Gëzim Hajdari è nato nei Balcani di lingua albanese nel 1957. È il maggior poeta vivente albanese, bilingue, scrive in albanese e in italiano. Nell’inverno del 1991 è tra i fondatori del Partito Democratico e del Partito Repubblicano della città di Lushnje, partiti d’opposizione, e viene eletto segretario provinciale per i repubblicani nella suddetta città. Nello stesso anno è cofondatore del settimanale di opposizione Ora e Fjalës (Il momento della parola), nel quale svolge la funzione di vicedirettore. Nelle elezioni politiche del 1992 si presenta come candidato al parlamento nelle liste del PRA. Nel corso della sua intensa attività di esponente politico e di giornalista d’opposizione in Albania, ha denunciato pubblicamente e ripetutamente i crimini, la corruzione, gli abusi e le speculazioni della vecchia nomenclatura comunista di Enver Hoxha e dei recenti regimi mascherati post-comunisti. Anche per queste ragioni, a seguito di ripetute minacce subite, è stato costretto, nell’aprile del 1992, a fuggire dal proprio paese. Ha pubblicato numerose raccolte di poesia. Ha scritto anche libri di viaggio e saggi e ha tradotto in albanese e in italiano vari autori. È vincitore di numerosi premi letterari. Dal ’92 è esule in Italia.
In una recente intervista così si esprime il poeta albanese: «Scrivere in due lingue è uno stimolo in più, è la liberazione definitiva. Significa misurarsi con il mondo, senza però dimenticare la lingua materna, “il parlare materno” come diceva Dante. Per me è stato uno sforzo sovrumano, trovandomi costretto ad abbandonare il mio paese, dovendo affrontare lavori massacranti, per poi seguire gli studi universitari, scrivere sia in albanese che in italiano, e fare tutto questo con il peso della pessima immagine dell’Albania, senza il minimo sostegno dello Stato albanese… Ma c’era anche una ragione pragmatica. In Italia vivono 500 mila albanesi ma nessuno legge i miei libri, tutti i miei lettori sono europei e di diversi paesi del mondo, ma non sono albanesi. Quindi avendo bisogno di lettori, ho dovuto iniziare a scrivere in italiano. La seconda e la terza generazione degli albanesi inizierà sicuramente ad occuparsi di cultura e di identità, i loro genitori sono troppo occupati a dispensare alla sopravvivenza materiale. Non poca responsabilità è da attribuire allo stato albanese, che non è stato in grado di costituire un istituto di cultura in Italia. In Albania il mio scrivere in italiano in molti mi hanno chiamato traditore e nemico della cultura albanese. Bisogna educare la gente alla tolleranza. Nei Balcani sono nati gli dei, i miti, è un luogo fatalista, patria dei despoti e dei misteri, e si continua tuttora a soffrire di malattie puerili come il nazionalismo. Ma l’Albania c’è anche nel mio stile, in cui tra l’altro cerco di seguire i principi dell’epica albanese, in alternativa alla poesia minimalista occidentale. Spesso gli scrittori albanesi in Italia scrivono come gli italiani, quelli in Francia come i francesi. Invece sarebbe molto meglio se un poeta albanese scrivesse come un balcanico, intrecciando le culture, ma apportando il suo carattere».
Non abbiate paura,
spalancate il buio delle selve oscure,
sono lo spirito scomunicato
da una antica congiura
di una curia repressa,
demolitore della verginità.
Sono custode del Verbo
fattosi uomo tramite il peccato
di due corpi amanti.
Beato il Signore che mi ha gettato
nel vortice della vostra lussuria!
Sono venuto in mezzo a voi
per costruire il tempio dell’eros
distrutto dai credenti inferociti
in tempi oscuri di castità.
O mie pecorelle spente e smarrite
da secoli soffocate il vostro ardore
in nome di un dio smemorato
e del senso di colpa.
Basta chiedere allo spirito del cielo
che compia il miracolo,
affidate a me i vostri gemiti,
la carne che brucia
ed io vi sazierò
come un toro della mia Darsìa,
fate che la vostra corona dorata
domini la furia del mio diavolo rosso.
