Mortalità dell’Arte:
c’era posto soltanto per milioni di poeti…
il primo – ucciso per asfissia ovvero mancanza d’aria – il cigno
il secondo – ucciso dagli stenti – il prigioniero d’assonanze
il terzo….
ecc. ecc.
ma il Tempo si ritrasse come un verme….
oggi Basquiat Jean-Michel è evirato dai colori
non c’è scampo
per i suoni, e la parola!
Roma, 25 maggio 2014
I wormholes
(nero inesisten)
Sugli altari dei raccapricci la Vulgata si stropicciava con l’alloro il sembiante di una massa che
al potere del Vuoto donava una gloria indegna, e la sua maschera di biacca dai ghigni era segnata
dell’universo, perché sinistri fossero i vagiti di disturbi quantici, e i terrori di un cunicolo una prova
cardinale dell’essere l’uomo simile all’orrore di un Dio in fuga: un tarlo – involontario! – si pensa…
…come una barbarie ignota che, prima di un inizio, alla materia oscura volgesse una atavica supplica
e il riconoscimento di una verità teatrale, come una finzione simulata il primordiale atto del Divino:
un infinito, noi sappiamo, che scaltro recita oltre la siepe distanze purulenti e strutture insensate
sul segno zodiacale che detiene la mia destinazione, e un nero inesisten-te una marcia teoria ci trastulla.
E il Tempo prima di uno zero?! Sagittarius A: il porto dove battelli del pensiero un cantuccio
di sogni inattuali e disattesi ormeggiano tra marosi rotti dal fragore di fallimenti e filosofie
spicciole, e la prua la direzione nega alla rotta inseguita per galassie, per dimensioni, invano…
e nulla sappiamo al di qua della nostra conoscenza, e al di là del – tutto!
Roma, 31 maggio 2014
Laura Cantelmo
da Un luogo di presenze (Joker, 2005)
Flagella il monsone.
Verdi draghi ci spiano
dai coni forati dal vento.
Deriva ci porta tra il grigio
e l’immenso. Si curvano
barche, s’inarcano remi
pigiati dai piedi.
Nel golfo la pioggia ci batte.
Estatici siamo.
E soli.
*
Vibra farfalla rosa, sul violino –
concerto in re maggiore – piccola
Butterfly avviluppata in un vortice
di note. Non ha più dolci arabeschi
l’aerea tamerice. Davanti
all’archetto si piega il dono
del mondo – la felicità
si è chiusa in un inchino.
La passeggiata di Chagall
Le vite librate sui tetti
le mani gli occhi
fioriti tra fiocchi di nubi.
Le nubi del vecchio
villaggio, il tetto, la casa.
Corpi segreti trasvolano,
valli inscritte nel vento.
Non sanno gli amanti
di quale millennio
la rivoluzione, le vite
rinate, il fiume piagato
l’esilio degli uccelli.
gli amanti non sanno
non sanno non sanno.
Giuseppina Di Leo
da Con l’inchiostro rosso (Sentieri Meridiani Edizioni, 2012)
Per mia madre
Ci sono morti che non trovano pace
li vedo negli ospedali, in sale d’attesa
abbracciarsi.
Qualcuno è sordo o ci sente poco
e sorride persino al turpiloquio
rivoltante, verso qualcun altro
che assicura
«Abbiamo fatto tutto il possibile».
Negli ospedali la speranza si scema.
Ci sono morti che non trovano pace
li trovo in fila nelle chiese
nel momento eucaristico
aprono la bocca e mostrano la lingua
come in questa sorte infinite volte
la mostrai a te, ai tuoi occhi grigi.
Senza parlarci, per ogni tuo respiro,
ogni parola sarebbe stato troppo.
*
Finendo col diventare incomprensibili
parole che diresti del sogno. In segreto
parlasti di storie che non possono
essere ascoltate.
*
Negli ospedali la speranza mi scema
tra morti che non trovano pace.
*
Ci sono morti che non trovano pace.
In fila, come siamo sempre state nella vita.
