Archivi del giorno: 2 aprile 2014

Giorgio Linguaglossa IL SUICIDIO DELLA FILOSOFIA. UN APPUNTO PER IL NUOVO «REALISMO (NEGATIVO)»

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Il dibattito filosofico sul «new realism» è stato avviato da Maurizio Ferraris, autore del «Manifesto del Nuovo Realismo» (Laterza, pagine 126, € 15).

Sandro Modeo nell’articolo Il suicidio della filosofia il «new realism», contenuto ne “La Lettura” (supplemento Corriere della Sera) 1 aprile 2012, richiama la discussione innescata dal libro di Maurizio Ferraris (Manifesto del Nuovo Realismo) e la serie di convegni sul «new realism»,  rileva come ciò potrebbe indurre qualcuno a pensare che il «reale»  sia finalmente rientrato nel discorso filosofico.

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“La sua, scrive Modeo – eclissi andrebbe ricondotta, per Ferraris, soprattutto al pensiero postmodernista, le cui buone intenzioni si sono rovesciate in altrettanti effetti-paradosso: il sogno di una società più solidale e liberata dalla «tirannia della ragione» si è tradotto nel populismo mediatico e nell’allucinazione permanente del reality; e il relativismo anti-illuminista (con la «verità» alleggerita tra virgolette ironiche) ha spianato la strada ai dogmi della Chiesa. Su questo versante socio-politico, il Manifesto ha pagine taglienti e disintossicanti. Ma quando affronta il nucleo dell’equivoco postmodernista (il credo costruttivista, per cui «non ci sono fatti, ma solo interpretazioni») per introdurre un «nuovo realismo» fondato su una realtà oggettiva indipendente dagli schemi cognitivi dell’osservatore, ci si trova a disagio. Una simile prospettiva — così come quella, recentemente proposta da Umberto Eco (nell’articolo apparso su questo blog), di un realismo «negativo», fondato su «uno zoccolo duro dell’essere» — è stata infatti disegnata molte volte prima (e meglio): soprattutto in un ambito, la biologia evoluzionistica, che dalla filosofia continua a essere ignorato e/o frainteso… Lo stesso Ferraris — che pure rivaluta l’oggettività fattuale e concettuale della scienza — tiene a smarcarsi dalla pretesa della scienza stessa a invadere terreni non suoi”.

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Modeo cita i risultati delle scienze genetiche, neurobiologiche, embriologiche, «per trovare risposte davvero innovative e convincenti su tante questioni filosofiche e socio-psicologiche; per accorgersi che non c’è nessun reingresso della realtà nel discorso filosofico, per il semplice motivo che non ne è mai uscita, e che la liquidazione del postmodernismo (presentata come un funerale) è solo la visita a una tomba da tempo ricoperta di rampicanti».

“In questa prospettiva – continua Modeo – il ruolo centrale viene assunto dal cervello e dal sistema nervoso: nei termini di Lorenz, «l’altra faccia dello specchio», che è però metafora suggestiva ma impropria, perché i substrati neuronali che ci permettono di accendere delle «scene» sul mondo non agiscono come superfici passive, ma come strutture attive e creative, già a livello percettivo. Lo vediamo in tutti i sistemi nervosi che hanno preceduto il nostro. Proseguendo una distinzione tra «sé» e «non sé» avviata dalle cellule — grazie alla membrana — 3 miliardi e mezzo di anni fa, l’evolversi di tali sistemi è una sequenza di «modelli interni del mondo esterno», via via più complessi secondo le variazioni climatiche, il mutare dell’ambiente, la crescente competizione tra specie: si va dai proto-sistemi nervosi di certi vermi (302 neuroni con schemi basici di orientamento) a quelli di pesci, anfibi e rettili, fino ai paleo-mammiferi (già capaci di emozioni e memoria episodica) e ai neo-mammiferi (in cui la corteccia consente di percepire la profondità e i neuroni-specchio di provare empatia). Continua a leggere

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“Un giardino afoso…” di Georg Trakl, commento di Walter Siti

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Il testo integrale, in tedesco e nella traduzione italiana, di Ballade (III) di Georg Trakl, 1911-1913, da Nachlass (Opera postuma)

Ein schwűler Garten stand die Nacht.
Wir verschwiegen uns, was uns grauend erfasst.
Davon sind unsre Herzen erwacht
und erlagen unter des Schweigens Last.

