Dylan Thomas Quattro poesie – traduzione di Ariodante Marianni

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Dylan Marlais Thomas (Swansea, 27 ottobre 1914 – New York, 9 novembre 1953),ha scritto poesie, sceneggiature, racconti autobiografici e un dramma teatrale dal titolo Sotto il bosco di latte (Under milk wood).
Nel 1934 pubblica la sua prima raccolta poetica, Diciotto poesie, suscitando scalpore nei raffinati ambienti letterari londinesi. Nei suoi primi versi pubblicati, cominciano a intravedersi le tematiche che renderanno celebre la sua poesia: la morte, la natura, l’amore, l’unità estatica e drammatica di tutto il creato. Di questa prima raccolta, la composizione più conosciuta è And death shall have no dominion. Già straordinariamente maturo, Thomas pubblica le successive raccolte a distanza di pochi anni l’una dall’altra: Venticinque poesie (1936), Il mondo che respiro (1939), La mappa dell’amore (1939).

Thomas 8thomas 7 Nel 1936 sposa la ballerina Kathleen McNamara, dalla quale ebbe tre figli (tra cui la scrittrice Aeronwy Thomas) e con cui si trasferì a Laugharne, a occidente di Swansea, in una casa sul mare, denominata Boathouse, dove compose alcune delle sue più famose poesie, nella solitudine del famoso capanno verde (The writing shed). Inoltre la cittadina di Laugharne ispirò la località immaginaria di Llareggub in cui è ambientato il dramma Under milk wood (“Sotto il bosco di latte”).
Nel 1940 esce Ritratto dell’artista da cucciolo, una raccolta di storie di impronta autobiografica, mentre nel 1946, esce il libro che rappresenta la sua definitiva consacrazione Death and entrances (“Morte e ingressi”). All’indiscusso valore poetico di Thomas, si accompagna però una vita di grande dissolutezza, fatta di sperperi e di alcolismo, che spinse la sua famiglia sull’orlo della povertà. Malgrado la sua dipendenza dall’alcol e perennemente ossessionato dalla mancanza di denaro e dai debiti, ebbe sempre la solidarietà del mondo intellettuale che, riconoscendone il genio, non gli fece mancare sostegni economici e morali.

thomas 4 Comparso come una meteora, appena ventenne, a sconvolgere scuole e teorie, Thomas fa vivere alla poesia inglese, fra gli anni Trenta e Quaranta, una stagione di vigore creativo. Fin dai suoi esordi, con la forza del provinciale che resta legato alle sue origini, ignora il dibattito intellettuale e, con suprema maestria e abilità da funambolo, sembra scavalcare ogni tradizione poetica. La sua opera, oscura e labirintica, porta alle estreme conseguenze le tecniche dell’analogia, dell’associazione e dell’enumerazione caotica, con l’unico limite della forma stilistica: una struttura che comunque – come egli ebbe a dire – “nasce da sé, dalle parole e dalle espressioni di esse, e non è mai sovraimposta”.
Dalle poesie ai racconti, le suggestioni sono quelle assolutamente concrete e insieme favolose della propria piccola patria, Swansea e il Galles: con gli interni gremiti, le stradine tortuose, le colline di orti e di fattorie, il vento dell’oceano e gli aromi selvatici della campagna. La poesia di Dylan, come quella di un antico bardo, si nutre infatti di miti: il folclore locale, la religione biblico-contadina e panteista, la saga familiare e le leggende della propria giovinezza si confondono in un vortice inebriante di immagini. Il suo linguaggio variopinto è un concentrato semantico e sonoro e viene descritto dallo stesso autore come un “metodo dialettico”: “un costante sorgere e crollare delle immagini che si sprigionano dal germe centrale, esso stesso distruttivo e costruttivo insieme”. Thomas si colloca innanzitutto sulla linea di William Blake e di G.M. Hopkins, ma il carattere vorticoso, furiosamente visionario e aggrovigliato della sua ispirazione ne fanno una sorta di unicum nel panorama della poesia contemporanea.