C’è sempre uno che precede l’altro
di un passo. D’altronde, nelle foibe
si cadeva così; ma anche lì c’è stato
chi guardava la luna
mentre pietosamente dallo sparo
sull’altro ha sentito aprirsi la morsa
salvandosi pur nella caduta.
Pietosamente: guardando la luna, ci si salva*.
E mentre anch’io cado, tu, mia luna analfabeta,
sciogli così il nodo della mia ignoranza.
«Tutti giù per terra». Resteremo nel frattempo
i corpi delle anime come siamo
a lungo tornanti di un fiume infinito
in verticale, dove acqua e vita saranno
insieme desiderio e realtà.
Ma intanto tra i morti, c’è qualcuno
da abbracciare ancora, e salvare.
Così ad esempio, vedo morti senza pace
nei fiumi d’inchiostro
o nelle secche di un giornale
dove arrivano, dove partono
dove sfiniti si ammazzano.
Dove in quale io non so.
(28.04/14 magg. 014)
* Il riferimento è legato alla drammatica testimonianza di Graziano Udovisi, uno dei pochi superstiti delle foibe istriane, recentemente scomparso .
Ivan Pozzoni
dato che non credo nell’invio di frammenti anti-«poetici» che non decostruiscano semanticamente un tema, metaforizzandolo, decontestualizzandolo e ricontestualizzandolo, tento di inviarti due testi stematizzati, sotto il titolo sintetico la natura (morta) non esiste:
1] frammenti ossei: la natura non esiste, tutto è edificio, come la morte stessa (contraddizione semantica tra «natura» e «morte»);
2] sileno: la natura non esiste, è sempre urbanizzata, risignificata dalla funzionalità all’uomo. il sileno, metafora morta, si proletarizza, si popolarizza, diventa film trash anni ’80, e, da natura (morta), osserva l’uomo (inversione semantica: «natura» osserva «uomo»).
l’idea canonica di «natura morta» nel tardo-moderno ha cessato di esistere: morta la natura, la scopriamo, zombie mitologico, a spiare l’uomo dalla finestra del cesso.
La natura (morta) non esiste –
Frammenti ossei
La scala a chiocciola, librata in mezzo ad una scia di monumenti funebri di superficie,
conduce nel cuore delle terre nere – a Occidente, direbbe il saggio Ptahhotep-
conduce all’archivio storico d’una intera città
sommersa da centinaia d’anni di corone funebri,
lento incedere di corteo, benedizioni bagnate di dolori attoniti.
Come un archivio di ministero,
debitamente incasellati: i morti.
Morti, d’ogni età, d’ogni secolo, morti stoccati in nicchie d’un metro
in corridoi senza tempo, a due dimensioni,
città nella città, città sotto città, un carosello di fiori sbiaditi
coccarde nere fine ottocento, ritratti velati di nebbia,
conditi da un’atmosfera di noia mortale,
nome dopo nome viso dopo viso
muti racconti ammantati dal sudario dell’oblio.
Vorrei (e mi ritrovo a scrivere «vorrei» in un testo dopo troppo tempo),
essere burocrate da casellario
dando un minuto di voce a ciascun concessionario:
al bimbo morto, a un anno, nel ‘43
condannato a vestire in eterno da bebè;
a un magistrato, baffi all’Umberto, costretto a vivere la morte,
di fianco all’umile, magari ladro, scafato tecnico da cassaforte;
ad una contegnosa docente di Liceo, deceduta nel ‘19,
che mai arrivò a spiegare ai suoi mille e mille alunni
come mai morirono di ferite o campi di concentramento
in un ventennio speso a risiedere in un reggimento.
Fuggito dal remoto avvenire risalendo di corsa la scala
i monumenti funebri di superficie ci richiamano all’oggi, all’istante,
o a un futuro meno distante.
Sileno
Balzando tra le antenne della televisione,
corre il Sileno, di tetto, in tetto,
dribblando i cavi solidi dell’alta tensione,
cercando di tornare alla sua terra,
i monti bruni, le forre dell’antica Grecia,
in vista d’un Dioniso da ubriacare, mescendo whiskey.