Es blűhte kein Stern in jener Nacht
und niemand war, der fűr uns bat.
Ein Dämon nur hat im Dunkel gelacht.
Seid alle verflucht ! Da ward die Tat.

1911-1913

 

Un giardino afoso stava la notte.
Noi ci tacemmo l’orribile che ci afferrava.
Da questo furono svegliati i nostri cuori
e giacquero sotto il peso del silenzio.

Non una stella fiorì in quella notte
e non c’era nessuno che pregasse per noi.
Solo un demonio ha riso nel buio.
Siate tutti maledetti ! E l’atto fu.

 

La ballata dell’orrore

articolo di commento di WALTER SITI a Ballade (III) di Georg Trakl, 1911-1013, da Nachlass (Opera postuma)

geor trakl 3Georg Trakl

 

Un giardino afoso stava la notte” non si può dire in italiano; ma non si può dire neanche in tedesco. Il verbo stehen, come l’italiano “stare”, è intransitivo (e non c’è nemmeno la pallida possibilità che c’è in italiano di intendere “la notte” come complemento di tempo). Trakl ha sentito il bisogno di forzare la grammatica per esprimere una condizione innaturale: un giardino notturno che invece di ispirare dolci malinconie suggerisce un orrore impietrito. L’afa che incombe sul giardino immobilizza, paralizza quella particolare notte, una notte senza stelle consolatrici. Il silenzio notturno non significa pace, quieto ascolto dell’infinito, perché è frutto di una censura: sono le parole non dette che allarmano i due cuori e li svegliano  –  un silenzio che sveglia, altra situazione innaturale. “L’orribile che ci afferrava“: ciò che viene taciuto dalla coppia è evidentemente qualcosa di irresistibile, ma è anche un peso che li schiaccia e quasi li uccide. Il verbo erliegen (giacere definitivamente) mostra due cuori esanimi, cadaveri. Un giardino, un uomo e una donna oppressi dalla colpa, una morte spirituale; come non pensare al giardino dell’Eden, a Adamo ed Eva che “aprono gli occhi” dopo aver mangiato il frutto proibito e si nascondono scoprendosi nudi?

Strilli Král A tratti un libro ripostoStrilli Talia la somiglianza è un addioStrilli Gabriele Da quando daddy è andato viaIl ricordo della cacciata dal Paradiso non è raro nelle poesie di Trakl, e anche più frequente è l’accenno all’altra primordiale cacciata, quella degli angeli ribelli (“alla tempia del solitario/ sale il riflesso di angeli caduti“). I due colpevoli, spaventati dalla loro stessa censura, avrebbero bisogno di un aiuto divino: basterebbe una preghiera a spezzare la catena del male  –  ma non c’è nessuno che prega per loro (e loro non sanno più farlo da tempo). Anzi, invece della preghiera arriva la risata del Demonio, spaventosa nel buio; la risata significa “non avete speranza, siete miei”; la maledizione (che suona come maledizione universale) è la parola che spezza il silenzio colpevole sanzionandolo. A quel punto (“da”, allora) anche il ritegno può cessare, visto che tutto è perduto: è la maledizione che rende possibile l’atto. War è il verbo biblico della creazione (“e la luce fu”), tat è il termine infine scelto dal Faust goethiano per la sua faticosa traduzione del vangelo di Giovanni (“in principio erat Verbum”): “In principio era l’Azione”. Luogo troppo noto della letteratura tedesca perché Trakl potesse non averlo presente. Continua a leggere

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