thomas 3 Nel corso di un suo viaggio negli Stati Uniti, gli fu commissionato da Igor Stravinsky un libretto per un’opera lirica che però non vide mai la luce. Il quarto viaggio negli Stati Uniti fu anche l’ultimo: arrivò il 20 ottobre 1953, già piuttosto malandato, per un ciclo di conferenze sulla poesia organizzato da Malcom Brinnin. Qualche giorno dopo, il 26 ottobre, solo grazie ad una iniezione del dottor Feltenstein Thomas riuscì a fare due performance di Under Milk Wood, dopo le quali ebbe un crollo. Il giorno seguente non poté neanche trattenersi a un party organizzato in suo onore. A New York il 2 novembre si erano registrati livelli di smog elevatissimi – alla fine del mese le persone morte a causa di problemi respiratori legati allo smog ammontavano a circa duecento. Thomas, che già soffriva di problemi respiratori ne risentì molto.
Il 4 novembre, sempre più affannato fu visitato dal dottor Feltenstein che gli iniettò una robusta dose di morfina. I risultati furono pessimi tanto che dopo poco divenne cianotico, riuscendo a respirare con sempre maggiori difficoltà. Quando arrivò l’ambulanza era già in coma. Morì in ospedale il 9 novembre. L’autopsia rivelò che, benché il poeta fosse morto di polmonite, il problema principale era un grosso edema al cervello causato da una sacca di liquido cerebrospinale. Il fegato mostrava invece solo lievi segni di cirrosi. L’anno successivo Stravinsky compose il pezzo “In memoriam Dylan Thomas” per quartetto d’archi, quattro tromboni e voce maschile.

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 Amore in manicomio

Un’estranea è venuta
A spartire con me la mia stanza nella casa lunatica,
Una ragazza folle come gli uccelli

Che spranga la notte della porta col suo braccio di piuma.
Stretta nel letto delirante
Elude la casa a prova di cielo con nubi invadenti

E la stanza da incubi elude col suo passeggiare
Su e giù come i morti,
O cavalca gli oceani immaginati delle corsie maschili.

Venne invasata,
Chi fa entrare dal muro rimbalzante l’ingannevole luce,
Invasata dal cielo

Dorme nel truogolo stretto e tuttavia cammina sulla polvere
E a piacer suo vaneggia
Sopra l’assito del manicomio consumato dalle mie lacrime ambulanti.

E rapito alla fine (cara fine) nelle sue braccia dalla luce
Io posso senza venir meno
Sopportare la prima visione che diede fuoco alle stelle.

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Love in the asylum

A stranger has come
To share my room in the house not right in the head,
A girl mad as birds

Bolting the night of the door with her arm her plume.
Strait in the mazed bed
She deludes the heaven-proof house with entering clouds

Yet she deludes with walking the nightmarish room,
At large as the dead,
Or rides the imagined oceans of the male wards.

She has come possessed
Who admits the delusive light through the bouncing wall,
Possessed by the skies

She sleeps in the narrow trough yet she walks the dust
Yet raves at her will
On the madhouse boards worn thin by my walking tears.

And taken by light in her arms at long and dear last
I may without fail
Suffer the first vision that set fire to the stars.

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 E la morte non avrà più dominio

E la morte non avrà più dominio.
I morti nudi saranno una cosa
Con l’uomo nel vento e la luna d’occidente;
Quando le loro ossa saranno spolpate e le ossa pulite scomparse,
Ai gomiti e ai piedi avranno stelle;
Benché impazziscano saranno sani di mente,
Benché sprofondino in mare risaliranno a galla,
Benché gli amanti si perdano l’amore sarà salvo;
E la morte non avrà più dominio.

E la morte non avrà più dominio.
Sotto i meandri del mare
Giacendo a lungo non moriranno nel vento;
Sui cavalletti contorcendosi mentre i tendini cedono.
Cinghiati ad una ruota, non si spezzeranno;
Si spaccherà la fede in quelle mani
E l’unicorno del peccato li passerà da parte a parte;
Scheggiati da ogni lato non si schianteranno;
E la morte non avrà più dominio.

E la morte non avrà più dominio.
Più non potranno i gabbiani gridare ai loro orecchi,
Le onde rompersi urlanti sulle rive del mare;
Dove un fiore spuntò non potrà un fiore
Mai più sfidare i colpi della pioggia;
Ma benché pazzi e morti stecchiti;
Le teste di quei tali martelleranno dalle margherite;
Irromperanno al sole fino a che il sole precipiterà,
E la morte non avrà più dominio.

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And death shall have no dominion

And death shall have no dominion.
Dead men naked they shall be one
With the man in the wind and the west moon;
When their bones are picked clean and the clean bones gone.
They shall have stars at elbow and foot;
Though they go mad they shall be sane,
Though they sink through the sea they shall rise again;
Though lovers be lost love shall not;
And death shall have no dominion.

And death shall have no dominion.
Under the windings of the sea
They lying long shall not die windily;
Twisting on racks when sinews give way,
Strapped to a wheel, yet they shall not break;
Faith in their hands shall snap in two,
And the unicorn evils run them through;
Split all ends up they shan’t crack;
And death shall have no dominion.

And death shall have no dominion.
No more may gulls cry at their ears
Or waves break loud on the seashores;
Where blew a flower may a flower no more
Lift its head to the blows of the rain;
Though they be mad and dead as nails,
Heads of the characters hammer through daisies;
Break in the sun till the sun breaks down,
And death shall have no dominion.

thomasdylan thomas 1941

 La mano che firmò il trattato

La mano che firmò il trattato abbatté una città;
Cinque dita sovrane tassarono il respiro,
Raddoppiarono il globo dei morti e dimezzarono un paese;
Quei cinque re misero a morte un re.