Scrutando intorno, rivolgi al cielo i lembi del tuo naso camuso,
in cerca d’un orientamento libero dai gas di scarico dei cavalli a motore,
chiedendoti i motivi della tua disfatta,
come hai fatto a cadere, così in basso, sulla terra.
Sul ballatoio scrostato di una casa comunale,
incontrati i vetri mesti di una finestra intenti a rimandare al mondo
immagini della maliziosa silhouette di una ragazza,
ti fermi a guardare, dimentico delle lacrime
e della tua eterna ricerca.
Ambra Simeone
natura mezza morta, mezza no
sulla tavola con la tovaglia di plastica a quadri rossi e verdi,
c’è un cellulare spento, c’è una bottiglia mezza piena, mezza vuota,
c’è un’agenda mezza scritta, mezza no, c’è un tovagliolo di carta
di quella molto assorbente, c’è la frutta secca mezza mangiata, mezza no,
c’è dello sporco seccato anche lui, che andrà via solo dopo pranzo,
ci sono una serie di cose che non ci sono e che vorrei ci fossero,
e anche una serie di altre cose che ci sono e vorrei che non ci fossero,
c’è anche un apparecchio per la connessione wireless di quelli portatili,
c’è un computer portatile anche lui, che resta acceso solo di mattina,
e c’è anche uno strofinaccio pieno di macchie, sarà da lavare prima o poi,
ci vedo di tanto in tanto una Bic col cappuccio nero, che scrive cose strane
elenchi per la spesa, elenchi di film da scaricare, elenchi di pagine da leggere
e anche qualche fattura da compilare, dopo scompare tutto dai miei occhi
mi sono scordata di dire quel che volevo, mi sono distratta a descrivere
le forme che vedevo, invece ogni tanto le uso anche per fare qualcosa,
qualcosa che è più di vederle soltanto, come bere, parlare, ascoltare,
memorizzare, pulire, mangiare e guardare e guardare che potrà essere
anche liberatorio guardarle, descriverle soltanto, però è anche un po’ noioso.
la gente è come un paesaggio muto
è il giorno della natura morta, me lo sono scritta sul calendario
è il giorno di un nuovo tema quello della natura morta, così ho fatto,
mi sono scritta possibili idee sul post-it, che come i pittori di una volta,
ho pensato, ora descrivo qualcosa di veramente bello, e anche di un po’ passato,
quei pittori che dipingevano le pesche, le mele, le banane e i cesti di frutta,
o anche le case, gli alberi, le cascate, le montagne verdi e marroni,
poi mi sono accorta che non ci riuscivo come loro, allora ho guardato dell’altro,
sono salita in metro, e guardavo chi guardava sullo schermo, sono scesa tra la gente
tutti a digitare su uno schermo, sono entrata in un autobus tutti zitti, seduti
e composti, a sentire la musica in cuffia, sono entrata in pizzeria,
una mano sull’i-pad e l’altra con la pizza che sgocciola di latte e sugo,
c’è un gran silenzio, ci risparmiamo l’ansia da prestazione comunicativa,
ci risparmiamo lo sguardo di qualcuno interessato, ed è tutto così bello,
confortevole, mi piace pensare di guardare la gente come una natura morta,
come i pittori di una volta che guardavano un cesto per ore e ore,
e ci riuscivano a dipingerli in ogni dettaglio con le ombre e le luci giuste,
uno si mette lì e aspetta un qualcosa che non succede mai, tutto tace,
nessuno ti parla, nessuno ti guarda, nessuno ti tocca o ti sorride,
e poi non devi capirci più di tanto basta descriverli, se nel frattempo
non ti distrai anche tu, che forse potrebbe squillarti il telefono in tasca.
Anna Ventura è nata a Roma, da genitori abruzzesi. Laureata in lettere classiche a Firenze, agli studi di filologia classica, mai abbandonati, ha successivamente affiancato un’attività di critica letteraria e di scrittura creativa. Ha pubblicato raccolte di poesie, volumi di racconti, due romanzi, libri di saggistica .Collabora a riviste specializzate ,a quotidiani, a pubblicazioni on line.
