L’originalità e l’indipendenza in campo poetico di Alfredo de Palchi (nato nel 1926) sono da tempo accertate. Come poeta italiano che vive negli Stati Uniti da più di cinquanta anni, che continua a scrivere esclusivamente in italiano, e le cui opere sono state in buona parte tradotte in inglese, de Palchi emerge per i suoi tersi e tesi versi svolti con sintattica audacia, per i salti semantici (ciò che richiama il concetto di Josif Brodskij di poesia che “accelera il pensiero”), e per l’auto-analisi mai sentimentale, con tonalità che vanno dal sarcasmo alla glorificazione dell’Eros. Gli argomenti poetici l’autore li trae dalla propria esperienza, e ciò vale in particolare per la produzione giovanile, che evoca il ragazzo povero e orfano del padre, le sofferenze patite durante la seconda guerra mondiale e l’ingiusta carcerazione subita nel dopoguerra. Negli anni successivi, de Palchi lascia alle spalle le sofferenze del tempo di guerra, e volge invece lo sguardo al rapporto uomo-donna, esaltando il piacere sessuale. Si interessa anche alla scienza, in particolare alla biologia e alla geologia. Il modo preciso e nel contempo idiosincratico con cui il poeta introduce la scienza nella sua visione tragica del comportamento dell’uomo e in genere della condizione umana, già da solo lo distingue da altri poeti europei e americani suoi contemporanei. La produzione recente mette in scena la lotta del poeta con una figura che sembra rappresentare la morte. Una ricca scelta dell’opera poetica di Alfredo de Palchi con testo a fronte si trova in: Paradigm: New and Selected Poems 1947-2009 (Chelsea Editions, 2013). I lettori italiani possono consultare Paradigma: tutte le poesie 1947-2005 (Mimesis / Hebenon, 2006) e Foemina Tellus (Joker, 2010). Si veda anche la raccolta di saggi Una vita scommessa in poesia: Omaggio ad Alfredo de Palchi (edita da Luigi Fontanella, Gradiva Publications, 2011).
—John Taylor
da LA BUIA DANZA DI SCORPIONE (1947-1951)
da Il principio
Il principio
innesta l’aorta nebulosa
e precipita la coscienza
con l’abbietta goccia che spacca
l’ovum
originando un ventre congruo
d’afflizioni
da Un’ossessione di mosche
Al calpestio di crocifissi e crocifissi
sputo secoli di vecchie pietre
strade canicolari
il pungente sterco di cavalli immusoniti
in siepi di siccità
(al gomito dell’Adige allora crescevo
di indovinazioni, rumori d’altre città)
e sputo sui compagni che mi tradirono
e in me chi forse mi ricorda
da SESSIONI CON L’ANALISTA (1948-1966)
da Bag of flies
New York 1961
3
a 12 anni
meschino nella tuta lurida di grassi
per motori a nafta
consegno 5 lire
(la settimana—domenica compresa)
nella busta troppo larga al nonno anarchico
mangiato dal cancro. Non sai che
dopo una sovente cena di aringa
mani tagliuzzate, nere di ruggine acidi unti
imparo il disegno industriale
il violino e l’altrui invidia per la borsa di studio;
non sai delle mie colluttazioni con i compagni
per l’esistenza animale—del gobbo Toni,
dal ponte, che mi getta nell’Adige
il cane a zampe legate
uno straccio nella bocca—
da COSTELLAZIONE ANONIMA (1953-1973)
da Costellazione anonima
Polvere dovunque su tutto polvere su ciascuno
su me un cadere continuo di polvere dal soffitto
sul letto tappeti bottiglie dalle pareti
che mi serrano nella morsa del mio futuro cadavere
già sepolto sotto il cumulo di polvere di questa
polvere che rassodata nello spazio gira su sé stessa
e intorno il sistema termonucleare come me cadavere
che rigiro su me stesso e spostato di quel tanto
dal mio centro intorno me stesso:
costellazione anonima.
da LE VIZIOSE AVVERSIONI (1951-1996)
da Mutazioni
10
tracciamo il cerchio intorno all’esilità
che siamo,
convinti di segregare noi da loro
loro gonfi di malnutrizione e sin dalle origini
sigillati nella melma subdola
di spore, intrecci, filtri;
alziamo la pietra lapidata di scritture,
formicolii, spermatozoi bianchissimi, molecole:
è questo il continuo inizio, il barlume
che ci imprigiona tra un lineare di orizzonti e lo sbalzo—
da PARADIGMA (1950-2000)
da Paradigma
L’occhio della serpe è un qualsiasi dio—
uragano che scopre fondamenta
travi chiodi
e con la spirale centripeta spazza
il quotidiano lasciando al raso
il reale più fecondo
Questa la serpe bella fredda
testa piatta a triangolo a stemma
di religione—l’amo perché strisciando
sibila con sveltezza la lingua
sulla centrifugazione degli oggetti
e nell’occhio centra stolidamente
le emozioni di chi non sa reagire
Ogni uovo di serpe contiene compatto un uomo
qualsiasi, l’uragano è la realtà che fabbrica
il piede: la mano stupenda—il paradigma.
1964
da Essenza carnale
Quanto usufruire dello spasimo che ci scuote,
e le mani si cercano nelle nebbie
sotterranee di fili di voci travolgenti,
che mi spinge a te vedova nera di un evento
che tormenta nelle braccia il tormento
quando si è soli nelle proprie braccia.