La mano possente conduce a una spalla sghimbescia,
Il calcio rattrappisce le giunture delle dita;
Una penna d’un’oca ha messo fine all’omicidio
Che ha messo fine ai negoziati.

La mano che firmò il trattato produsse una febbre.
E la penuria crebbe, e le locuste vennero;
Grande è la mano che ha dominio sull’uomo
Scarabocchiando un nome.

I cinque re contano i morti, mala piaga
Incrostata non curano, la fronte non carezzano;
Una mano governa la pietà come governa i cieli;
Dalle mani non scorrono le lacrime.

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The hand that signed the paper

The hand that signed the paper felled a city;
Five sovereign fingers taxed the breath,
Doubled the globe of dead and halved a country;
These five kings did a king to death.

The mighty hand leads to a sloping shoulder,
The finger joints are cramped with chalk;
A goose’s quill has put an end to murder
That put an end to talk.

The hand that signed the treaty bred a fever,
And famine grew, and locusts came;
Great is the hand that holds dominion over
Man by a scribbled name.

The five kings count the dead but do not soften
The crusted wound nor stroke the brow:
A hand rules pity as a hand rules heaven;
Hands have no tears to flow.

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Ci fu un tempo

Ci fu un tempo che i funamboli con i loro violini
Nei circhi dei bambini potevano frenarne i turbamenti ?
Ci fu un tempo che potevano piangere sui libri,
Ma il tempo ha posto il verme sul loro sentiero.
Sotto l’arco del cielo essi non sono al sicuro.
Ciò che rimane ignoto in questa vita è più sicuro.
Sotto i segni del cielo chi è privo di braccia
Ha le mani più nette, e, come il fantasma senza cuore
È il solo illeso, il cieco vede meglio.

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 Was there a time

Was there a time when dancers with their fiddles
In children’s circuses could stay their troubles?
There was a time they could cry over books,
But time has set its maggot on their track.
Under the arc of the sky they are unsafe.
What’s never known is safest in this life.
Under the skysigns they who have no arms
Have cleanest hands, and, as the heartless ghost
Alone’s unhurt, so the blind man sees best.

4 commenti

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4 risposte a “Dylan Thomas Quattro poesie – traduzione di Ariodante Marianni

  1. E rapito alla fine (cara fine) nelle sue braccia dalla luce
    Io posso senza venir meno
    Sopportare la prima visione che diede fuoco alle stelle.

    I grandi sono questo, la loro memorabile fiammata ci lascia ancora più al buio

  2. Salvatore Martino

    Ogni volta che mi accade di rileggere “E la morte non avrà dominio” le lacrime mi offuscano la vista, faccio fatica a leggere ad alta voce come sono solito fare. Siamo di fronte ad un capolavoro assoluto, di uno dei grandi poeti del secolo scorso. La profondità del pensiero, le immagini folgoranti…No more may gulls cry at their ears una per tutte…la sapiente stesura con quella ripetizione del primo verso. Conobbi Dylan Thomas nei primi anni sessanta, conoscenza letteraria beninteso, e ne fui affascinato: erano per me gli anni di conoscenza di Pound e di Eliot, ebbene il poeta gallese mi conquistò con altrettanta passione e ne subii l’influenza. E potrei continuare a parlerne a lungo ma preferisco gettare un piccolo seme che possa contribuire ad avvicinare un così straordinario poeta. Salvatore Martino

  3. antonio sagredo

    a dylan th.

    per il bravo traduttore, un mio dono:
    —-

    Per favorire una qualsiasi metonimia
    tutte le figure mi sono letali amiche,
    ma quell’immagine intricata di Thomas
    le carte della Poesia ha un po’ sconvolto!

    Quanto tempo per ricucirmi le toppe arlecchine
    e il kaos benefico del gallese! Che dalla gola tracima
    visioni, alcools e parole e la lingua ha tradotto
    su ragnatele più cariate di un coma vegetale.

    Se ne andava goffo deambulando la mal’anima,
    come se il corpo una zavorra di terrori si portasse
    dietro ratti, ischemie e pallori rossogonfi – per celebrare
    sulle strade il suo etilico… precario guazzabuglio!

    Le farfalle-colombine del suo oceano seguivano una rotta
    lenta su questa maldestra zattera, e una sessa o un albero
    maestro scambiavano per tempesta vera… ma lui è tutto
    birrosa spuma… ventre di gonfie vele… ebbrezza malandrina!

    antonio sagredo

    Vermicino, 15 settembre 2008

  4. Raul Bucciarelli

    L’ha ribloggato su daisuzoku.

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