Ha curato tre antologie di poeti contemporanei e la sezione “La poesia in Abruzzo” nel volume Vertenza Sud di Daniele Giancane (Besa, Lecce, 2002). È stata insignita del premio della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ha tradotto il De Reditu di Claudio Rutilio Namaziano e alcuni inni di Ilario di Poitiers per il volume Poeti latini tradotti da scrittori italiani, a cura di Vincenzo Guarracino (Bompiani,1993). Dirige la collana di poesia “Flores”per la Tabula Fati di Chieti.
Suoi diari, inseriti nella Lista d’Onore del Premio bandito dall’Archivio nel 1996 e in quello del 2009, sono depositati presso l’Archivio Nazionale del Diario di Pieve Santo Stefano di Arezzo.
È presente in siti web italiani e stranieri; sue opere sono state tradotte in francese, inglese, tedesco, portoghese e rumeno pubblicate in Italia e all’estero in antologie e riviste. È presente nei volumi: AA.VV.-Cinquanta poesie tradotte da Paul Courget, Tabula Fati, Chieti, 2003; AA.VV. e El jardin,traduzione di Carlos Vitale, Emboscall, Barcellona, 2004.
Francesca Diano dai primi anni 80 è traduttrice letteraria di narrativa, saggistica e poesia. Tra i miei autori, Thomas Crofton Croker, Kushwant Singh, Themina Durrani, Pico Iyer, Susan Vreeland, Sudhir Kakar e molti altri e sono la traduttrice italiana di Anita Nair. Ho tradotto testi di poetesse angloindiane e di poeti irlandesi. Nel 2010 ho pubblicato il romanzo La Strega Bianca – una storia irlandese. Dai primi anni 80 sono traduttrice letteraria di narrativa, saggistica e poesia. Tra i miei autori, Thomas Crofton Croker, Kushwant Singh, Themina Durrani, Pico Iyer, Susan Vreeland, Sudhir Kakar e molti altri e sono la traduttrice italiana di Anita Nair. Ho tradotto testi di poetesse angloindiane e di poeti irlandesi.
Nel 2010 ho pubblicato il romanzo La Strega Bianca – una storia irlandese. Miei testi poetici sono stati pubblicati su vari blog letterari tra cui moltinpoesia, cartesensibili, fernirosso, l’ombra delle parole ecc. Nel 2012 ho vinto il 42° Premio Teramo per un racconto inedito. Nel 2013 è uscita la mia raccolta di racconti Fiabe d’amor crudele, per i tipi di Edizioni La Gru. Il 6 ottobre 2013 Fiabe d’amor crudele viene presentato alla Fiera della Piccola e Media Editoria “Libri in cantina” al castello di Susegana. Prossimamente uscirà la mia raccolta di poesie Comete, con prefazione di Giorgio Linguaglossa, Edizioni La Gru.
Giorgio Linguaglossa è nato a Istanbul nel 1949 e vive e Roma. Nel 1992 pubblica Uccelli e nel 2000 Paradiso. Ha tradotto poeti inglesi, francesi e tedeschi tra cui Nelly Sachs e alcune poesie di Czeslaw Milosz. Nel 1993 fonda il quadrimestrale di letteratura «Poiesis» che dal 1997 dirigerà fino al 2005. Nel 1995 firma, Giuseppe Pedota, Lisa Stace, Maria Rosaria Madonna e Giorgia Stecher il «Manifesto della Nuova Poesia Metafisica», pubblicato sul n. 7 di «Poiesis». È del 2002 Appunti Critici – La poesia italiana del tardo Novecento tra conformismi e nuove proposte. Nel 2005 pubblica il romanzo breve Ventiquattro tamponamenti prima di andare in ufficio. Nel 2006 pubblica la raccolta di poesia La Belligeranza del Tramonto.
