La spiaggia di Levrechio sull’isola di Paxos si trova di fronte alla foce dell’Acheronte fiume che attraversa l’Epiro, regione nord-occidentale della Grecia, e si congiunge col mare nei pressi della cittadina di Parga. L’Acheronte è un affluente del lago Acherusia e nelle sue vicinanze sorgono le rovine del Necromanteio, l’unico oracolo della morte conosciuto in Grecia. Ma Acheronte (in greco Ἂχέρων, -οντος, in latino Ăchĕrōn, -ontis) è anche il nome di alcuni fiumi della mitologia greca, spesso associati al mondo degli Inferi. Secondo il mito sarebbe proprio un ramo del fiume Stige che scorre nel mondo sotterraneo dell’oltretomba, attraverso il quale Caronte traghettava nell’Ade le anime dei morti; suoi affluenti sarebbero i fiumi Piriflegetonte e Cocito. Il suo nome significa “fiume del dolore”. (nota di Francesco Aronne)
Giuliana Lucchini
Ashes in the Museum
(a mia sorella Ilva)
Portammo
ceneri al museo, in una cripta d’argento,
raccolte dentro il cuore di una tela,
ceneri dalle rive d’Acheronte.
Nella trasparenza della luce
il velo sulla forma, il velo
che si stampò della bellezza
nella sua bara :
la tua creatura di cenere, Alma-Tadema*,
che si sbriciola tra le dita
appena implode al solco dello Stige.
Via della Croce sopra le spume,
struggente raffinatezza del deperibile
che la mano dell’artista eterna :
abbandona il peso, esce dal chiostro,
brilla di tutte le stagioni,
cammina da sola verso l’immateriale.
* (mostra al Chiostro del Bramante)
** “Sei nell’anima
e lì ti lascio per sempre ..” (canta Gianna Nannini)
Salvatore Martino
Sopra un quadro di Böcklin
Ritornato dal caotico inferno
e dalla solitudine
l’immagine appare
schiacciata contro il muro
affatto rettilineo il tracciato del cuore
privo di ossigeno il cervello
Dopo quaranta giorni nel deserto
a combattere l’assenza di me stesso
muta discende una preghiera
– Angelo atterrito
che abiti le caverne del mio fiato
tieni lontana
dall’orma del mio piede dall’approdo
la bianca figura dell’Isola dei morti
riportala nel gorgo della sua tela
con l’alito atroce della tua parola-
Silvana Baroni
Tornare alle nozze
Sul lago
dove non è più lecito specchiarmi
chiedo di poter dar seguito alla vita
ma chi tace mi invita a seguirlo nell’acqua
a sciacquarmi dalla materia fogliosa.
Mi fletto in osservanza
alla maestria del silenzio
nell’illesa chiarità di uno stormo finale
dietro l’atto libero e lento d’un felino
che m’anticipa e obbedisce alla notte.
Sulla barca buia a guardarmi
occhi di perla trapassano il medesimo confine.
E’ la folla di Pompei – penso-
tutti avanti a me e per dove – chiedo
con occhi sbarrati sull’immanente vuoto.
La morte ancora non risponde
altèra sulla soglia del bianco monastero
nell’isola orfana di sabbia e gorgheggi.
La mia voce braccata dalle alghe
si fa brusio informe, precipita nella palude
perde le parole del vocabolario segreto
del modo mio di pronunciarle
e s’infrange l’idioma, i suoni infantili
sulle morbide dune del deserto materno
battute da oblique ventate di padre.
Allora intendo
esser questa l’ora a compimento
d’integrare in ombra il chiaro della vita.
Gian Piero Stefanoni
Acheron
(Parga, Epiro, settembre 2013)
risalendo dal mare il fiume che nel mito conduceva all’Ade.
ACHERON
prima un nome
poi la violenza illuminata
che senza presupporre ottempera,
nel tempo che rimane a dare
la luce che da sé di sé prende.