Avvicinatevi, non abbiate paura,
il mio seme di contadino vi feconderà,
germoglieranno i vostri corpi di donne
su monti e pianure,
altre voci e volti
popoleranno la terra di Adamo
di stirpe in stirpe
fino ai confini del mondo.
Non credete alle scomuniche divine,
divino è il vostro piacere bollente
che io assaporo come il vino
della predica domenicale sull’altare
della messa cittadina.
Una Trinità di eunuchi
mi ha cacciato dal gregge
ed espulso dalle terre dei fedeli,
perché pregavo baciando il seno maturo
della mia amata fanciulla darsìana.
Da allora ho vissuto solitario
errando di esilio in esilio
condannato dalle tuniche nere
per aver praticato il culto del peccato,
vagando tra gridi e gemiti femminili
lontano dalla patria.
Oh quante donne bagnate ho visto impazzire
dal desiderio folle di essere arate
e seminate con la luna piena,
come un campo di grano
nelle notti buie d’insonnia
della vita terrena.
Toccatemi, sonno fertile, virile
uomo in carne ed ossa,
il Signore mi ha incaricato
di sverginarvi fino al sangue
della prima notte.
Sono sceso tra di voi per procreare
e spingere la gente all’amore,
non temete un altro inganno dal regno dei cieli,
dall’amore sono nato anch’io
nel letto di paglia
in una grotta remota e lontana
del suolo prediletto degli ulivi.
Non abbiate paura,
mi confesso solo ai vostri ardori
e ai vostri peccati.
Sono guardiano del sentiero
che porta alla fessura in fiamme ,
spegnerò l’incendio millenario
che avvolge le vostre valli infuocate.
Ascolta o Signore il mio amanèt :
voglio morire nel buio delle loro caverne
e da morto essere coperto
con le ceneri del loro fuoco.
Una volta saziate fino in fondo
dal mio diavolo rosso,
torneranno a brillare di gioia
i vostri occhi spenti,
si gonfieranno le vostre labbra di passione
e la pelle tremante si placherà.
Sentirete più leggere
le carni e le membra,
come le pernici dei prati fioriti,
echeggeranno suoni e profumi
dalle vostre conchiglie ombrose
sulle rive dei vostri fianchi.
Che dio benedica l’impurità
e consacri il corpo di donna
un tempo bruciato sul rogo
dal boia castrato delle mura oscure.
Padre eterno,
un indicibile dolore mi rinnovi:
la caduta del tempo dell’eros,
la castità e l’esilio dell’amore.
Non voglio essere il tuo figlio,
né il creatore dei corpi celesti,
né attendo la gloria eterna,
voglio essere beato nella vita odierna
in cima alla collina buia di siliquastri.
Perché bere il tuo sangue
e mangiare il tuo corpo,
come i cannibali di un tempo remoto?
Al posto del tuo sangue guastato
bevo il latte dei seni delle fanciulle,
al posto del tuo corpo martoriato
preferisco le more piene di mosto.
Non adoro i simboli di tortura,
né richiamo l’ora della morte
ma l’ora della nostra vita.
La vera ed eterna alleanza
è quella fra me e lei,
fra lei e me, qui ed ora.
Mio Signore, fammi nascere
da una costola di donna
e lodata sia la sua brama maledetta
è stata proprio la mela proibita
che lei ha mangiato nell’Eden
a salvarci dall’inferno degli eunuchi.
Un meraviglioso stupore dovrebbe allentarci la corda che abbiamo intorno a tutto… al cuore, al collo, al pube, e lasciarci cullare da quest’inno alla vita e alla libertà e non solo, alla rigenerazione della nostra stirpe attraverso il desiderio e non regole e leggi ferree dettate da masochismo. Gezim Hajdari è un poeta, un uomo, una donna, un essere libero e lo dice senza timore reverenziale, senza veli, e in maniera assolutamente chiara…direi, riferendomi al suo essere contadino, senza peli sulla lingua.