Nel 2007 pubblica Il minimalismo, ovvero il tentato omicidio della poesia in «Atti del Convegno: È morto il Novecento? Rileggiamo un secolo», Passigli, Firenze. Nel 2010 escono La Nuova Poesia Modernista Italiana (1980 – 2010) EdiLet, Roma,e il romanzo Ponzio PilatoMimesis, Milano Nel 2011, sempre per le edizioni EdiLet di Roma pubblica il saggio Dalla lirica al discorso poetico. Storia della Poesia italiana 1945 – 2010. Nel 2013 escono il libro di poesia Blumenbilder (natura morta con fiori), Passigli, Firenze, e il saggio critico Dopo il Novecento. Monitoraggio della poesia italiana contemporanea (2000 – 2013), Società Editrice Fiorentina, Firenze.
Annalisa Comes è nata a Firenze nel 1967, Annalisa Comes, vive tra la Francia e l’Italia. Ha pubblicato in poesia: Ouvrage de dame (Gazebo, Firenze 2004, L’Harmattan, Parigi 2007); “Racconti italoamericani” (L’Harmattan Italia, Torino 2007); Fuori dalla terraferma (Gazebo, Firenze 2011). Nel 2006 ha pubblicato il cd “Dal nuovo mondo”, in collaborazione con il compositore Luigi Negretti Lanner (Lanner Edizioni). Nel 2009 è stata invitata all’Università di Cagliari dove ha tenuto due conferenze: “Scrivere per poesia” e “Didattica della poesia”. Traduce dal francese per le case editrici Le Lettere (fra cui : M. Cvetaeva, Il ragazzo), Donzelli (fra cui Prosper Mérimée, Tutti i racconti, 2004), Voland, Nutrimenti, Lantana. Ha pubblicato saggi e articoli su riviste italiane e straniere occupandosi di letteratura medievale e contemporanea, di cinema e fotografia. Ha curato le poesie e le note filologiche dell’opera poetica di P.P. Pasolini per le edizioni Mondadori (I Meridiani 2003), l’edizione critica del poeta siciliano Rinaldo d’Aquino (Poeti della Scuola Siciliana, Mondadori, I Meridiani, Milano 2008). http://www.annalisacomes.com
Antonio Sagredo è nato nel Salento e vive a Roma, ha studiato la letteratura ceca e la letteratura russa ed ha seguito i corsi di russo di A.M. Ripellino. Inedito in Italia, una Antologia delle sue poesie è in attesa di pubblicazione presso EdiLet di Roma e una seconda presso Chelsea Edition di New York.
Giuseppina Di Leo. Nasco a Bisceglie (Bt) nel 1959, sono laureata in Lettere; frutto della mia tesi di laurea (2003) è il saggio bio-bibliografico su Pompeo Sarnelli (1649-1730), dal titolo: Pompeo Sarnelli: tra edificazione religiosa e letteratura (2007). Ho pubblicato i seguenti libri di poesie: Dialogo a più voci (LibroitalianoWorld, 2009); Slowfeet. Percorsi dell’anima (Gelsorosso, 2010); Con l’inchiostro rosso (Sentieri Meridiani Edizioni, 2012); Il muro invisibile (LucaniArt, 2012). Mie poesie, un racconto e interventi di critica letteraria sono ospitati su libri e riviste (Proa Italia, Poeti e Poesia, Limina Mentis Editore, Incroci), nonché su blog e siti dedicati alla poesia.
Laura Cantelmo è nata a Biella e abita a Milano. Ha pubblicato Invito alla lettura di Ezra Pound (Mursia, 1978). Autrice di plaquettes Fili d’acqua (1996) e Un altrove quotidiano (2003). Del 205 è Un luogo di presenze (Joker) Sue poesie sono apparse su “La Mosca di Milano”, “Il Monte Analogo” e nelle Antologie Versi Diversi (Melusine, 1998), Poesia vs guerra (2000). Ha scritto saggi su poeti anglocaraibici: Grace Nichols e James Berry. Suoi saggi sulla storia di Milano si trovano nel volume Milano – Storia e immaginazione, Milanocosa edizioni 2011e una presentazione critica della poeta statunitense Marianne Moore fa parte del lavoro collettaneo a cura di Gabriela Fantato Con la tua voce, La vita felice, Milano 2010. Da lungo tempo svolge attività culturale all’interno della Associazione Milanocosa, presieduta da Adam Vaccaro.