Durante un viaggio in un giorno d’amore
TERRA DEL SOGNO
bordata dal mare.
Aduggia la bestia in differente battuta
a contornarci di viole, profonda purezza.
Guida il cielo al cielo,
le lacrime alle lacrime:
UN LENTO ANDARE NELLA DOLCEZZA DEL PERDERE
(eravamo tutti pazzi con il nostro solo pallore?).
Più mite s’infossa,
evocato dagli alberi
IL FIUME
l’oscura palude dell’ultimo favo promesso.
Un luogo del nostro andare rasi dissolvono, gli uccelli
piegando il confine
MA
non ha attracchi la lingua.
Al primo variare dell’onda
il primo variare dell’ombra,
gli altari corrosi che forse scorgemmo:
TERRA DEL RICORDO
macchiata dal sole.
“Per quale arena vagammo?
Quale caprone ci apparve
con occhi remoti, il passo lieve
come entrando un Dio fra le mura?”-
(..)
Noi morte, noi sogno,
voi noi
NOI LUCE..
(In “Quaderno di Grecia”, Ebook LaRecherche.it, 2011).
Ivan Pozzoni
Caronte, in riva al lago
Seduto su una roccia, in riva all’acque turbolente
macchiate di ricordi del mio Lete lacustre,
mi tramortisco col rumore ombroso
delle onde che cantano dei miei vent’anni,
d’amori e attese blande.
Cerco un Caronte astioso e ansante,
che meni la mia barca sui fiumi d’Occidente,
rodato dosatore d’ansiolitici, seduta stante,
scorbutico maleducato, rude bifronte.
Cerco un Caronte, un Caronte vero,
temerario consulente abituato a transumanze
d’ogni genere, con remi, barba stanca,
obolo di scorta che difenda all’arma bianca.
Seduto su una roccia, rinvio a domani
l’insulsa immaturità delle mie mani.
Ambra Simeone
se ancora c’è un Dante o un inferno io non lo so
quanto a oltrepassare un mare o un fiume l’ho visto fare più di una volta,
e l’idea di morte non è più vera, né più presente di quando si cammina per strada,
c’ho le immagini fissate in mente, c’ho tutte le barche che ho visto al mio paese,
certo che ce ne sono di yacht, paranze, scialuppe, gusci di noce che galleggiano,
certo che i pescatori che tirano su le reti ti sembrano più morti dei pesci presi,
e invece di stare lì vorrebbero andare tutti in ufficio con le loro cravatte usate,
certo che i migranti, sembrano più vivi quando vedono terra che quando poi la calpestano,
certo che i turisti di lago maggiore, quasi tutti tedeschi, sono più morti di quanto
vorrebbero far credere, e quei ricchi italiani che vogliono solo affittargli le case,
di questo ne sono sicura o almeno credo, potrei anche sbagliarmi, essere morta anch’io,
ma davvero non so distinguere né cercare metafore giuste per tutto questo,
neppure un Caronte con le sue anime quasi dannate potrebbe reggere il confronto,
Dante poi non ci capirebbe niente, se tutto rimane uguale ma in realtà tutto cambia,
poi sarà questione di tempi, e la memoria passa anche lei, muore un po’ alla volta,
e la visione non può essere sempre la stessa, così muore anche un tòpos in settecento anni,
invece a me, la vita, la morte funzionano allo stesso modo, ti fanno scordare quel che è stato.
http://raffrag.wordpress.com/2012/11/22/thanatos-per-me-si-va/
LO STIGE
Era lo Stige
un corridoio di vascelli,
un crepuscolo di anime ansanti
incontro al giorno incerto
di un divenire in dissolvenza;
un ingorgo di incognite
e di rassegnazioni,
un andare sconsolato
tra le nebbie silenziose
dove appaiono e scompaiono le ombre.
E’ lo Stige un transito
verso destinazioni sconosciute:
l’anticamera dell’insula mortis.