Guardami, dimmi, è così per te, trafissa nell’astruso
esplodere di parole vocali insensate,
udite con tenerezza mentre ciascuno percepisce
penetrando l’immagine che l’una ha dell’altro,
e generate nel tuo terreno seminabile a onde assiderato
con fioriture sotto una coltre di polvere;
io sono chi tu cerchi, sono
il giogo felice che trovi per le colline infertili,
le miniere di sale, le pianure e le vie disertate
che stringono il domicilio semispento;
parlami con il tuo sesso alla gola,
urlami dentro che sei chi mi offre il proprio terreno
vivacemente di acque colline pianure e foreste chiare;
tu sai, la distanza uccide.
5 febbraio 2000
da ULTIME (2000-2005)
da Ultime
a Giovanni Raboni
In rue de l’Arbre Sec ti osservo
a seccare il becco di merlo felice
slavato dall’acquata recente
a rantolare “frères humains” dallo splendore
della gola che ti prosciuga e che soltanto io ascolto
strozzarsi di paura testarda
ti cercavo nei secoli di vicoli viscidi
della tua città che derubi a coltellate
e t’incontro finalmente sulla forca d’antan
in questa via, al Caveau François Villon,
che ospita il tuo gradito compagno di sventure
alfredo de palchi.
Parigi, 29 giugno 2003
da FOEMINA TELLUS (2005-2009)
da Contro la mia morte I
Un’antica nostalgia da suicidio
opprime quello che resta
del cuore già in lutto
colpito da te—arrivi dove
il nulla è nulla
il bianco è la macchia vaga dell’orbo
finito nelle tenebre dell’orbita
ormai per sempre ferma per sempre
ferma per sempre
non guardiamo indietro
indovinare cosa si è dovuto abbandonare
non lo sapremo mai.
9 dicembre 2006
da Foemina tellus
Oramai il tuo corpo splende
di zampilli e cenere di vulcano
quanto dal profondo
il magma arde la superficie di sabbie estese
e massi di mammelle
lo spazio profondo ti scintilla
di anni a luce quanto
il vortice di galassie
all’infinito
si amplia cosmico di fragori
dal profondo l’estensione acquea si acidifica
il caleidoscopio submarino
scarica la violenza
per ravvivare il fluire della tua vulva
spenta
terra già sciolta nel profondo quanto i ghiacciai
ustioni
bruci
stecchisci
esplodi.
31 dicembre 2007
da Contro la mia morte II
Alla scorsa incursione
mi pianti nel rettangolo
di verde, l’aiuola
non per la salma
adesso che traballo
e boccheggio a pesce nel vuoto
mi proponi la pace
nel nulla
credi d’infinocchiarmi
con il tuo aspetto di monaca
libera di sbarre e di libidine
il viso roseo nel fondo di biacca
ma ti riconosco dalla puzza
che emani da sotto la veste
di vergine che non sei
penombra che sbarri la strada
sapessi quanto male ti voglio
quanta ingiuria di stupri
non appena di avvicini
proteggendoti con dieci ossi
il seccatoio.
22 giugno 2008
da Le Deluge
Non c’è misura del tempo
dove rimugino luoghi costanti dove
senza fuoco il sole
è una idea senza fuoco
nella melma
sotto il suolo come una radica liquefatta
che la pioggia penetrando filtra
in acquifera
così l’eterno che odo
adagio molto e cantabile
dolcezza impossibile di acque
sotterranee in re minore
per esplodere in inno alla gioia
capendo che il diluvio è
libertà della natura di nascere
e morire.
20 giugno 2009
Alfredo de Palchi
(Paradigm: New and Selected Poems 1947-2009, edited by John Taylor, New York: Chelsea Editions, 2013.)
Splendido omaggio a un poeta davvero indipendente, luminoso specchio di integrità morale, i cui versi “svolti con sintattica audacia” talvolta sono tutt’altro che “tersi” ma sempre capaci di aprire nuovi sentieri al pensiero e nuove tonalità alle emozioni.
In de Palchi è presente un’ autenticità rara. La sua ricerca ha metabolizzato la grande stagione crepuscolare-orfica che non poteva essere attraversata e superata senza un autentico afflato lirico, correndo il rischio di perdersi nel vuoto e nella banalità come purtroppo tanti continuano a fare da anni. Un vero poeta.
Ritengo che la fortuna di de Palchi risieda nel suo essere stato un esule della poesia italiana, il fatto che abbia soggiornato e vissuto a New York gli ha permesso quella libertà di scegliersi una sua linea evolutiva del tutto personale e, soprattutto, non influenzata dalle mode e dalle poetiche che si sono susseguite in Italia dal dopoguerra ad oggi. La differenza del suo dettato poetico rispetto a quello della poesia italiana invalsa dal dopoguerra ad oggi, risulta evidente, credo, anche ad una prima lettura.
Ma questa, diciamo così, fortuna ha anche un risvolto della medaglia, l’essere stato costretto il de Palchi a fare poesia come da una lontanissima provincia, e questo risulta evidente in certe flessioni dei verbi, in certe scelte lessicali e in una certa ruvida «sgradevolezza» del suo dettato. Comunque, ho la sensazione che, tra le perdite e i guadagni, sicuramente la bilancia pende dalla parte del secondo piatto. E questo è un risultato certamente non trascurabile. C’è in de Palchi una certa quantità di materia urticante, dico materia lessicale, che frigge per proprio conto, ma si tratta di auto combustione stilistica…
Il suo essere esule ricorda un altro grande misconosciuto, Emanuel Carnevali. Ho letto queste magnificenze (non sono semplici poesie, ma Grande Bellezza) e di fronte a una lettura così sontuosa posso dire solo GRAZIE, prima di questo blog non sapevo nemmeno di fosse Alfredo De Palchi.