Ivan Pozzoni è nato a Monza nel 1976; si è laureato in diritto con una tesi sul filosofo ferrarese Mario Calderoni. Ha diffuso molti articoli dedicati a filosofi italiani dell’Ottocento e del Novecento, e diversi contributi su etica e teoria del diritto del mondo antico; collabora con numerose riviste italiane e internazionali. Tra 2007 e 2013 sono uscite varie sue raccolte di versi: Underground e Riserva Indiana, con A&B Editrice, Versi Introversi, Androgini, Mostri, Galata morente, Carmina non dant damen e Scarti di magazzino con Limina Mentis, Lame da rasoi, con Joker, Il guastatore, con Cleup, Patroclo non deve morire, con deComporre Edizioni; tra 2009 e 2014 ha curato le antologie anti-poetiche Retroguardie (Limina Mentis), Demokratika, (Limina Mentis), Tutti tranne te! (Limina Mentis), Frammenti ossei (Limina Mentis), Labyrinthi [I], [II], [III], [IV], Generazioni ai margini, Neon-Avanguardie, Comunità nomadi, Metrici moti, Fondamenta instabili e Homo eligens (deComporre). Nel 2010 ha curato la raccolta interattiva Triumvirati (Limina Mentis); nel 2012 è uscito il numero unico di rivista, da lui curato, Le bonhomme. È con-direttore de Il Guastatore – Quaderni «neon»-avanguardisti; è direttore esecutivo della rivista internazionale Información Filosófica; è direttore delle collane Esprit (Limina Mentis), Nidaba (Gilgamesh Edizioni) e Fuzzy (deComporre Edizioni).
Ambra Simeone è nata a Gaeta il 28-12-1982 e attualmente vive a Monza. Laureata in Lettere Moderne, ha conseguito la specializzazione in Filologia Moderna con il linguista Giuseppe Antonelli e una tesi sul poeta Stefano Dal Bianco. Collabora con l’Associazione Culturale “deComporre”. La sua prima raccolta di poesie “Lingue Cattive” esce a gennaio del 2010 per i tipi della Giulio Perrone Editore di Roma. Del 2013 è la raccolta di racconti “Come John Fante… prima di addormentarmi” per la deComporre Edizioni. La sua ultima raccolta dal titolo “Ho qualcosa da dirti – quasi poesie” esce quest’anno per deComporre Edizioni. È co-curatore de “Il Gustatore – quaderni Neon-Avanguardisti”. Alcuni suoi testi sono apparsi su riviste letterarie nazionali e internazionali e su antologie; le ultime due per LietoColle a cura di Giampiero Neri e per EditLet a cura di Giorgio Linguaglossa.
davvero bella la poesia di Annalisa Comes
mi piace molto l’equivalente poetico di Sagredo di Una generazione che ha dissipato i suoi poeti
Grazie Giorgio. Le mie erano parte di un piccolo vecchio progetto di Pinakoi, ma qui ci stanno bene. Grazie.
Ringrazio molto Giorgio per la sua grande disponibilità.
Preciso però che Per mia madre è un testo inedito.
Scrivere intorno a una natura morta mi sembra un esercizio molto utile per uscire dai soliti schemi delle poesie che si scrivono oggi. Ringrazio tutti gli intervenuti e le poesie sempre interessanti e stimolanti che ci hanno proposto. Come si può notare, ciascun autore ha esaminato il problema posto dal tema a proprio modo e lo ha svolto con un proprio linguaggio e la propria sensibilità raggiungendo mi sembra ottimi risultati espressivi. Questa è una ragione in più per continuare a proporre tematiche che qualcuno può anche considerare distanti da quelle oggi maggioritarie ma che invece io sono convinto che possano offrire agli autori maggiori e più originali possibilità espressive e artistiche.